Le gocce d'acqua della doccia cadono giù intense e mi accarezzano il capo, per poi scendere giù sulle spalle e proseguire lungo la schiena chiara, decorata da piccolissimi nei qua e là. Socchiudo la bocca e lascio che l'acqua calda entri dentro. Poggio la mano sinistra sulla parete umida e fredda, venendo assalito da brividi. Ogni volta che mi lavo cerco di dimenticare, eppure mi risulta così difficile non pensare a lui. Per me non ricordarlo durante la doccia è come commettere un delitto. Quante docce ci siamo fatti insieme? Non lo so neppure io, devo aver perso il conto dopo che le dita delle mani non mi bastavano più. Ricordo di come lui mi lavava con cura il petto liscio, posando leggeri baci subito dopo che le gocce calde avevano portato via il sapone. Ricordo il nostro primo bacio: lui era seduto sul mio divano e aspettava che terminassi di lavarmi prima di uscire per il nostro primo appuntamento. Avremmo dovuto andare al cinema e poi mangiare qualcosa in qualche pub. Nulla di questo accadde. Avevo terminato di sciacquarmi quando sentii la porta del bagno che si apriva. Socchiusi gli occhi, immaginando e sperando che ciò che desideravo da mesi finalmente si trasformasse in realtà. Avevo lasciato di proposito la porta semi aperta, quasi ad invitarlo a compiere la prima mossa. Non mi aspettavo che lui avrebbe resistito così tanto, ma per mia fortuna alla fine cedette e fece la mossa da me tanto desiderata. I suoi passi erano silenziosi come quelli di un felino, ma il suo respiro era irregolare e forte come se a stento riuscisse a controllarlo. Entrò dentro la doccia e le sue mani calde si posarono sulle mie spalle. Era estate, ma per un secondo venni percorso da un brivido di freddo, forse a causa dell'acqua fredda o delle sue mani calde. O addirittura di entrambe le cose. Chiusi gli occhi e lasciai che mi toccasse tutta la schiena con dedizione: percorse con i polpastrelli la mia spina dorsale, dopo di che mi cinse la vita e applicò una leggera forza per farmi voltare. Passò a curarsi del mio addome non appena fui rivolto verso di lui. Lo toccò con mani delicate, quasi temesse di potermi fare male. Salì verso i pettorali e si soffermò per qualche istante, accarezzandoli e seguendo con l'indice la loro delimitazione. Fu il turno del collo, che ricevette poche attenzioni rispetto alle parti precedenti, ma per mia fortuna le sue mani si posarono sulle mie guance in fiamme. Mi ero già fatto la barba e ringraziai il cielo per questo!
- L'hai lasciata aperta apposta, vero? - mi chiese con desiderio.
- Sì - risposi col medesimo tono.
- Guardami - mi pregò gentilmente e solo in quel momento fui capace di aprire gli occhi e guardarlo. Portava una camicia azzurra tinta unita che, essendosi bagnata, aderiva su tutto il suo corpo slanciato. Non era particolarmente muscoloso, ma mi piaceva molto così. I suoi occhi azzurri risaltavano sulla sua pelle abbronzata e i capelli nero carbone.
- Ti desidero così tanto e da così tanto tempo che...-
- Lo so. È la stessa cosa per me - gli dichiarai. In realtà non lo sapevo affatto, ma ci speravo. Erano mesi che andavamo avanti con scherzi e battutine provocanti, però nessuno dei due aveva mai fatto alcun passo. Fu lui a prendere coraggio per entrambi e una mattina mi invitò ad uscire, ma a quanto parve non fu in grado di resistere per un intero appuntamento e si lasciò trasportare dai sentimenti appena mise piede dentro il bagno. Forse anche prima.
- Baciami - mi pregò scrutandomi fino in fondo, fin dentro l'anima. Non me lo feci ripetere due volte e così, mentre facevo scivolare la camicia giù dalle sue spalle, posai per la prima volta le mie labbra sulle sue. Sapevano di dolce, avevano un buon sapore e poi erano morbide e lisce. Meravigliose. Prese subito il controllo e cominciò a giocare con la mia bocca, con un'abilitá da far girar la testa. Sentii presto la sua lingua che si posava sulle mie labbra e io le socchiusi per farla entrare. Ci baciammo non so nemmeno io per quanto tempo, ma fu molto. Di questo ne sono certo. Il suo petto, abbronzato come il suo volto e la sua schiena magra ma ben fatta, mi stavano facendo perdere il controllo. Senza pensare più a niente, tranne che finalmente lo avevo tra le mie braccia e che ricambiava i miei sentimenti, slacciai la fibia della cintura e la gettai fuori dalla doccia. Proseguii con il bottone dei pantaloni e una volta tolti d'impiccio sia questi che le mutande, rimasi per qualche istante ad osservarlo minuziosamente.
- Non te la cavi male, piccolo - dissi in modo provocatorio, sapendo che odiava essere chiamato con quel nomignolo.
- Sei uno stronzo - rispose roteando gli occhi.
- Forse, ma uno stronzo che ti piace. -
Lo fermai dal ribattere con un bacio famelico. Dalla foga lo spinsi contro la parete della doccia e sentii che le nostre erezioni si stavano toccando. Era bello e per aumentare quella sensazione chiusi gli occhi, posando la mia guancia sulla sua e spalancando la bocca per il piacere.
- Piano, tigre - mi chiese ridacchiando. Non volevo affrettare le cose, però sentivo che era ciò di cui entrambi avevamo bisogno: appartene l'uno all'altro.
- Non vuoi? - domandai, tremando dall'eccitazione e dalla paura che potesse rispondere negativamente. Lui mi prese il viso tra le mani e guardò verso il basso, osservando il suo membro.
- Ti sembra che non lo voglia? - chiese divertito.
- No - ridacchiai a mia volta.
- Solo fai piano. -
Annuii con la testa e lo baciai nuovamente con lentezza per tranquillizarlo, per fargli capire che non era una scopata e basta. L'amore per lui era arrivato come una tempesta, forte e improvvisa, con una tale intensità che non potei che cedere. Devono essere stati i suoi occhi o il suo sorriso o il suo modo di fare ad avermi catturato così velocemente. Avevo letteralmente perso la testa per lui e, stranamente, non ne fui spaventato. Dico stranamente perché di solito sono un tipo assai razionale, che va con passo lento sulle faccende di cuore e che pensa molto prima di agire. Con lui invece è stato diverso. Sentivo che era l'uomo giusto per me, che sarebbe stata la mia ultima storia d'amore perché non avrei più voluto altri uomini al di fuori di lui. E così quel pomeriggio d'estate facemmo l'amore per la prima volta: entrai in lui con lentezza, lasciando che il suo corpo si abituasse alla mia presenza e una volta che mi aveva accolto rimasi fermo per lunghi secondi ad aspettare il momento giusto in cui anche lui avrebbe provato piacere dalle mie spinte. E così fu. Il bagno si riempì di gemiti e sussurri, di parole d'amore sospirate e di grida di piacere.
Il fatto che mi fossi innamorato così rapidamente e che il nostro primo appuntamento si fosse trasformato nella nostra prima volta, sia di bacio che di altro, non fu di certo dovuto a leggerezza di sentimenti. Lo amavo e amo profondamente. Lui aveva cambiato il mio modo di vedere il mondo e di affrontare la vita: mi aveva aiutato a tirare fuori la forza che tenevo chiusa dentro di me, mi aveva aiutato a infrangere tutte le regole che mi ero imposto per quanto riguardava il cuore e mi aveva aiutato a non spaventarmi di fronte a sentimenti così potenti. Emozioni che hanno una tale forza possono essere confuse o male interpretate, ma se si ha accanto la persona giusta tutto finisce al proprio posto. Ogni tassello trova l'angolo nel puzzle che gli è stato riservato. Quando mi accorsi che ero totalmente perso per lui, fui assalito dal terrore. La paura che potesse non ricambiare i miei sentimenti mi chiudeva lo stomaco e per giorni passai a mangiare solo piccoli bocconi di cibo. La notte dormivo, ma non erano sonni tranquilli. Come poteva un ragazzo come lui innamorarsi di uno come me? Sono un bel ragazzo, questo non lo nego, ma in amore non ero mai stato molto fortunato e mi sono sempre considerato uno sfigato. Quando si usciva tra ragazzi, tutti erano accoppiati. Tutti tranne io. E questo perché? Forse era dovuto al mio atteggiamento rigido, impacciato se vogliamo e schivo verso i ragazzi che sembrava provassero interesse. Ero io stesso ad allontanarli e loro perdevano presto la pazienza, lasciandomi solo con le loro promesse nel cuore e con la fiducia in me stesso ancora più indebolita. Lui invece non demorse e continuò a starmi accanto fino a che non ottenene ciò a cui mirava da tempo e cioè che, in un modo o nell'altro, fossi io ad invitarlo ad avvicinarsi a me. Fondamentale fu la porta del bagno.
Ritorno alla realtà non appena, senza neppure accorgermene, chiudo lo scorrere dell'acqua. Sono stanco di tutto ma, non appena sento le gocce toccarmi il corpo, mi sento rinascere grazie ai ricordi che ho di lui. Vado avanti anche se vorrei che tutto finisse all'istante. Credevo che quell'intervista alla radio mi avrebbe fatto bene, che mi avrebbe aiutato a riflettere e lasciarlo andare via per sempre, invece non ho ottenuto nulla. Sicuramente ho provato ancora dolore nel ricordare nei minimi particolari quella sera maledetta. La nostra ultima sera. Mentre ripenso a lui, indosso velocemente i boxer e me ne vado in camera mia. Vorrei sdraiarmi e cadere in un sonno profondo, ma oggi è venerdì e il venerdì lo passo sempre con lui. Dall'armadio scelgo la mia camicia più bella, infilo dei pantaloni jeans che di solito porto la domenica e mi dirigo nuovamente in bagno a sistemarmi i capelli. Mi guardo allo specchio: non sono cambiato molto da quella sera, se non contiamo la cicatrice sulla tempia sinistra e i capelli ingrigiti velocemente nella parte bassa. Oltre alle ferite evidenti, quei bastardi si sono lasciati dietro un uomo dal cuore rotto e l'anima persa. Guardo verso il lavandino e scorgo, tra le varie boccette, il suo profumo. Quello che usava per le occasioni speciali e che aveva voluto donarmi una settimana prima dell'attacco. Con mano delicata afferro la bottiglietta e la apro. Immediatamente un profumo delicato esce e mi lascio travolgere dai ricordi. Una lacrima contenente ogni suo sorriso cade e mi riga la guancia. Non credevo si potesse soffrire così tanto per la mancanza di una persona, ma quando la persona a mancare è il grande amore ti senti persino morire dentro da quanto la desideri. Vorresti averla nuovamente al tuo fianco, ti dici che daresti più importanza ad ogni momento da trascorrere con lei e che ogni sua parola sarebbe per te perla preziosa da conservare con attenzione. Quanto vorrei aver prestato più attenzione ai suoi sorrisi, alle sue parole e alle sue azioni. A volte mi chiedo se l'ho amato come meritava. Un'altra lacrima scende pesante sul viso.
Ad interrompere il mio momento di dolore è il bussare insistente alla porta d'ingresso. In fretta e furia mi asciugo gli occhi, tiro su col naso e sistemo le ultime cose in bagno.
- Arrivo! - urlo per farmi sentire. Corro in camera a infilarmi il giubbotto dato che fuori si gela e, una volta pronto, con passo veloce scendo le scale e mi catapulto verso la porta. Dovrebbe essere il tizio dei fiori e non voglio farlo aspettare. Scostando la giacca pesante, mi sistemo la camicia dietro la schiena. Bussano ancora.
- Un attimo...eccomi - dico, aprendo la porta e tirando fuori la mano. Mi aspetto di afferrare le rose rosse che ho ordinato, invece mi ritrovo davanti un volto assai stupito.
- Cosa dovrei...- chiede balbettando il tipo.
- Oh! Mi scusi, credevo fosse un'altra persona - affermo tirando dentro il braccio. Rimaniamo in silenzio. Lui mi guarda, mentre io lo scruto minuziosamente come se stessi scorrendo tutti i visi che conosco e cercassi di associargli un nome. Quegli occhi verdi, quel naso perfetto...forse...non saprei. Poi lui sorride timidamente ed...ecco! Tombola! Il tempo di realizzare chi mi trovo davanti e poi mi irrigidisco sul posto. La mia espressione si fa seria, serro la mascella e lo guardo diretto negli occhi. Lo fisso per vedere se ha il coraggio di reggere il mio sguardo,e come mi aspettavo, dopo poco abbassa la testa. Codardo! Mi è difficile fare la parte del duro, specie quando la persona davanti mi ricorda così tanto lui, ma non appena dico a me stesso che è anche la persona che mi ha fatto perdere la mia metà, il mio cuore si indurisce. Diventa pesante come un macigno e fatico persino a respirare. Forse lui sarebbe stato più bravo, ma io no.
- Cosa cazzo vuoi? - sputo rabbiosamente fuori.
- Kevin, ti prego, ascoltami...-
- Dovrei stare a sentire le tue cazzate omofobe? No, grazie! -
- Ho sbagliato con Jeremy, è vero. Lui era mio fratello, credi che non abbia sofferto? - dice, ma io non lo sto più a sentire. Non dopo che ho sentito pronunciare il suo nome: Jeremy. Senza pensarci lo afferro per la giacca e lo scrollo in maniera violenta.
- Non dire mai più il suo nome. Non con me. Non tu - lo supplico, sentendo che le mie forze, dovute alla rabbia, stanno cedendo. Questo è ciò che fanno la rabbia, l'odio e il rancore: ti danno forza, una forza che credi non potrà finire mai e invece, non appena vuoi spaccare il mondo, questa viene a mancare. Questi sentimenti sono ingannatori. E io provo ancora tutto questo. Sento rabbia e odio verso Josh, che mi ha strappato via Jeremy. Vorrei ucciderlo a volte, sento un rancore che mi rode dentro e vorrei avere la forza di mettergli le mani attorno al collo e vederlo strabuzzare gli occhi, ma poi penso al sorriso di Jeremy. Era uguale a quello di suo fratello. Tutti e due belli come il sole, ma Jeremy aveva una bontà di cui pochi sono capaci. Non ho mai torto un capello a Josh, solamente perché in cuor mio so perfettamente che Jeremy si sarebbe arrabbiato molto. Voleva bene a suo fratello e ricordo quante volte mi disse che desiderava tanto dirgli la verità su di noi, ma Josh si mostrava ancora un ragazzino in fatto di maturità e non aveva ancora la testa per capire certe cose, nonostante l'età. Mi aveva giurato che l'avrebbe fatto. Mai avrei creduto che Josh avrebbe reagito in quel modo. Senza pensarci, dando ascolto alle miriadi di emozioni negative che mi ha scatenato dentro, tiro un rovescio sul suo zigomo sinistro. Lo vedo piegarsi e cadere a terra da quanta forza ho messo in quel pugno. Non faccio in tempo a tirare su lo sguardo che subito mi ritrovo attaccato al muro esterno di casa. Qualcuno con una forza assurda mi sta schiacciando addosso alla parete e sento mancarmi il respiro. Vorrei vedere chi si è fatto avanti, ma mi è impossibile, dato che una mano gigante mi sta schiacciando il viso sulle mattonelle di casa.
- É ciò che avrei fatto io, ma ora basta! -
Non mi servono altre parole. Quella voce la riconoscerei ovunque senza dubbi. Lui mi è sempre stato accanto dopo il funerale, mi veniva a trovare ogni settimana e nonostante nessuno dei due parlasse, era una presenza che mi confortava. Restavamo seduti l'uno accanto all'altro senza parlare, tutti e due chiusi nel nostro dolore. Ma la sua presenza è stata essenziale per il mio ritorno alla vita. Per un mio nuovo inizio che io chiamo sopravvivenza. Abbiamo parlato poco, ma di certo avevo memorizzato il timbro della sua voce. Un tono profondo che regalava una sensazione di sicurezza e conforto. Jeremy aveva una voce molto simile. A volte credo che lui avesse preso le doti migliori della famiglia.
- Perché non l'hai fatto, eh? - domando, quasi mi stessi prendendo gioco di lui. L'uomo mi scruta e infine abbassa la testa.
- Perché è comunque mio fratello e io...non ne sono capace - afferma.
- Neppure Jeremy sarebbe stato capace - penso a voce alta. Il fratello maggiore annuisce e trasforma la sua espressione di dolore in una di pietà, osservando Josh a terra. Con forti dubbi e un leggero tentennamento entro in casa, lasciando la porta aperta come a invitarli a seguirmi. La cucina è la stanza più calda e così, tolto il giubbotto, mi dirigo verso il tavolo da pranzo e aspetto. Dopo pochi minuti i due fratelli entrano con fare timoroso, non tanto perché si trovino in una casa quasi sconosciuta, ma perché sanno che potrebbero trovare una foto del loro fratello deceduto. E infatti Josh si sofferma su un quadretto piccolo. Ad essere incorniciata è una foto che ritrae me e Jeremy durante una passeggiata a cavallo. Non ci sono baci, non ci sono abbracci o gesti affettuosi. Potremmo sembrare due amici in una giornata normalissima ed è questo il bello di quella immagine. Chi non ci conosceva bene ed entrava in casa mia, la osservava e domandava sempre se quel ragazzo dagli occhi così azzurri fosse un mio amico e io non potevo che sorridere e fare un cenno affermativo con la testa. In realtà, nella mia mente, frullavano i ricordi di quella passeggiata: i baci scambiati, le carezze regalate con gioia e l'amore donato all'altro sulla riva del fiume. Josh abbassa lo sguardo e senza aspettare Brad si siede di fronte a me. Il fratello maggiore resta in piedi a fissare Jeremy e quando capisco che non è intenzionato a sedersi, ma che resterà a guardare la foto chissà per quanto tempo, parlo titubante:
- Volete qualcosa di caldo? Fuori si gela -
- No, grazie - rispondono in coro. Ora che ho sparato la mia prima cartuccia, non so come continuare. L'imbarazzo è sceso velocemente e regna nella stanza. Poso lo sguardo su Josh, poi sull'orologio appeso al muro e poi nuovamente sul ragazzo.
- Siamo qui...- inizia Brad, ma lascia la frase in sospeso. Le sue spalle possenti si muovono sotto la camicia a quadri e mi chiedo come un uomo così grande e forte, un uomo che avrebbe potuto uccidere di botte qualsiasi persona a lui scomoda, fosse invece tanto buono, ragionevole e capace di accettare le diversità altrui. Poi osservo Josh e i sentimenti che provo nei suoi confronti ancora mi annebbiano la vista. Vedo ancora quell'uomo, alto sì, muscoloso anche, ma così immaturo da arrivare a lasciar uccidere il fratello minore per colpa dei suoi pregiudizi.
Vorrei essere capace di non attribuirgli la colpa, ma mi è impossibile.
- Scusate, io dovrei andare al...- mi fermo e serro la mascella - beh, devo andare. Se siete venuti solo per ricordarmi di Jeremy allora vi dico che non serve, grazie. Mi ricordo di lui ogni giorno, ora, minuto e secondo della mia vita - ringhio a denti stretti fulminando Josh. Questi abbassa ancora di più la testa, quasi senta il peso del mio sguardo.
- Siamo venuti qui per farla finita. Per sempre - afferma Brad.
- Per me è già finita. La mia vita è finita quella notte - dico.
Brad si volta e si avvicina al fratello, posa un braccio al tavolo e con l'altro costringe Josh a guardarmi.
- Allora? - sputa fuori acidamente. Il giovane dagli occhi verdi mi appare spaventato, distrutto dal peso della colpa che lo perseguita da anni. Serra gli occhi e vedo il suo viso diventare paonazzo.
- Mi dispiace! - urla all'improvviso. Mi sento mancare. Il suo tono è sincero, pieno di dolore e desiderio di essere perdonato. Mi alzo dalla sedia e rivolgo le spalle a tutti e due. Dovrei parlare, ma Josh mi anticipa.
- Avrei dovuto fermali, ma non l'ho fatto e questo me lo porterò dentro per il resto della mia vita. Ho strappato la gioia e l'amore non solo a mio fratello, ma anche a te. Non sai quanto mi dispiace...- lascia la frase in sospeso, colto improvvisamente da un singhiozzo.
- Mi dici cosa me ne faccio delle tue scuse? - urlo girandomi velocemente verso di lui. Poggio entrambe le mani sul tavolo.
- Tu non sai cosa significa alzarsi ogni giorno dal letto e sapere di essere solo, alzarsi senza la persona che ami al tuo fianco. Vorresti rivedere il suo sorriso, ma non puoi. L'unica cosa che ti rimane sono le foto e i ricordi. Ma le foto alla fine ti dici che sono poche, vorresti averne scattate di più e i ricordi ogni giorno che passa si fanno sempre più sbiaditi. Non sai cosa significa passare le notti abbracciati al suo cuscino, dove ancora cerchi i residui del suo profumo. Sai cosa significa amare? Io credo di no - gli vomito tutta la mia frustrazione addosso, con il desiderio di farlo sentire ancora più in colpa. Allo stesso tempo però mi sento mancare. Io non sono così.
- Non ho mai amato qualcuno come vi amavate voi. Quella sera sono rimasto pietrificato perché mio fratello era abbracciato ad un altro uomo, ma subito dopo ho provato una fitta di gelosia -
- Gelosia? Sbaglio o tu odi i gay? - chiedo con tono accusatorio.
- Non è così, non è mai stato così. Non odio nessuno, non l'ho mai fatto. Ero ancora immaturo e solo ora me ne rendo conto. Non nego che ero un po' spaventato dagli omosessuali, ma non per quello che credono tutti. Io ho visto mio fratello felice tra le tue braccia, aveva un sorriso meraviglioso e una luce particolare negli occhi. Avevo capito che aveva trovato la persona giusta con cui condividere la vita e una fitta di gelosia mi ha invaso. Perché non io? Sono il fratello mezzano. Brad era già sposato, mio fratello minore si stava sistemando e io ancora giravo coi miei amici in cerca di un corpo caldo che mi scaldasse il letto per la notte. Mi sono sentito ferito nell'orgoglio. Lo so, è stupido ma è così. -
Josh parla come un fiume in piena, con le lacrime che scendono a fiotti e sostenendo il mio sguardo con così tale intensità da farmi sentire quasi male. Si punta il dito contro, non verso di me come mi aspettavo.
- E perché avevi paura degli omosessuali, eh? - domando, cercando di fare la parte del duro ma sento che non durerò molto.
- Per i miei amici. Ero terrorizzato da quello che avrebbero pensato di me e della mia famiglia se avessero scoperto che avevo un fratello "finocchio", come dicevano loro. Brad, tu ti sei sempre più allontanato da me, lasciandomi solo. Non ti attribuisco alcuna colpa, ma mi sono sentito trascurato e l'unica famiglia che mi restava erano i miei amici e non volevo perderli. Sembro infantile e...-
- Basta! Ti prego, basta - lo supplica Brad. - Ho sbagliato, abbiamo sbagliato a lasciarti fuori da questa storia e mi dispiace - afferma col dolore nella voce.
- Vedevo che tu e Jeremy eravate molto uniti, che parlavate e che quando io entravo nella vostra stessa stanza, smettevate di parlare. Sentivo che mi nascondevate qualcosa e non capivo perché. Quante volte serravo la mascella, mandando giù un nodo di dolore, quando vi vedevo bisbigliare qualcosa l'uno all'orecchio dell'altro. Mi sono sentito ferito ed escluso. Quando poi ho visto Jeremy baciare lui, ho capito tutto. Mi avevate nascosto qualcosa di profondo, di speciale e di intimo, come se non aveste abbastanza fiducia in me da potermelo dire. So di non aver mai dimostrato abbastanza maturità, ma voi...-
- Ho sbagliato io. Sono stato io a dire a Jeremy di non confidartelo. Non ti vedevo pronto, sempre in giro con quei quattro disgraziati a fare casino. Forse avrei dovuto dimostrarti più fiducia. Ero confuso, non sapevo cosa fare e ho agito come la mia testa mi diceva di fare e non come il cuore mi supplicava di agire. -
- Io tutto questo non lo sapevo - riesco a dire a fatica. Josh si alza e con passo lento si avvicina a me, mi guarda con occhi lucidi e con una flebile voce parla:
- So di non meritare il perdono, so di essere stato io per primo ad aver causato tutto questo ma...quello che ti chiedo è di perdonarmi, se puoi. Ti ho tolto la persona che più amavi, ma se me lo permetti cercherò di colmare, fosse anche solo per una piccola parte, quel vuoto che ti ho provocato. Non so come farò, ma lo farò. Di questo ne sono certo. Jeremy è mio fratello ed è il tuo ragazzo. Non parliamo al passato perché so che in questo momento lui è qui che ci guarda e ci ascolta, magari piangendo pure. Ti parlo col cuore in mano e ti chiedo di perdonarmi. -
Le sue parole sono sincere, gli occhi puri e l'animo scoperto. Sento che una forza positiva si sta impossessando di me, mi avvolge e mi abbraccia. Vorrei averlo tra le mie braccia, vorrei baciarlo ancora. Sento che è lui in questo momento a darmi la forza e la voglia di perdonare.
- Non ho ancora dimenticato. Non credo lo farò mai, ma sento che Jeremy avrebbe voluto questo: il perdono. Ma prima voglio perdonare un'altra persona -
- Chi? - domanda Josh perplesso. Con una lacrima continuo.
- Me. Devo perdonare me stesso prima di poter perdonare qualcun altro. Mi sono fatto anch'io del male, con le parole e coi fatti persino. Jeremy non avrebbe mai voluto questo. Amava il mio corpo e la mia anima, amava tutto di me e mai avrebbe permesso che fossi io stesso, con le mie mani, a farmi del male. Per quanto mi sembri impossibile e irreale, mi sento rilassato. Niente dolore. Per la prima volta. -
- Kevin, perdonami se ho parlato poco dopo la sua morte - interviene Brad - Avrei dovuto starti più vicino, ma non ero in grado di consolare neanche me stesso. Ho provato così tanta rabbia verso Josh, che non ho visto le mie colpe. Ciò che anch'io ho sbagliato -
- Credo che tutti qui abbiamo le nostre responsabilità, nessuno ne è esente. Josh...- mi volto e lo fisso - io ti perdono e ti ringrazio. Ti perdono per non aver reagito quella sera, per non aver difeso l'amore che avevi visto tra me e tuo fratello; ma ti ringrazio anche per aver cercato e chiesto il mio perdono. Nonostante siano passati anni, è ancora doloroso per tutti e tre e credo sia stupido continuare a ignorarci e provare solo rabbia e dolore. Basta, io...sono stanco. -
Le parole mi escono semplici e naturali. Non mi sento forzato in niente e capisco solo ora quanto desiderassi trovare un po' di pace. Josh è esausto e devastato da tutto, Brad è ancora sconvolto per aver capito che, escludendo il fratello, ha complicato di più la situazione e io...beh...riesco a fare un live sorriso. Dopo anni, le mie labbra scoprono i miei denti e con essi la mia anima. Mi sento diverso in senso positivo e osservo i due fratelli scambiarsi un abbraccio fraterno. Qualcuno bussa alla porta. Josh e Brad si staccano e mi guardano. Senza aspettare mi dirigo verso la porta e apro.
- Finalmente i fior...- interrompo la frase. Due volti a me sconosciuti mi fissano. Sono titubante: non ho alcuna voglia di avere gente intorno che non conosco, specie adesso. E poi devo andare da lui, da Jeremy.
- Scusate, credo di non conoscervi. Voi siete...-
- Ennis, Liz...che ci fate qui? - interviene Josh.
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Ritorno a Brokeback Mountain
FanficQuesta è la storia di Ennis e Jack se le loro vite si fossero incrociate più spesso, se avessero detto meno volte "no" e più volte "si" al loro amore puro. Amore, rabbia, gelosia si incrociano e alla fine chi trionferà? Sarà inevitabile la morte di...