Mi svegliai col sorriso... non sapevo perché, finché, dopo un paio di minuti passati in dormiveglia sul letto, mi tirai su di scatto tirando un urlo sommesso -James! -.
Mi girai dall'altra parte del letto ma era vuoto. Eppure tastandolo, come se non ci credessi che James non fosse realmente lì, sentii l'altro lato del letto ancora tiepido. Così, chiusi gli occhi sereno, e feci un piccolo respiro di sollievo. James aveva dormito lì stanotte e se ne era andato via da poco. Feci un respiro profondo per tirarmi su ma mi fermai sentendo forte il suo odore. Rimasi così un paio di minuti ancora sdraiato respirando il suo profumo. In realtà non era proprio un profumo, non sapeva di niente in particolare. Sapeva di uomo, insieme ad un pizzico di sudore e ad una nota agrodolce e vagamente pungente che ogni tanto sentivo quando mi avvicinavo a lui.
Adesso che ci feci caso, stanotte non avevo sognato mia madre... Che strano. Non volendoci pensare più di tanto mi iniziai a vestire. Faticai a mettere i pantaloni a collo stretto che James mi aveva dato il giorno prima.
Erano tutti sporchi di erba e tracce di terra, e per un momento mi vergognai pensando di doverglieli ridare conciati così ma poi, riflettendoci sopra, pensai che tanto c'era chi li avrebbe puliti per lui.
Messa anche la maglietta, mi allungai per prendere la carrozzina. Sopra di essa notai qualcosa che fino a ieri ero sicuro non ci fosse. C'era una felpa verde chiara piegata a malo modo sulla sedia. Sorrisi pensando che soltanto una persona avrebbe potuto piegare la felpa in quel modo e a quanto era stato premuroso il suo gesto. Ieri al tramonto mi ero lamentato del freddo pungente e James non avendo che darmi, per paura che mi ammalassi, mi aveva cinto le spalle con un braccio.
Tutti e due sapevamo che quella era una scusa bella e buona per stare più vicini, ma nessuno dei due disse nulla a riguardo perché né io né lui volevamo staccarci da quel caldo abbraccio un po' impacciato e romantico, mentre il sole calava lentamente, cedendo il passo alla notte stellata, andando a illuminare chissà quale terra ignota e oscura oltre i confini noti e sicuri delle montagne paradiso.
Misi la felpa senza pensarci sù due volte e salii poi sulla sedia a rotelle. Uscii dalla stanza e superai la rampa di scale posizionata a metà corridoio e raggiunsi la stanza di James. Entrai dimenticandomi di bussare alla porta ma non c'era nessuno lì dentro, così mi diressi verso un ascensore di servizio usato solitamente dalla servitù, posizionato in un corridoio laterale un po' nascosto. Entrai, premetti il tasto per scendere al piano terra e attesi che le porte si chiudessero per poi riaprirsi di sotto.
Iniziai allora a vagare alla cieca lungo quell'enorme villa. Lo cercai in cucina sperando che stesse facendo colazione, nelle varie stanze e saloni, ma non era da nessuna parte, così, vedendo un servo con un grembiule da cucina, lo fermai e gli chiesi se aveva visto il signorino Wood. Il bambino, perché non aveva sicuramente più di dieci anni, posò un enorme sacco di patate che aveva sulla schiena per terra e mi disse che probabilmente era nelle stalle data la passione, di cui io ero all'oscuro, per i cavalli. Io lo ringraziai e mi incamminai verso la direzione che mi aveva poi indicato per raggiungere le stalle, quando, girandomi , vidi quel bambino piegato in due nel tentativo di sollevare quel sacco decisamente troppo pesante. Non ce la feci a girarmi e ad andare avanti come un qualsiasi altro abitante di Holder che si rispetti avrebbe fatto, e così tornai indietro da lui.
- non ci siamo ancora presentati - gli dissi e proseguii dicendo - mi chiamo Sam, e te? -.
Lui per un attimo non rispose e riconobbi subito lo sguardo che aveva dipinto in volto. Era lo sguardo di chi non era abituato a sentirsi chiedere come si chiamava, lo sguardo di chi non veniva trattato come una persona, un essere pensante dotato di sentimenti, ma come una bestia da soma.
- Matteo... M.. Mi chiamo Matteo - mi disse infine con tono incerto e con voce flebile, quasi non fosse sicuro che quello fosse il suo vero nome.
- che bel nome che hai - gli dissi gentilmente, vedendolo poi sorridere leggermente al primo complimento che riceveva da chissà quanto tempo, e poi gli dissi - che ne dici se questo sacco pesante lo prendo io e tu mi accompagni a vedere un po' come sono le cucine? - con quel tono dolce e gentile che si usa soltanto con i bambini.
Non rispose, così presi il suo silenzio per un sì.
- Dai, aiutami a prendere il sacco di patate e a metterlo sulle mie gambe - detto questo, lui si affrettò subito ad aiutare quel povero e gentile disabile che si trovava davanti.
Strinsi i denti trattenendo un urlo di dolore quando, sollevando il sacco, questo andò a sbattere contro la gamba destra malata.
Presi un respiro profondo e poi urlai - andiamo! - con un tono decisamente troppo carico per la missione che si prospettava di fare, un tono che certamente in un contesto normale non avrei mai usato. Così, iniziai a seguire a fatica il bambino fino alle cucine. Entrato dentro, tutti i cuochi e i servi che lavoravano si voltarono a fissarmi.
Io, decisamente imbarazzato, continuai a seguire il bambino che sembrava non si fosse accorto di niente, fino ad un magazzino attaccato alla cucina.
- grazie tante - mi disse il bambino prendendo il sacco e posandolo sul ripiano basso di una mensola, prima di uscire correndo verso una figura femminile che doveva essere sua madre. Io allora uscii e mi diressi verso la porta da cui ero entrato. Intanto la metà delle persone aveva ricominciato a lavorare mentre l'altra metà mi guardava con uno sguardo intenerito. Feci per uscire quando la signora con attaccato alla gamba il piccolo Matteo mi si avvicinò.
- Grazie - mi disse e nulla più, per poi tornare a lavorare. Rimasi così imbarazzato che non ebbi il tempo di rispondere. Cosi prima di uscire guardai per l'ultima volta il piccoletto e mi resi conto di un dettaglio a cui prima non avevo fatto caso. Il ragazzino aveva tutte le spalle ingobbite, sicuramente a causa di tutti quei pesi che era costretto a trasportare ogni giorno. Mi fece tanta pena e cosi, se prima stavo andando da James con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, ora ero decisamente triste.
Non ci misi molto a trovare la stalla, grazie alle indicazioni chiare del bambino.
Era un edificio enorme con un sacco di finestrelle aperte da cui scappavano fuori ogni tanto un paio di orecchione e un muso lungo. L'entrata era costituita da un'enorme porta a scorrimento in legno chiaro, come tutto il resto della struttura esterna. La porta era aperta, così entrai. Rimasi avvilito da quanto vidi poco dopo. James era stretto in un abbraccio con un altro ragazzo, decisamente più alto di me e dai capelli biondi.
Rimasi qualche istante attonito a fissarli, vedendo nessuno dei due decidersi a staccarsi dall'altro.
Non ci vidi più dalla gelosia così feci ciò che era meglio. Presi e partii verso una qualsiasi destinazione, purché lontano da qui. Appena mi misi in movimento, passai senza neanche accorgermene su un mucchietto di ghiaia accostato lì vicino, probabilmente utilizzato a breve per coprire qualche buca che si era formata sulla strada percorsa dai carri. Così, il rumore della ghiaia calpestata mi accompagnò per un paio di metri finché non sentii i passi di una persona dall'interno venire all'entrata della stalla con il fiatone, prima che mi urlasse - Sam! -. Vedendo che non mi giravo, ne tanto meno che ero intenzionato a rallentare, sentii i passi di James venirmi incontro, prima camminando, e poi sempre più incalzanti, finché non cominciò a correre. Quando mi raggiunse, si mise davanti alla carrozzina, impedendomi di andare oltre.
- Sam... Tutto apposto? - mi chiese, ma sapevo che la mia faccia parlava al posto mio.
- qualcosa non va? dimmelo, ti prego - mi disse in tono di supplica.
- non è nulla... è una sciocchezza, lascia stare - gli dissi cercando di evitare il discorso.
- per favore... - i suoi occhi supplichevoli mi fecero cedere amaramente.
- niente di che.. Ti ero venuto a salutare e quando sono arrivato ti ho trovato abbracciato a un tizio sconosciuto - detto questo, vidi sul suo volto lo sguardo supplichevole lasciar posto un sorrisetto che tanto mi piaceva quanto odiavo, perche subito dopo mi disse - perché, sei geloso? -.
Arrossii di colpo.
- Ma che stai dicendo sciocco! - gli dissi, sentendo quanto suonasse male l'ultima parola detta. Aveva un che di prosaico e impolverato.
- allora? - mi disse, con ancora il sorrisetto dipinto in viso.
- volevo soltanto parlare con te riguardo alla presentazione di oggi con i tuoi e mi ha dato fastidio trovati abbracciato a qualcuno perché avevo paura che mi sarei dimenticato delle domande che volevo farti a riguardo, dovendo aspettare che vi staccaste -. Non sapevo neanche io cosa avevo detto, conscio soltanto del fatto che fosse una scusa assai originale quanto debole.
- e di quali domande si tratterebbe? - mi disse sempre più curioso e divertito.
- ecco appunto, me ne sono dimenticato! Comunque io ho fame, hai finito con il tuo interrogatorio così possiamo procedere e andare a mangiare? - la mia lingua lunga mi aveva salvato da una situazione più che imbarazzante.
- andiamo.. - mi disse James, deluso che il divertimento fosse già finito.
Mangiammo per colazione un po' di frutta mentre ancora seduti a tavola iniziammo a parlare dei programmi di oggi.
- allora Sam, come avrai notato, questi giorni a casa i miei non hanno mangiato con noi. Il motivo è che erano andati a Holder per affari e per prendere una cosa... - mi disse lasciando il tutto molto nel vago, - sta di fatto che saranno qui tra non più di mezz'ora, in base a quanto hanno lasciato detto. Li incontrerai nella sala dove usualmente i miei accolgono ospiti imminenti e di una certa rilevanza, non certo perché tu sia così importante - mi disse, tirandomi un occhiolino per poi proseguire - ma soltanto perché non gli piacciono le cose in piccolo. Non preoccuparti, tutto andrà per il meglio e io sarò tutto il tempo accanto a te -. quest'ultima frase mi liberò da un po di tensione.
Detto questo, cambiò argomento e iniziammo a parlare del più e del meno, della stalla e dei suoi cavalli. Io ascoltai tutto fingendomi interessato finché non arrivò un servo che con lo sguardo basso ci venne ad avvisare che il signore e la signora Wood erano arrivati e pronti a incontrarmi. Così, scostandomi dal tavolo, seguii James finché arrivammo davanti ad una grande porta in legno.
- mi raccomando - mi disse James facendomi l'ennesimo occhiolino per poi appoggiare le mani sulla porta e spingere.Cosa succederà? Lo scoprirete nel prossimo capitolo. Nell'attesa, fatemi sapere come pensate che siano i genitori di James!
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Abbracciami e Non Dire Niente
RomanceUn intrigo amoroso che va oltre la semplice attrazione sessuale. Un libro pieno di suspence, che ti farà divorare le pagine dalla curiosità, che ribalterà la tua concezione di giusto e sbagliato in un battito di ciglia, con eventi che faranno da sfo...