Winter inside

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Le labbra di Jack che baciano quelle di un'altra persona, di un altro uomo. Sono questi i miei incubi e per la prima volta ammetto a me stesso di provare gelosia. Ci sto male ad ogni risveglio: il cuore è trafitto da una lama, mi sento come un cane ferito a cui vengono toccate di proposito le ferite aperte. Vorrei mordere, vorrei prendermela col mondo intero e invece mi ritrovo con un fucile in mano puntato verso una preda, ignara del pericolo. Resto fermo, immobile, più silenzioso possibile. Mi riescono bene queste cose: ecco perché nella caccia sono un fenomeno. Ascolto i suoni della natura: il cinguettio degli uccellini tra le fronde degli alberi, il ruscello quasi gelato, i passi di un qualche animale dalla struttura possente e poi lei...una lepre bianca. Ha il manto più candido della neve stessa, il nasino roseo che si muove a ritmo del battito del suo cuore e ogni tanto si azzarda a fare qualche passo leggero sulla prima vera neve della stagione. Evitando di far rumore con il fucile, lo carico e prendo la mira: questa volta allontano i rumori che mi circondano e resto in ascolto del ritmo del mio respiro. Nuvole calde escono dal naso ad ogni espirazione, le dita che stringono il fucile fremono per premere il grilletto e tutto il mio corpo, disteso sulla neve, si congela lentamente. Trattengo il respiro. Chiudo gli occhi e un flash dell'incubo di sta notte prende prepotentemente possesso della mente. La lepre continua a cercare qualche rimasuglio di erba. La rabbia monta in me e sparo. Sono pochi i secondi: un attimo prima l'animale era in cerca di cibo, l'attimo dopo è disteso privo di vita. Un fiotto di sangue macchia la morbida pelliccia. Afferro la lepre per le orecchie, le lego le zampe anteriori con una corda e me la appendo sulla spalla.
- Ma guarda te - bofonchio. Ogni volta che caccio sento che la vita di qualcuno è in balia delle mie scelte e mi sento male. Non vorrei essere il responsabile della morte di qualcuno, ma dopotutto anche noi umani dobbiamo sopravvivere e che differenza fa comprare la carne in supermercato o procurarsela da soli? Nessuna. Questa volta però mi sono sentito appagato, come se il cane ferito che c'è in me fosse riuscito a mordere la mano di chi gli tocca i tagli. Senza pensare troppo sbatto via la neve attaccata ai vestiti e mi fermo a osservare il bosco. È bello: i fiocchi cadono leggeri, gli alberi crescono nel loro silenzio e col freddo che li avvolge. Dio, quanto amo l'inverno. Il mondo si fa taciturno, molti animali dormono e chi non lo fa cerca di stare in silenzio per non attirare predatori. D'inverno le voci nella mia mente si calmano, mi lasciano tranquillo più spesso. Credo che sia perché mio padre è morto d'inverno: quando appresi del suo decesso mi sentii sollevato. Un attimo dopo ero per terra terrorizzato. Temevo che anche dalla morte mi avrebbe controllato, manipolato e fatto di me ciò che più desiderava. Non sarei più riuscito a nascondergli il mio vero io: a un morto, uno spirito o quel che più si crede non si può nascondere nulla. Loro sanno, loro vedono. Sento ancora in me la voce perentoria del prete che mi spiega la morte: i suoi perché, le sue stranezze e i suoi misteri. Rabbrividisco. Domani sarà festa: non so bene quale perché sinceramente non le ho mai amate e non mi interessa, ma penso sia una festa che abbia a che fare con il Credo dei miei genitori. Da quando i miei sono morti ho smesso di frequentare la Chiesa e ho smesso di credere in qualcosa o in qualcuno. Se davvero c'è un Dio questo deve essere crudele perché un Dio buono non mi avrebbe fatto sbagliato, non mi avrebbe permesso di commettere peccato con una persona del mio stesso sesso. No, un Dio buono avrebbe fatto di me un uomo vero, avrebbe reso mio padre fiero e mi avrebbe fatto innamorare di Alma. C'erano troppe cose negative per poter credere in un Dio. Allontano questi pensieri domandomi se la richiesta di Josh di andare a caccia fosse perché ne avesse davvero bisogno o fosse solo un pretesto per allontanarmi. Da quel giorno maledetto il nostro rapporto si è fatto più freddo, sembra quasi che segua la stagione. Più gela fuori, più ci geliamo dentro: non ci parliamo, a fatica ci guardiamo negli occhi senza sentirci colpevoli di qualcosa e quando ci capita di restare da soli per qualche minuto l'imbarazzo diventa padrone. Sento lo scricchiolio della neve ad ogni mio passo. I fiocchi cominciano a scendere sempre più fitti e mi basta dare un'occhiata all'orizzonte per capire che non ci vorrà molto prima di un'altra tempesta di neve. Monto in pick-up e dopo circa un oretta sono al motel.
- Tieni - mugugno a Josh porgendogli la lepre.
- Grazie. -
Senza aggiungere altro me ne vado diritto in camera e mi sdraio. Le coperte gelate mi provocano un brivido di freddo, ma ben presto si riscaldano e il torpore che si viene creando mi fa crollare in un sonno profondo.
A svegliarmi è qualcuno che bussa alla porta.
- Ennis, vieni a mangiare con noi? -
- No - affermo a denti stretti. A non piacermi è quel "noi": Josh ha invitato degli amici pur di non cenare da soli. La fame mi è passata e ciò che mi assale è una voglia matta di annegare i miei pensieri nel whisky. Così esco dal letto, afferro la giacca e a passi lenti mi dirigo verso la porta. Josh è ancora fuori, in attesa di non so cosa e non appena mi vede gli spunta un sorriso. Sembra sincero. Mi sento terribilmente colpevole per aver origliato.
- Dai, vieni -
- No, grazie. Devo andare. Godetevi la lepre -
- La lepre la mangiamo domani, dai! -
- Esco - detto questo chiudo la conversazione, avanzando a passi svelti verso l'uscita. Se qualche minuto fa non ero sveglio del tutto, l'aria gelata che mi accoglie appena uscito mi costringe ad aprire gli occhi completamente. Il motore del pick-up ci mette un po' a scaldarsi, sbrino la macchina e tolgo la neve che copriva il parabrezza. Resto in macchina e quando sento che il motore è sufficientemente caldo, parto. Non so bene dove andare: vagherò senza meta fino a che non mi sarò stancato. Accendo la radio e comincio a viaggiare a velocità elevata. Sono arrabbiato e confuso. La velocità è la mia cura, credo. La stazione di polizia. Mi fermo di colpo e per poco la macchina dietro non mi viene addosso.
- Figlio di puttana! Non si frena così! - urla il guidatore mentre mi supera con un movimento brusco. Lo ignoro totalmente e ciò non è da me, dato che normalmente mi sarei fiondato sul guidatore per fare a botte...ma in questo momento mi interessa qualcos'altro. Parcheggio e scendo. Dovrei andare a bere e cercare di farmi passare questa rabbia che ho addosso, ma la voglia di scoprire la verità è troppa e così mi dirigo verso la stazione di polizia. Entro e una luce gialla mi acceca. La stazione non è grande: ci sono varie scrivanie per tutta la stanza, alcuni poliziotti stanno discutendo tenendo delle carte in mano e una donna mi fissa con occhi languidi. Che palle! Le sorrido forzatamente, poi mi siedo in una sedia isolata restando in attesa che qualcuno venga da me. Fortunatamente non devo aspettare molto: dopo aver accolto la donna, un poliziotto si dirige verso di me.
- Desidera? - domanda cordialmente.
- Ah...Ehm - mi coglie alla sprovvista e non so che dire. Ma per quale maledetta ragione sono venuto qui? Dopotutto se Josh non mi vuole raccontare ciò che gli è capitato ci sarà un motivo!
- Signore? - insiste l'uomo.
- Si, mi scusi. Cerco l'agente McLaren - rispondo, alzandomi in piedi e abbassando lo sguardo per evitare che si accorga del mio imbarazzo.
- Mi dispiace, ma il capo non è di turno sta notte -
- Ah...Non c'è problema, passerò quando sarà in servizio -
- Se è urgente posso chiamarlo, altrimenti domani mattina è qui - risponde con un sorriso.
- Grazie - affermo.
- Lei è? - domanda il poliziotto.
- Un amico, ma passerò domani - rispondo balbettando. Accidenti! Per evitare che mi faccia altre domande, esco velocemente dalla stazione di polizia e senza pensarci un secondo di più entro nel primo bar che trovo. Mi siedo di fronte al bancone e dopo poco, dalla cucina, spunta fuori un cameriere. Mi ignora totalmente.
- Hey! - urlo per attirare l'attenzione su di me. Il tizio con dei capelli lunghi raccolti in una coda serve alcuni clienti, chiacchiera con loro e solo dopo diversi minuti si degna di lanciarmi un'occhiata fugace.
- Arrivo - detto questo sparisce dentro la cucina. Si sentono rumori di piatti e stoviglie e riesco a percepire un leggero profumo di carne cotta. Cavolo! Ora che ci penso ho fame, ma ho con me solo pochi spiccioli. Dovrò tenermi la fame e basta. Con la coda dell'occhio intravedo un tizio che in modo brusco e con la testa china si sistema accanto a me di fronte al bancone.
- Anneghi anche te le cattiverie della vita nel whisky? - domanda senza alzare la testa. Rispondo con un mugugno. - Sai, mio fratello è un gran bastardo - continua.
- Amico scusa, ma non mi va di parlare. Anzi credo proprio che me ne andrò da qui...Il cameriere pare intenzionato a non fare il suo lavoro - affermo. Sono un pò perplesso da come certe persone cerchino di parlare con qualcuno pur non avendo la minima idea di chi si trovano di fronte. Io a fatica riesco a parlare con chi conosco bene, figuriamoci con uno sconosciuto! O forse è più facile aprirsi con qualcuno che non si conosce piuttosto che con un amico? Non lo so. Era Jack quello bravo nei rapporti e con le parole, non io.
- Prenditi un bicchierino, fuori si gela - mi invita lo sconosciuto. Lancio un'occhiata fugace fuori dalla finestra: la neve scende senza sosta. È troppo fitta e sarebbe da pazzi mettersi alla guida con questo tempo.
- Sai, credo che darò ascolto al tuo consiglio - e mi risiedo al mio posto. Non ho ancora guardato il tizio in viso e anche se volessi, con quel cappello e lo scuro della stanza, non riuscirei a decifrarne bene i lineamenti. Finalmente il cameriere esce dalla cucina, si para davanti a me e mi fissa. Passano alcuni secondi.
- Devo leggerti la mente? - sbotta improvvisamente.
- Whisky - ordino scocciato dal suo modo di fare.
- Non prendertela: se non hai un bel culo e delle belle tette quello neanche ti calcola. È fatto così! - dice divertito il tipo.
- Non è un buon modo per ottenere clienti -
- Bah...la baracca va avanti anche con questo suo atteggiamento. Alla fine sono le donne che portano i loro uomini qui -
- Strano - dico.
- Sarà ma è così. Comunque io sono Brad e credo tu non mi conosca - afferma levandosi il cappello.
- Perché dovrei? - chiedo.
- Qui i poliziotti sono pochi e il capo uno solo. -
Sentendo quelle parole mi volto e...che mi prenda un colpo! McLaren. Brad McLaren è di fronte a me con un'espressione divertita.
- Cazzo - bisbiglio tra me e me.
- Le vostre ordinazioni - ci interrompe il cameriere, ma io non mi scompongo nemmeno. Afferro il bicchiere e butto giù un sorso. Un mucchio di domande cominciano a frullarmi per la testa e l'impazienza di conoscere la verità mi sta assalendo.
- Che ti prende amico? Hai per caso visto un fantasma? - scherza Brad. Non rispondo, gli sorrido semplicemente.
- Ecco il tuo whisky Brad - ci interrompe nuovamente il cameriere. Il capo della polizia lo ringrazia con un cenno della mano e, al contrario di me, assapora con lentezza il whisky. Decido di affrontare il discorso non in maniera diretta, perciò gli chiedo della sua decisione di diventare poliziotto.
- Mio padre era poliziotto: come figlio primogenito si aspettava che seguissi le sue orme e la sua strada non mi dispiaceva perciò l'ho intrapresa...e tu? -
- A dire la verità non so cosa sono e...- mi blocco e penso a quanto siano vere queste parole! Non ho la minima idea di chi io sia. Forse non lo voglio neanche scoprire. - Beh...Ho fatto un mucchio di lavori e adesso addestro cavalli -
- Ah sei una specie di cowboy? - chiede divertito. Rispondo con un cenno della testa.
- Mi piacciono i mandriani: mi danno un senso di malinconia e solitudine, ma al punto giusto. Secondo me sono da rispettare: con tutta la fatica che fanno a star dietro al bestiame! -
- Beh si, non è facile ma per me la vicinanza ai cavalli è tutto. Mi ricompensa di parecchie fatiche. E quel cappello? - domando incuriosito, indicando quello che tiene in mano.
- È stato un regalo...quando non sono in servizio lo portò sempre con me - il suo tono si fa triste, colmo quasi di dolore. Forse ho toccato un tasto sensibile. Accidenti, cosa devo fare? Fortunatamente riprende lui la conversazione:
- E a te chi te l'ha insegnato a fare il mandriano? -
- Mio padre -
- Ci avrei scommesso la testa! - ride di gusto.
- E anche mio fratello, ma da quando i miei sono morti e lui si è sposato, mi ha lasciato ad accudirmi da solo -
- Cavolo, mi dispiace amico! -
- La vita è così. Invece tu: hai fratelli? Sorelle? - chiedo curioso di inoltrarmi nella sua vita privata. Poco a poco voglio parlare di Josh sebbene non sappia ancora come introdurre il discorso. Lo osservo e il suo sguardo si fa cupo. Paga l'ordinazione e senza rispondere si alza. Pago anch'io e lo seguo.
- Cosa c'è? - domando.
- La nostra conversazione finisce qui, amico. Ora vattene e lasciami in pace - risponde stizzito. L'aria gelata ci accoglie, stordendoci leggermente.
- No! Senti se non mi vuoi rispondere va bene ma... -
- Ascoltami bene: ci siamo fatti compagnia per questa serata. Tutti e due avevamo bisogno di qualcuno con cui scambiare due parole e l'abbiamo trovato. Ora basta - e prosegue, attraversando la strada.
- Ma si può sapere che ti è preso? Io ho risposto a tutte le tue domande senza problemi e tu per una mia fai tante storie - mi lamento quasi come un bambino. Non voglio perdere questa occasione: devo parlare con lui. Forse solo Brad riuscirà a farmi riavvicinare a Josh, il mio unico amico. Brad continua a camminare come se non stessi parlando con lui: forse esagero, ma questo comportamento mi sta innervosendo e non mi sta affatto bene. Dopotutto chiedevo dei fratelli mica della sua vita sessuale: a questa domanda avrei capito una reazione simile. Sarebbe stata la stessa che avrei avuto io.
- Hey! - urlo con tono perentorio, affrettando il passo e costringendolo a voltarsi verso di me. La mia presa sul suo braccio si fa forte così come le occhiatacce che ci stiamo lanciando.
- Si può sapere che cazzo hai? - infierisco.
- È morto! - si ferma. Con uno strattone libera il suo braccio dalla mia presa.
- È morto - ripete - Va bene!? Sei contento ora testa di cazzo? - urla, sbraitandomi in faccia. Una lacrima gli sfugge. Sono esterrefatto: non mi aspettavo una risposta simile e non so cosa fare. Rimango pietrificato sul mio posto, mentre lui con passo indeciso si incammina. Come può dire che suo fratello è morto? Forse intendeva dire "morto per me, ma non nella realtà" oppure...oppure ha un altro fratello. Non ci sto capendo più niente: invece di chiarirmi le idee in testa mi sono fatto solo più confusione. Una volta uscito dal mio stato di stordimento comincio a correre e inseguirlo. Lo trovo ad un angolo della strada con gli occhi lucidi: un uomo che ha tagliato i rapporti con il fratello non soffre così tanto, credo. Qui c'è qualcosa sotto.
- Mi dispiace, non avrei dovuto insistere -
- No, non avresti dovuto ma l'hai fatto. Ora ti ho risposto. Lasciami stare - mi prega con sguardo supplichevole.
- D'accordo io me ne torno in motel - rispondo.
- In motel? - ripete.
- Si, è lì che vivo. Lo so che non è un casa ma...chi se ne frega -
- Non era per quello, ma a quanto so qui non ci sono molti motel...E l'unico che conosco è gestito da...beh da... - sembra quasi che fatichi a dire le ultime parole.
- Da Josh McLaren - continuo io. Siamo tornati alla situazione di prima però invertita: questa volta sono io quello sicuro e lui quello perplesso.
- Mio fratello - sussurra Brad.
- Si -
- Tu...Tu lo sapevi? - domanda, ricevendo in risposta un mio cenno affermativo con la testa.
- Sei uno stronzo! Perché mi hai fatto quelle domande sui fratelli se tanto sapevi già che ne ho uno? - dice irritato.
- Ho capito che eri suo fratello quando mi hai detto il tuo cognome. Non si trovano tanti scozesi qui in giro e sapendo che Josh ne aveva uno, ho fatto due più due - spiego.
- Sei uno stronzo ugualmente! -
- E tu sei un bugiardo! Perché vai in giro dicendo che tuo fratello è morto, quando non è affatto così? - ribatto.
- Perché è la verità! -

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