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- Bip, bip, bip, biiiip! –

Questo continuo rumore incessante mi fece svegliare dall'immobile torpore in cui mi trovavo. Aprii gli occhi e mi alzai a sedere, mi guardai intorno, mi trovavo in una bianca e luminosa stanza d'ospedale.

Che ci facevo qui? Poi però i ricordi cominciarono a riemergere, ricordai tutto: il rumore dei freni, l'incidente, il buio che mi aveva avvolta all'istante.

Da un lato della stanza vidi mia mamma piangere.

Perché piange?

<< Mamma! Mamma! Guardami, sono qua. Perché piangi? Non mi vedi? Sto bene! Mamma! >>

Ero il ritratto della disperazione e, per di più, non riuscivo a comprendere la situazione fino a quando non sentii un'altra voce, una voce maschile.

<< Ora del decesso: 16.38; paziente: Katy Shelling; causa della morte: arresto cardiaco.>>

Dopo ciò, mi fu tutto chiaro: ero morta, per questo mia mamma stava così male.

Non è possibile! Ho, o meglio avevo, 17 anni, non voglio andarmene così presto ... ho ancora un sacco di cose da fare. Cosa farò d'ora in poi? Perché sono ancora qui? Non dovrei essere una specie di spirito che vola alto nel cielo.


"Sisi, Katy, convinta, smettila di farti film mentali, questa è la realtà: sei morta."


L'unica cosa che mi veniva da fare in questo momento era piangere, sfogarmi, avrei voluto distruggere tutto. Perché le cose erano andate così? Perché la macchina non si era fermata? Perché non mi aveva vista? Perché proprio io dovevo morire? Tutte queste domande erano inutili, senza risposta, eppure continuavano a ronzarmi nel cervello.


La mia disperazione traspariva chiaramente e non riuscivo a trattenere né le lacrime né la marea di emozioni che mi trascinavano sempre più giù, sempre più vicina a quel buco nero dal quale è difficile tornare. Volevo strapparmi i capelli, urlare fino a non avere più voce in gola, volevo piangere fino a non avere più lacrime.


Era bastato un attimo, un attimo per perdere tutto: mia mamma, l'unica famiglia che avevo, l'unica persona che mi era stata sempre accanto in questi diciassette anni, amandomi incondizionatamente e perdonando ogni mio singolo errore.


Volevo continuare a piangere ed urlare, tanto nessuno avrebbe potuto sentirmi. Ecco il punto, ero sola, nessuna consolazione, nessun abbraccio di conforto, nessuno che mi potesse dire: "Katy, tranquilla, andrà tutto bene, ci sono qua io con te!"

No, la verità non era questa, ero morta e dovevo affrontare tutto da sola.

Cercai di ricompormi, misi insieme tutte le briciole di disperazione che mi componevano e cominciai a pensare a come uscire da questa situazione a testa alta. Non potevo cadere nel baratro della disperazione perché poi uscirne sarebbe ancora più difficile e doloroso.

Ormai non potevo fare niente per cambiare la mia condizione, era andata così: avevo perso tutto solo per una stupida festa di fine scuola, ma potevo cercare di andare avanti senza piangermi addosso. Non credo che mia mamma sarebbe stata felice di vedermi così triste. Ecco, avevo trovato, lo avrei fatto per lei. Sarei andata avanti col sorriso per farla felice e renderla orgogliosa di me anche se non mi poteva vedere.

Molte domande mi stavano però frullando per la testa: è così la vita dopo la morte? Sono ancora in questo mondo di cui posso vedere e sentire tutto senza essere vista o sentita da nessuno? Certo che è proprio noioso, cosa farò per sempre? E gli altri? Dove sono tutte le persone morte?

Non sapevo rispondere, così, solo per passare il tempo che ormai di certo non mi mancava, decisi di farmi un giro per l'ospedale e cercare l'uscita, tanto ormai ero completamente libera da vincoli.

Dunque, scesi dal letto dell'ospedale, mi sfilai l'orrenda veste verde acqua e mi infilai dei vestiti che trovai stesi su una sedia accanto al letto, evidentemente mia mamma aveva pensato che mi avrebbe fatto piacere avere dei vestiti puliti una volta guarita.

Infilai un paio di shorts neri e un top dello stesso colore che lasciava fuori gran parte della pancia dove spiccava luminoso il mio piercing all'ombelico, dovetti fare un grande sforzo per ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di sgorgare dai miei occhi come due cascate impetuose.

L'idea di avere appena infranto le speranze di mia madre mi uccideva dentro e pensare che lei non mi avrebbe mai potuta vedere uscire da questo ospedale, con questi vestiti, era terribile. "Katy, devi essere forte, fallo per lei".

 Queste erano le parole che continuavo a ripetermi nella mia testa per autoconvincermi a farcela e a non farmi abbattere dalla disperazione.

Prima mi abituavo a questa situazione prima sarei stata meglio. 

Fatto tutto quello che dovevo fare in questa orribile stanza di ospedale, identica  a tutte le altre con queste pareti bianche e i pavimenti dello stesso colore, passai accanto a mia madre e le posai un dolce bacio sulla guancia ed immediatamente lei si sfiorò quel punto con la mano, come se avesse sentito la mia presenza. Strano: non dovrebbe sentirmi per niente, ormai non ero altro che una specie di riflesso di me stessa.

 Con un'alzata di spalle decisi di ignorare anche questa domanda per non farmi esplodere la testa e proseguii. 

Aprii la porta, o meglio dire lo spettro della porta dato perché, a quanto pare, non potevo spostare realmente gli oggetti e uscii. Wow, questa era un'altra interessante scoperta. Dunque, ero morta e non potevo realmente toccare niente ma potevo spostare, per così dire, le ombre degli oggetti, essendo io stessa una sorta di ombra. Questo sì che era interessante.

 Per i corridoi dell'ospedale c'era un gran viavai di gente, sia di dottori ed infermiere che di persone comuni con diverse espressioni in volto: c'era chi sorrideva felice, chi piangeva, chi si allontanava con la faccia contratta dal dolore.

Percorsi tutto l'ospedale in balia di emozioni contrastanti a causa dei diversi stati d'animo delle persone presenti fino ad arrivare all'uscita. Avevo attraversato tutto l'ospedale e nessuno mi aveva vista. Come era possibile che non ci fosse nessun'altro fantasma in questo benedetto posto?

Uscii fuori e finalmente mi ritrovai all'aria aperta. Respirai a pieni polmoni, quasi volessi assorbire la vitalità della natura e farla mia, cosa che ovviamente non sarebbe mai potuta  succedere perché ero morta e mai più sarei vissuta. Prima di farmi prendere dallo sconforto cominciai a guardare il cielo dove volano felici in questa prima giornata di estate gli uccelli.

Cominciai a camminare per le strade di New York molto liberamente e, ad un certo punto, mi venne un'idea sensazionale per distrarmi un po'. Andai in un parcheggio di un hotel a cinque stelle dove erano parcheggiate solo auto lussuose e da corsa, salii su una Porche e la feci partire.

Insomma nessuno se ne sarebbe accorto perché io stavo muovendo ed utilizzando solo lo spettro, per cui la macchina era ancora al suo posto mentre io potevo andare in giro come volevo senza temere di ferirmi o di ferire qualcuno.

La cosa si stava rivelando davvero uno sballo, o per lo meno stavo cercando di convincermi che fosse così per non cadere nello sconforto.

Misi in moto e partii alla massima velocità. Questo era proprio quello che mi serviva per farmi tornare il sorriso.

Poco dopo sentii però una voce provenire dal posto del passeggero: << Bene, bene, chi abbiamo qua? >>

||N.A.||

Spero che vi sia piaciuto.

Chi sarà mai questo nuovo passeggero?

Baci, Erica!!!

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