Dream it possible

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Guardo in fondo alla via. La neve non cade più, ma il ghiaccio che si è formato durante la notte rende la guida pericolosa. Abbasso la testa quasi deluso, come se mi fossi aspettato che da un momento all'altro qualcuno nella strada sarebbe comparso. Chiudo la finestra e mi dirigo in salotto, dove un caldo thè mi attende. La stanza è luminosa, rischiarata dal fuoco del camino. Da tempo le sue parole mi stanno torturando, da tempo non riesco a scordare quel suo sguardo implorante e disperato. In casa non c'è nessuno. Sono solo. Io e il silenzio. Non mi è mai piaciuto stare troppo in solitudine. Ho sempre amato la compagnia, amici che parlano tra di loro in allegria e un buon bicchiere di whisky a scaldare il tutto; ma col tempo la vita mi ha condotto per vie in cui star da solo era una buona consolazione, forse l'unica. Chiudermi in un muto silenzio è stata per me la soluzione più facile per superare la sua morte. Un dolore troppo acuto attanagliava il cuore e la mia anima, lasciandomi dentro un senso di vuoto e di impotenza che non sono riuscito ad affrontare se non con l'assenza di suoni. Non avrei mai creduto che sarebbe accaduto alla mia famiglia e la sua morte è stato un colpo davvero basso. Da quando sono morti i nostri genitori, mi son sempre preso cura dei miei fratelli cercando di non trascuare nulla e di insegnare loro ciò che i miei avevano fatto in tempo a trasmettermi. Mi ero promesso che nulla li avrebbe piú feriti, mi ero promesso che non avrebbero guardato in faccia la morte ancora e avevo giurato a me stesso che mai si sarebbero messi l'uno contro l'altro. Ora mi guardo indietro e vedo quanto abbia fallito miseramente. Ne ho perso uno e l'altro si sta lasciando trascinare via da quella corrente che è la vita. Quel che più mi addolora è che sono io stesso a permettere ciò, ma il dolore provocato dalla morte di Jeremy è più grande del desiderio di tenere vicino a me l'altro mio fratello. Forse gli obbiettivi che mi ero posto, le promesse che mi ero fatto erano troppo grandi per me. Troppo presuntuose per un essere umano. Avrei dovuto comportarmi diversamente, avrei dovuto lasciare che vivessero la loro vita e commettessero i loro errori. Ho sbagliato, è vero. Una lacrima scende ad accarezzare il mio viso stanco. Mia moglie è uscita per far la spesa, lasciandomi in casa con la compagnia del thè e un biglietto in cui semplicemente mi saluta. Amo la mia donna, amo quella creatura tanto sublime che è giunta nel momento in cui più ne avevo bisogno e non mi ha più lasciato, anzi. Mi è sempre stata accanto, persino nei momenti in cui ero incostante ed arrogante. A volte violento verbalmente, ma mai coi fatti. Ha dimostrato di amarmi come nessuno altro ha mai fatto e mi sento così al sicuro quando sono al suo fianco. Dio se la amo. L'ho conosciuta in un periodo della mia vita non facile: i genitori erano morti da pochi mesi e io sentivo su di me il peso di una famiglia distrutta. Col suo sorriso dolce, i suoi occhi grigi delicati e le sue parole giuste mi ha conquistato in poco tempo. Ha saputo starmi accanto, confortarmi nei momenti in cui ne necessitavo e lasciarmi solo quando ero io stesso a chiederglielo. Rigiro tra le dita il suo biglietto e una seconda lacrima scende a far compagnia alla prima. Mi asciugo gli occhi con il palmo della mano e tiro su col naso. Guardo l'orologio, mi tiro su dalla poltrona e con passo pesante mi dirigo verso la camera da letto dove, chiusa nell'armadio, è piegata la divisa da poliziotto.
- Andiamo - borbotto tra me e me, per nulla voglioso di recarmi al lavoro.
Una volta indossata la divisa mi reco in studio dove, in un angolo piccolo e buio della scrivania, tengo la mia arma. Prima di agganciarla alla cintura, controllo che sia inserita la sicura e poi ritorno nella mia stanza. Guardo dentro l'armadio e tiro fuori la giacca invernale, ma il mio sguardo si posa su quel cappello da cowboy. Ricordo quando Jeremy me lo regalò e ricordo anche che Kevin era con noi quando scartai il suo regalo, ma io ancora non sapevo che il giovane dai capelli scuri e il naso strano fosse il ragazzo di mio fratello. Jeremy me l'aveva presentato come un amico e per mesi credetti  alle sue parole. Ho sempre avuto fiducia in lui. Quel pomeriggio di nuvole grigie, Jeremy disse che aveva una sorpresa per me.
- Sarebbe questa la sorpresa? - chiesi osservando il bellissimo cappello.
- Oh no, questo prendilo come una pillola per addolcire la sorpresa - ridacchió sarcastico, ma non era la sua solita risata piacevole.
- Le sorprese di solito non hanno bisogno di essere addolcite - puntualizzai mentre mi dirigevo di fronte ad uno specchio per osservarmi. Dovetti allargare lo spago del cappello perché mi era troppo stretto. Feci l'occhiolino a me stesso e risi.
- Ecco...Brad, la sorpresa è questa...beh io non so se sarà proprio una sorpresa che ti piacerà, ma ecco...- balbettava guardandosi attorno, come se cercasse un punto a cui potersi appigliare. Sentendo quando fosse agitato e persino in imbarazzo, lasciai in disparte il mio regalo e, una volta davanti a lui, posai la mia mano sulla sua spalla sinistra.
- Tranquillo Jeremy, sai che puoi dirmi tutto. Non è questa la nostra promessa? Cuore ricco, spirito libero e lingua sincera. -
Certo, come giuramento non era un gran che ma era la nostra promessa. Credo se lo fossero inventati Josh e Jeremy quando necessitavano di un motto per tirare avanti dopo la morte dei genitori. Cuore ricco perché tra di loro l'amore fraterno che li legava mai si sarebbe dovuto impoverire; spirito libero perché solo con questo potevano viaggiare dove più desideravano e lingua sincera perché mai le bugie avrebbero dovuto separarli.
- Brad, non so se ti piacerà...ho paura - disse abbassando lo sguardo. Senza esitare gli sollevai il mento con due dita e posai la fronte sulla sua. Chiusi gli occhi e attesi. Poi la bomba venne sganciata.
- Kevin e io, noi...ci amiamo. Lo amo, Brad - dichiarò con una tale sincerità e spontaneità che non ebbi la voglia di ribattere e iniziare una discussione. In fondo cosa c'era da discutere? Nulla.
- Se Kevin ti sa rendere felice, allora mi va bene - affermai posando il mio sguardo sul ragazzo di Jeremy, che fino ad allora era rimasto in disparte. Il giovane fece un timido sorriso e attese che mio fratello rispondesse.
- Sì - disse semplicemente. E questo mi bastò. Lasciai che i due tirassero un sospiro di sollievo e feci la mia battuta:
- Cavolo Jeremy, se me lo dicevi prima non facevo tanta fatica per trovarti una ragazza! -
- Devi sapere Kevin che mio fratello non ha mai amato vedermi solo, così ogni occasione era buona per presentarmi qualche bella fanciulla! - ridacchiò. Il suo ragazzo sorrise.
- Che ne sapevo io che ti piacessero i giovanotti aitanti - mi lamentai.
- In ogni caso ti ringrazio, ma ora credo di essermi sistemato - rispose, guardando Kevin con occhi sereni e luminosi. Fu in quello sguardo che vidi la sincerità del loro sentimento e non tanto nel bacio che si scambiarono poco dopo, che io prontamente fermai:
- Okay piccioncini, sono di mentalità aperta ma i baci risparmiatemeli. -
Ridemmo di gusto tutti e tre.
- Cuore ricco, spirito libero e lingua sincera - mormoro a bassa voce. Chiudo le ante dell'armadio e lascio i ricordi chiusi lì dentro, assieme al cappello. Scendo con passo tranquillo le scale e, mentre mi sto infilando le scarpe, sento il suono delle chiavi che aprono la porta. Jane compare con le guance arrossate dal freddo, i capelli schiacciati sulla fronte dal berretto e gli occhi che si vedono appena. Senza esitare mi precipito ad aiutarla con le borse e subito dopo mi lascio abbracciare. Nonostante sia quasi congelata, il suo abbraccio mi riempie di calore.
- Oh tesoro, che succede? - mi chiede quasi sbrigativa, ma non me la prendo assolutamente.
- Volevo un tuo abbraccio prima di affrontare il gelo della stazione di polizia - le rispondo. Jane mi guarda dal basso verso l'alto.
- Non me la racconti giusta. Avanti, che succede? -
Non le posso nascondere nulla, ormai mi legge come se fossi un libro aperto e questo non mi dispiace affatto. Senza troppo silenzio le racconto della visita inaspettata di mio fratello Josh e del giovane Ennis. Quando avevo portato a casa il biondo, le avevo raccontato una storiella che mi ero inventato strada facendo, ma adesso non posso più nasconderle nulla. Lingua sincera è ciò che mi torna in mente. Le racconto ciò che Josh mi ha confidato e la sua disperazione nella richiesta d'aiuto, rivelandole anche quel poco che so di Ennis. Il biglietto di ringraziamento del ragazzo lo tengo nella tasca della giacca, così lo tiro fuori e lo mostro a Jane. Lei rimane in silenzio per lunghi minuti.
- Sapevo che sposandoti sarei entrata in un bel casino, ma mai avrei creduto sarebbe diventata così grande questa confusione - dice sincera.
- E ti sei pentita? -
- Se mi sono pentita della mia scelta? Oh no, questo mai! Mi piace essere dentro il tuo casino e aiutarti a sistemarlo, ma in questo caso...- si ferma.
- Cosa? - chiedo ansioso.
- In questo caso non ti posso aiutare molto. Ti posso consigliare, ma la scelta la devi fare tu solo. Loro sono la tua famiglia Brad e da quando è morto Jeremy la luce nei tuoi occhi che tanto amavo si è spenta. So quanta fatica ti sia costato tenere lontano per così tanti anni tuo fratello Josh e non credi che sia il caso di rimediare? Tutti sbagliamo, tutti commettiamo un passo falso e sai perché? -
Il mio silenzio fa da risposta.
- Perché siamo essere umani. Smettila di caricarti di pesi di cui non necessiti. Regala a Josh una seconda possibilità! -
- Ha lasciato che Jeremy morisse! Il mio fratellino...- riesco a bisbigliare.
- Anche Josh è tuo fratello. -
E queste parole sono una coltellata sul velo della mia consapevolezza. La ferita che mi provoca è dolorosa, ma mai quanto il male che ho sentito in tutti questi anni tenendo lontano l'unico fratello che mi era rimasto. Senza saper cosa rispondere e con un bisogno disperato di riflettere, ringrazio mia moglie e le poso un bacio sulla fronte. Lascio la casa calda per affrontare il gelo dell'inverno. Supero il giardino, decidendo di non guidare e di raggiungere la stazione di polizia a piedi. Non abito lontano dal lavoro e durante il tragitto potrò riflettere tranquillo. Non è facile di punto in bianco decidere di perdonare mio fratello, ma qualcosa devo pur fare. Non posso più andare avanti con questo peso nel cuore. Ci eravamo promessi cuore ricco e spirito libero, ma ormai sento che l'amore fraterno che tanto volevo proteggere sta venendo meno e che io stesso sto uccidendo lo spirito mio e di Josh. I nostri cuori sono indeboliti ed esausti, poveri di tutto se non del dolore. Josh ha chiesto il mio perdono per anni, ma ciò che sono stato capace di fare è stato chiudergli la porta in faccia e abbandonarlo al suo destino. Non lo vedevo pronto ad essere riaccettato da me ed essere perdonato, ma chi sono io per decidere se era pronto o meno? Per me non era pentito veramente e questa mia sensazione mi uccideva quasi quanto faceva il dolore per la morte di Jeremy. Senza accorgermene mi stavo uccidendo da solo e Jane vedeva, ma non sapeva come potermi aiutare se non restando al mio fianco per tutti questi anni. Adesso sento che siamo vicini alla fine. Che sia la fine tra me e Josh o che sia la fine dei litigi questo ancora non lo so, ma di certo porrò la parola fine. Senza neppure accorgermene sono arrivato in ufficio e saluto tutti con fare sbrigativo, ancora immerso nei miei pensieri. Sistemo la giacca invernale  nell'appendiabiti e ripongo la mia arma sulla scrivania e levo il cappello di poliziotto. Sulla tavolo del mio ufficio ci sono solamente tre foto: un primo piano di mia moglie Jane, uno scatto di Jeremy a cavallo e la terza ritrae noi tre fratelli. Come ogni giorno, prima di mettermi al lavoro, poso lo sguardo su ogni foto soffermandomi per qualche secondo. Sento bussare alla porta e una volta dato il mio consenso, un agente si fa avanti.
- Scusi comandante, ma una persona chiede di lei - rivela leggermente preoccupato. L'agente Cooper è il mio migliore amico, ma quando siamo al lavoro ci comportiamo come se fossimo esclusivamente dei colleghi. Da quando ho preso la promozione però, Cooper è diventato ancora più formale durante il lavoro e a volte lo è talmente tanto che si agita per nulla. Sorrido a questo mio pensiero.
- È strettamente necessaria la mia presenza? Ho delle pratiche da sbrigare e davvero sono...- non riesco a terminare la frase perché l'agente Cooper si è fatto avanti e ha posato entrambe le mani sulla scrivania. Tossisce leggermente e capisco. Non abbiamo bisogno di parole se si tratta di lui.
- Fallo entrare e chiudi la porta. Che nessuno ci disturbi fino a che non lo vedrai uscire - affermo serio.
- Sei sicuro? - domanda con tono amichevole, tralasciando il fatto che sono il suo capo.
- Sì, devo finirla in un modo o nell'altro - dichiaro a denti stretti.
- Se hai bisogno, ci sono - mi conforta Cooper prima di uscire. Tiro un profondo sospiro e mi alzo. Rivolgo le spalle alla porta d'entrata. Sento che le gambe tremano e il cuore batte veloce, tanto veloce. La porta si chiude. Lui è entrato. Sento il suo respiro affannoso.
- Cosa ci fai qui? - domando per rompere il ghiaccio - Mi sembrava di averti detto che non ti volevo più vedere, invece tu torni sempre! -
- Brad ascolta! Ho bisogno di un tuo consiglio e...-
- E cosa? Vuoi il mio perdono? - sputo fuori arrabbiato, voltandomi verso di lui. A separarci c'è solamente una scrivania e due metri di pavimento, ma per la prima volta mi rendo conto di quanto in realtà siamo distanti. Un mare è troppo poco e forse persino l'oceano non è sufficientemente grande. Sono un uomo adulto ormai, dovrei aver imparato a controllare i miei impulsi e i miei sentimenti, invece mi sento come un sedicenne alle prese con le prime vere forti emozioni. Mi lascio invadere dal dolore e dalla rabbia. Guardo mio fratello che se ne sta di fronte a me, con le spalle leggermente abbassate e la testa piegata di lato. I suoi occhi sono serrati stretti, come se si aspettasse l'inizio delle mie accuse. Vorrei iniziare l'elenco, ma mi mancano le forze.
- Ormai non ti chiedo più il perdono. So che ti è impossibile perdonarmi e ti capisco, ma voglio ricordarti che anche io sono tuo fratello - ribatte quasi disperato.
- Eri mio fratello. Io...- mi volto di nuovo - Io non ho più fratelli - dichiaro con fatica.
- E di me che ne sarà? Ricordi cosa dicevamo sempre? Ricordi ciò che ci avevi promesso? -
- Ricordo tutto! - mi giro di scatto, fulminandolo con lo sguardo. Serro la mascella e trattengo la rabbia e la voglia di scagliarmi contro di lui.
- Allora non abbandonarmi! Mantieni la tua promessa - mi supplica.
- Non ho promesse da mantenere, non con te - vorrei chiudere il discorso e mandarlo via, ma le parole e l'espressione di Jane mi tornano in mente. Vorrei averla accanto a me in questo momento, ma mi rendo anche conto che questa è una faccenda tra me e Josh. Lei mi ha dato il suo consiglio, ora spetta a me giocare la mia carta. Il perdono o il rifiuto?
Josh si avvicina alla scrivania e posa una mano, ma così facendo tocca involontariamente una delle tre cornici. Questa cade mostrando la foto contenuta. Josh all'inizio non ci fa caso, ma poi osserva più attentamente e vedo i suoi occhi aprirsi in un'espressione di sorpresa. Mi mordo il labbro.
- Tu tieni una foto nostra? - chiede stupito.
- No! C'è Jeremy e comunque la volevo buttare - dico le prime cazzate che mi saltano in mente.
- Perché? Non farlo! Se la butti, regalala a me. Te ne prego - mi domanda quasi speranzoso. Senza esitare gliela strappo di mano e la nascondo in un cassetto.
- Siamo noi tre lì. Io, te e Jeremy. I McLaren riuniti in America - parla ricordando quel giorno. Fu Josh il primo a partire, seguito da me e Jeremy. Dopo la morte dei nostri, soprattutto per lui, fu difficile restare nella casa in cui sembrava aleggiassero ancora le anime dei genitori. Voleva scappare, andarsene via e cercare fortuna. Jeremy era ancora alle superiori quando lui partì e così decisi di restare con lui, mentre Josh da un giorno all'altro fece le valigie e se ne andò. Non perdemmo mai i contatti e non appena il più piccolo terminò gli studi, decidemmo insieme di raggiungerlo in America. Il giorno del nostro incontro fu un giorno speciale. Ci ripetemmo il nostro motto per molte volte e andammo a vivere nella piccola e fatiscente casetta che Josh aveva affittato. Allora non aveva ancora preso in gestione il motel, ma ci sarebbe voluto poco. Poco a poco ognuno di noi trovò il proprio posto nelle bella America e non appena riuscii a raccogliere sufficienti soldi, inviai una lettera a Jane in cui le chiedevo di raggiungermi. Nel giro di pochi mesi io e la mia ragazza trovammo un piccolo appartamento in cui vivere senza troppa fatica. Jeremy intanto si era sistemato per quanto riguardava il lavoro e proprio lì aveva conosciuto Kevin. Tutto sembrava perfetto, ma ben presto mi resi conto di quanto Josh facesse fatica a trovare un posto di lavoro. Si era fatto un gruppo di amici che lo trascinavano ogni notte tra le strade in cerca di guai, si stava lasciando catturare dalla trappola dell'alcol e diventava ogni giorno più chiuso e incostante. Sapevo che il suo sogno era quello di gestire un albergo ma, nella sua situazione e con i pochi soldi a disposizione, fui in grado di trovargli solo quel motel da gestire. Lui me ne fu grato e si mise quasi subito a sistemarlo per renderlo ancora più accogliente, ma gli "amici" fuori lo tentavano spesso e qualche volta lui ci cascava ancora. Sono dovuto persino andare dai proprietari del motel per rassicurarli e dargli la mia parola che la situazione sarebbe migliorata. Poi in quella notte maledetta accadde l'inimmaginabile. Da quel momento smisi di aiutarlo e con mia grande sorpresa Josh riuscì ad abbandonare quella cerchia di falsi amici e a seguire il motel come si deve. Qualcosa in lui era cambiato.
- Sì, eravamo noi. Poi tu hai distrutto tutto! - ribatto accusandolo, quasi senza accorgermene.
- Smettila. Quanto ancora vuoi farmela pagare?  Ti prego lascia che...-
- Perché sei qui? Perché non vuoi lasciarmi? - chiedo con tono disperato.
- Perché so di aver sbagliato e ti chiedo di perdonarmi. Non voglio altro -
- Beh...il perdono vai a chiederlo a Jeremy, non a me - ribatto cattivo.
- Brad - dice abbassando lo sguardo - Perché avevi quella foto? -
- Cosa te ne importa! Lì c'è Jeremy e...-
- Ma ci sono anch'io! Dimmi perché hai quella foto davanti a te ogni giorno! - chiede quasi disperato. Non posso più fingere.
- Perché sei mio fratello! - urlo - Sei mio fratello e questo io non lo posso cambiare - abbasso il tono della voce.
- Vorresti cambiarlo? - domando impaurito dalla possibile risposta.
- Credimi, se potessi lo farei subito. -
Sono consapevole che con le mie parole lo sto ferendo e vedo nel suo sguardo il dolore per questa mia dichiarazione.
- Non dici sul serio, vero? -
- Invece sì. Ora vattene - dico a denti stretti.
- No, non me ne vado. Non finché non mi avrai detto il vero motivo di quella foto. -
- Perché...- esito, ma poi sento il bisogno di alleviare anche solo per un po' quel suo dolore - Perché sei la mia famiglia e per quanto io abbia cercato di allontanarti, non sono mai riuscito a farlo pienamente. Almeno in foto dovevo vederti. -
Josh accenna un piccolo sorriso. Anch'io sono felice per ciò che gli ho appena rivelato, ma poi mi torna in mente quella notte in cui fui costretto a vedere il corpo martoriato di Jeremy per il riconoscimento e tutto torna buio.
- Ma non hai il mio perdono. Ora vai! -
- Brad, ti prego. Perdonami! Credi che sia questo ciò che Jeremy avrebbe voluto? - domanda, cercando disperatamente un appiglio a cui aggrapparsi.
- Non parlare di lui! Non nominarlo neppure! - ruggisco inferocito.
- Se vuoi il perdono, te l'ho detto, vai da lui - aggiungo.
- Come posso?  Sai che lui...-
- Lo so. Se lui non ti può dare il suo perdono, allora non avrai neanche il mio. -
Mentre fingo di sistemare delle carte, ripenso ai mesi trascorsi accanto a Kevin. Non ho mai parlato, se non in rare occasioni, ma a quanto sembrava sia io che lui traevamo giovamento dalla presenza dell'altro. Forse, se Jeremy non poteva dargli il suo perdono con le parole, il povero Kevin avrebbe potuto. Kevin forse avrebbe potuto aiutarmi una volta di più.
- Vuoi il mio perdono? - chiedo freddo.
- Sì, te ne prego. Non pretendo che torniamo come una volta ma...-
- Bene, allora vieni con me. -
Detto questo, afferro la giacca e senza aspettarlo mi precipito fuori dall'ufficio. Dopo aver dato alcune indicazioni a Cooper, guardo con la coda dell'occhio se Josh mi sta seguendo e una volta visto, mi dirigo con passo svelto verso casa mia. Nessuno dei due parla, anche perché Josh se ne sta dietro di me come un cane rassegnato. Entro in casa per prendere le chiavi della macchina e avviso Jane che mi sarei recato con Josh da Kevin.
- Con Josh? - chiede un po' sbalordita.
- Poi ti spiego - la rassereno con un bacio ed esco. Josh è rimasto fuori e non appena mi vede arrivare si dirige verso la mia macchina. Una volta che si è scongelata, metto in moto e partiamo.
La guida non è facile con il ghiaccio che si è formato per le strade perciò cerco di ignorare la figura che siede nel sedile accanto al mio e mi concentro sulla strada da percorrere.
Dopo circa venti minuti di viaggio e di silenzio, raggiungiamo la destinazione. Ci troviamo fuori paese, in una casa isolata e immersa nel bianco della neve. In effetti tutto è bianco.
- Scendi - ordino.
- Dove siamo? -
- Scendi e vai a suonare a quella casa! - sbotto rabbiosamente. Josh la osserva prima da dentro e poi lo vedo irrigidirsi. Si volta sbigottito.
- No, non da lui -
- È lui che devi affrontare -
- Ma io...- cerca di ribattere. Vedendo che sono del tutto indifferente, si rassegna e con mano insicura apre la portiera e se ne va verso la casa. Lo vedo stringersi nelle spalle e avanzare rapido. Il freddo è come una morsa. Aspetto in macchina, in attesa di vederlo entrare. Da lontano riesco a intravedere Kevin che a quanto pare non sembra molto in vena di visite, ma chi lo sarebbe dopo che la persona da te amata ti è stata strappata via? Il dolore è ancora vivo in lui, si vede persino da questa distanza. Mentre aspetto decido di ascoltare la radio per placare le mie emozioni, ma non appena sento il giornalista affermare con calma che oggi è venerdì, mi tornano in mente le parole di Kevin:
- I venerdì non saranno più gli stessi per me. Li odierò, ma non potrò fare a meno anche di amarli perché...- e lasciò la frase in sospeso. Non faccio in tempo ad alzare lo sguardo che vedo mio fratello piegarsi per il pugno che Kevin gli ha rifilato.
- Cazzo! - borbotto, scendendo dalla macchina e sentendo montare dentro di me una strana rabbia. Perché mi arrabbio se Josh viene toccato? Dopotutto io sono il primo a picchiarlo se mi si avvicina troppo, ma vedere che qualcuno lo colpisce mi fa salire un forte senso di protezione nei suoi confronti. Maledizione a me e ai miei sentimentalismi! Senza pensarci un attimo afferro Kevin per la camicia e lo sbatto al muro. Ci scambiamo qualche parola, dopo di che guardo Josh a terra e, mentre Kevin entra in casa, lo aiuto ad alzarsi. Non avrei dovuto intromettermi, ma è stato più forte di me.
In casa mi sento a disagio. La conosco perché sono stato più volte da Kevin a fargli visita, ma mai ho notato quella foto che in questo momento Josh sta osservando. La guardo anch'io e una forte nausea mi assale. Mi sento male al pensiero che il mio piccolo Jeremy è sotto terra, con il suo cuore spezzato e i sogni infranti.
- Siamo qui...- comincio a parlare, ma non so cosa dire ancora. Mi muovo verso mio fratello Josh, che se ne sta zitto e seduto sulla sedia di fronte a Kevin.
- Scusate, io dovrei andare al...- si ferma, ma poi continua - beh, devo andare. Se siete venuti solo per ricordarmi di Jeremy allora vi dico che non serve, grazie. Mi ricordo di lui ogni giorno, ora, minuto e secondo della mia vita - ringhia a denti stretti fulminando mio fratello. Non appena sento le sue parole, capisco che lui tutti i venerdì li passa al cimitero con Jeremy. Non ha ancora perso il bisogno di lui e lo comprendo appieno. Serro gli occhi e ricomincio a parlare:
- Siamo venuti qui per farla finita. Per sempre -
- Per me è già finita. La mia vita è finita quella notte - dice Kevin e queste sue parole mi fanno quasi venir voglia di prendere a pugni mio fratello. Decido di placare questo mio desiderio, così mi volto e mi avvicino a Josh, poso un braccio sul tavolo e con l'altro lo costringo a guardare in faccia Kevin.
- Allora? - sputo fuori. Voglio che sia lui a parlare, che chieda perdono alla persona in vita che più è rimasta ferita da questa storia. Ma ciò che accade non me lo aspettavo. Josh comincia a parlare rapidamente, quasi sia preso da spasmi. Implora il perdono di Kevin. Inizia un discorso tra loro e decido di restarne fuori, ma quando sento mio fratello spiegare i motivi del suo comportamento mi sento mancare. Ho sbagliato, ho sempre sbagliato tutto. Non avrei mai dovuto intromettermi tra di loro e, per la paura che si mettessero uno contro l'altro, ho causato involontariamente l'incidente. Perché è questo ciò che è stato: un incidente. Lo vedo solo adesso. Come potevo pensare che Josh l'avesse fatto premeditandolo? Lui era cambiato da quando eravamo giunti in America, ma non ero stato così scaltro da rendermi conto che si stava chiudendo in sé stesso perché vedeva che io e Jeremy eravamo più uniti che mai. A farmi sbagliare è stata la mia paura. La paura che quella verità non venisse accettata da Josh mi ha portato a separarli, ma mai avrei immaginato che sarebbe accaduto ciò che poi è successo. La morte di Jeremy non è stata solo colpa di Josh, anch'io ho giocato un ruolo importante in questa storia e la terribile verità che ho appena scoperto mi lascia senza fiato. Kevin ha ragione: ognuno ha le sue colpe, ma perché continuare a ferirsi a vicenda quando ci possiamo aiutare e possiamo curarci le ferite tra di noi? Senza un attimo di esitazione sono io a chiedere perdono a Josh e ad accettare la verità. Tutto è duro, ma forse mio fratello ha ragione: forse davvero Jeremy in questo momento ci osserva, finalmente sereno perché la sua famiglia ha ritrovato la pace.
Qualcuno bussa alla porta. Mentre Kevin si dirige verso l'entrata, io guardo mio fratello negli occhi per la prima volta dopo anni. Ci sorridiamo e gli passo un braccio attorno al collo.
- L'ho sognato, sai? - dice Josh.
- Cosa? - chiedo curioso.
- Che ciò fosse possibile. -
Non dico nulla, semplicemente poso la mia fronte sulla sua come feci l'ultima volta con Jeremy quel giorno. Sento che qualcosa si è ricostruito, che qualcosa di nuovo sta nascendo e non posso che essere grato a Kevin per questo. È lui il primo ad aver accettato la richiesta di perdono.
Mentre rifletto, seguo Josh che si sta recando verso il proprietario della casa. Ed è in quel momento che lo vedo sbiancare, nel momento stesso in cui Ennis e una ragazza compaiono alla nostra vista.
Mi torna in mente quel pomeriggio in cui Josh disperatamente chiedeva un mio consiglio. C'entravano delle lettere e un certo Jack.
- Ho scritto io quella lettera - mi rivelò quel giorno, ma solo in questo momento mi rendo conto che in tutto questo c'entra anche Ennis. Ricordo che dopo avermi spiegato tutta la storia, Josh mi chiese se avesse agito correttamente ma io non sapevo cosa rispondere. Domandai una cosa sola:
- Quale lettera hai scritto tu? -
La risposta non mi arrivò mai.

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