-Incidente o...?-

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Berlino, Germania

3 Settembre 1960, ore 11.33

Ancora ventisette minuti e sarei stata libera, finalmente sarebbe arrivata la pausa pranzo. Contavo i minuti, i secondi, seduta su quella stupida e scomoda sedia, di quella stupida banca tedesca dietro ad uno stupido sportello in plexiglas con sopra uno stupidissimo cartello che diceva (tradotto): «Ritiri e Versamenti Internazionali». Avevano aggiunto l'ultima parola recentemente, come si vedeva dalla differenza di colori, perché erano convinti che quello stupidissimo vocabolo li rendesse più... come dire... multitasking. Stavo lì, con il gomito sinistro appoggiato al legno e con la mano a sostegno del mio bel -secondo gli altri- visino tremendamente annoiato. Diedi uno sguardo alla mia bella gonna a pois bianchi sul fondo blu mare. Me l'ero comprata di nuovo, sì. Mi piaceva troppo, nonostante non avrebbe dovuto essere portatrice di buoni ricordi secondo una logica normale poiché l'ultima volta che ne avevo avuta una simile, nella vita precedente, ci ero morta dentro.

Sorrisi inconsapevolmente.

Tornai a compilare i fogli sulla mia scrivania. Successe tutto in un attimo: le luci si spensero, due botti invisibili abbatterono le nostre guardie (Ralph e Yuri, ragazzi simpatici), e quattro individui in nero irruppero sparando e urlando. Non sentii nemmeno cosa dissero, venni immediatamente strattonata da uno di loro (una donna forse) che mi disse ben poco gentilmente di stendermi a terra, sul duro marmo dell'ampio spazio davanti a tutti gli sportelli. Venni sbattuta sul pavimento, poi un uomo, il capo probabilmente, urlò, in un tedesco non esattamente da madre lingua: «FATE SCHERZI E VI FACCIO ESPLODERE LA TESTA COME ALLE VOSTRE GUARDIE!»

Accanto a me un'altra commessa cominciò a tremare... Mary, si chiamava Margareth, ma tutti la chiamavano Mary, ora ricordavo. Non avevo nemmeno perso realmente tempo a conoscere i miei colleghi. Avevo una pessima, pessima sensazione.

In pochi minuti la cassaforte era stata aperta e svuotata. Erano davvero organizzati bene. Per un attimo li ammirai. La ragazza accanto a me tremava ancora di più. Mi voltai di qualche grado verso di lei e ciò che vidi mi fece agghiacciare il sangue nelle vene: stava chiamando un numero, probabilmente la polizia. Mi rivoltai. Non dovevo farla scoprire. Sentii dei passi avvicinarsi. Si fermarono davanti a me e mi ritrovai a fissare due stivali militari neri.

L'uomo (o tale ipotizzai fosse) si chinò e nella mia visuale apparve anche un bel corpo coronato da... un passamontagna nero. Che originalità, pensai acida. I due occhi mi fissarono e sorrisero malevoli e poi, lentamente, si voltò verso Mary.

«ADAM!» chiamò divertito il compagno «QUA C'È QUALCUNO CHE STA PROVANDO A FREGARCI!» sembrava che la sua ilarità aumentasse a quelle parole, come se fosse ridicolo che qualcuno riuscisse a fregarli. Bastardi.

L'altro rise spanciandosi. La donna si avvicinò e disse qualcosa stizzita, congelandolo sul posto.«FA QUELLO CHE DEVI E CHE SERVA DI MONITO AGLI ALTRI!»

Ora Mary era terrorizzati e implorava con gli occhi. L'uomo si alzò agilmente e sorrise prima di premere il grilletto. Chiusi gli occhi e non li riaprii per altri due minuti dopo aver sentito quell'orribile botto e i gemiti sommessi. Ero terrorizzata e mi sentivo i vestiti zuppi di non-volevo-immaginarmi-cosa. Purtroppo per i rapinatori la giovane era riuscita a chiamare i poliziotti in tempo e questi si erano posizionati davanti all'entrata a sirene spiegate.

«Eriam» disse più piano quello che doveva essere Adam, «Prendi un ostaggio... a tua scelta.» e fece un sorriso pieno di sottintesi.

«Prendiamo quella,» e mi indicò. Quel dito sembrava essere la cosa più terribile del mondo.

«La nostra piccola cospiratrice che pensava non ci saremmo accorti della sua amichetta!» Mi sentii alzare dalle braccia e d'istinto aprii gli occhi: venni colpita dal rosso intriso nei vestiti, e per un attimo trattenni il respiro. Avevo qualcosa che apparteneva a Mary addosso a me, il suo sangue, a me estraneo, contro la pelle. Non mi voltai a vedere la mia collega, sapevo che era morta. Solo dopo presi coscienza di essere stata posta davanti all'ampia vetrata, con la meravigliosa vista di una decina di volanti della polizia e un bel po' di poliziotti con le armi puntate tutte... su di me?! No, sugli uomini dietro di me che mi avevano immobilizzata. Sentii il freddo metallo di una pistola contro la tempia. Socchiusi nuovamente gli occhi. Non volevo vedere il mio cervello fuori dal mio corpo.

The Soul and The HunterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora