Ripenso a lui, a quelle sue parole che mi hanno accompagnato per tutta l'infanzia e che mi segnarono nel profondo come una cicatrice. Ripenso a quel suo sguardo freddo, quasi glaciale che terrorizzava me e mio fratello. Eravamo bambini, eravamo puri e innocenti ma di questo a lui non è mai importato. Per mio padre siamo diventati uomini appena abbiamo appreso l'uso della parola. Ci guardava con occhio torvo, con un pizzico di disprezzo come se non fossimo neanche figli suoi; ci picchiava per renderci più uomini, più duri e resistenti al dolore e soprattutto ci parlava. Si rivolgeva a noi con tono violento, perentorio e da superiore. Dopotutto noi eravamo i suoi servi: coloro che avrebbero dovuto servirlo e riverirlo fino a che non sarebbe morto, cosa che accadde assai presto. A crescermi infatti è stato per lo più mio fratello maggiore: anche lui nei modi non era molto gentile e premuroso, ma di certo era meglio di quel bastardo di mio padre. L'uomo vero ha tre compiti: sposarsi con una bella puledra, lavorare per mandare avanti la baracca e tramandare il proprio nome! urlava sempre nostro padre nei momenti in cui era sbronzo. Mio fratello ed io ci guardavamo impauriti e speravamo che non facesse del male a nostra madre, ma non sempre la giornata finiva bene. Passai i primi dieci anni della mia vita a subire le ferree regole di casa e poi accadde lo stesso con mio fratello, sebbene lui mi desse maggiore libertà. Ogni volta che dovevamo apprendere una lezione di vita, come amava dire nostro padre, ci prendeva e ci portava lontano da casa e da nostra madre così che lei non potesse far nulla. E così mi ritrovo a pensare a quell'episodio che non dimenticherò mai, che mi sconvolse la vita e che tormenta ogni attimo della mia esistenza. Quella lezione di vita aveva due nomi: Earl e Rich. Due cowboy dalla pellaccia dura che però tutti prendevano in giro e deridevano. Perché? Semplice: vivevano insieme. Sono la vergogna della mascolinità, sono depravati e malati: non sono uomini e voi dovete esserlo! ripeteva sempre nostro padre e lo disse anche quel giorno d'estate. Mentre ci portava in fondo alla valle, dove vivevano i due cowboy, né io né mio fratello parlammo: eravamo troppo terrorizzati da quella figura gigantesca e poco paterna. Una volta giunti a destinazione capimmo la lezione che quel giorno nostro padre voleva imprimerci e imporci: Earl se ne stava a terra, nel letto del fiume, con le gambe aperte e la bocca spalancata. Era morto. Il buco che aveva in mezzo alle gambe mi fece capire che era stato tirato per il membro fino a che non gli si era staccato ed era morto dissanguato. A conti fatti quelli come lui hanno la fine che si meritano ci disse poco prima di mettersi a ridere, con quella risata sguaiata e da raggelare il sangue. Avrei voluto piangere, ma un vero uomo non piange. Non mi ci volle molto per capire che molto probabilmente ad uccidere Earl fosse stato proprio mio padre. Era troppo felice, troppo soddisfatto della morte dell'uomo. Ripenso a questo episodio ogni volta che Jack mi abbraccia, ripenso a quelle sue parole ogni volta che il moro mi bacia e ripenso a quella risata maligna ogni volta che io e Jack andiamo a letto assieme. Non posso tradire cosi mio padre, non posso essere la sua vergogna. Non io. Tutti questi pensieri tormentati mi assalgono mentre lo guardo andarsene via con passo sicuro e la testa dritta. Jack Twist non è come me, lui non capisce quello che io provo e che ho vissuto. Lui non segue le lezioni di vita. Io devo seguire la ragione e la ragione mi dice di non fermarlo, di lasciarlo andare per non cadere nella depravazione. Ma mi sento svenire, mi sento come se una morsa avvolgesse il mio fragile cuore e non posso fare altro se non nascondermi nella mia camera. Riguardo il letto sfatto e i flash del pomeriggio trascorso con Jack mi assalgono: il suo profumo, la sua calda saliva sul mio corpo e le sue mani delicate che mi accarezzano. L'apice del piacere raggiunto assieme e poi le ore trascorse addormentati l'uno nelle braccia dell'altro. Sento il mio corpo risvegliarsi al solo pensiero delle labbra del moro sul mio corpo. Dovrei smetterla di pensare a lui...a Jack. Forse sono stato freddo, cattivo e maleducato (quasi come mio padre) a cacciarlo via in quel modo, ma non avevo altra scelta: o crollavo e cedevo alla sua richiesta oppure lo trattavo male e mi liberavo di lui. Quella lezione di vita, scolpita alla perfezione sulla roccia della mia esistenza, scelse la seconda opzione. Siamo nel Wyoming, nel 1975 e certe cose non sono ammesse. Uomini con uomini non va bene, donne con donne sono un orrore mentre uomini con donne si! Ed è giusto cosi, no? Chi è come Jack è solo uno scherzo della natura. Uno scherzo cattivo e io non posso essere così. Io devo essere l'orgoglio di mio padre. Mi getto sotto le coperte e inalo questo profumo così inebriante e ricco di desiderio. Ma ecco che un pensiero mi assale: come potrò vivere senza essere più toccato e guardato da Jack? Non sono certo di essere bello, ma quando mi vedo riflesso nei suoi occhi mi sento l'uomo più affascinante della Terra. Mi sento libero, sento che posso essere me stesso. Ma il mio io più profondo è solo un'errore, una parte nauseabonda e sbagliata. Ripenso a quelle sue spalle possenti, a quelle sue lunghe gambe muscolose e a suoi occhi chiari che mi hanno incatenato. Il suo sorriso malandrino, il suo modo di fare quasi da superiore ma infondo umile e impacciato, mi hanno intrappolato. Sono caduto nella stessa trappola di Earl e Rich, ma io posso ancora farcela perché dopotutto non mi sono arreso e non sono andato a vivere con lui. Mentre sto per addormentarmi, un'altro ricordo prende prepotentemente possesso della mia mente. Maledizione! Non dovrei pensarci, ma tutto di me a quanto pare sembra essere sopraffatta da lui. Ricordo perfettamente quel giorno: il giorno in cui lo rividi dopo quattro lunghi, interminabili e pesanti anni. Ricordo quel momento in cui posai le mie labbra sulle sue con così tanta foga da farmi quasi impazzire. A quei tempi ero ancora sposato con Alma e le mie figlie avevano pochi anni di vita. Dovevo essere l'uomo più felice della terra: una moglie adorabile che mi amava, due figlie bellissime e una casa in cui vivere. Avevo seguito alla perfezione le parole di mio padre, ma c'era qualcosa che non andava. Non ero felice. Ero tormentato da pensieri e desideri che non sapevo neppure io. Ma fu grazie a quel giorno che capii cosa non andasse nella mia vita: capii ciò che desiderava veramente il mio cuore. Alma portava un abito azzurro: era molto carina, somigliante ad una bambola di porcellana; ricordo che pensai fosse la donna più bella della Terra, ma di certo non la persona più bella. Perché c'è differenza tra le due: ci possono essere donne e uomini bellissimi, ma è con una persona speciale che ti leghi indissolubilmente a prescindere dal sesso di questa. E io mi sono legato a lui, forse troppo e di certo non mi sono legato a lei allo stesso modo. Alma è bella, ma non è Jack. Però perché mi devo essere legato così indissolubilmente ad un uomo? Faccio davvero schifo, sono un essere umano orrendo e forse non sono neanche un uomo. Mia moglie era una brava donna e avrei dovuto amarla, ma non ci riuscivo. Qualche giorno prima del divorzio, si avvicinò a me e mi disse:
- È inutile che continuiamo a fingere. Guardami negli occhi e dimmi che mi ami. -
La sua richiesta mi sembrava impossibile. Naturalmente non ci riuscii. A dire la verità, ora che ci penso, non ho mai detto ad Alma un ti amo. Non l'ho mai detto neppure a Jack se è per questo. Non l'ho mai detto a nessuno punto. Solo adesso capisco che con quelle sue parole Alma volesse darmi un'ultima possibilità. I miei pensieri poco a poco scacciano l'immagine di Alma e mi ripresentano quel fatidico rincontro: non lo vedevo da quando ci eravamo lasciati su a Brokeback e avevo una voglia matta di riabbracciarlo. Ero spaesato e spaventato dal mio stesso desiderio. Ricordo che Jack ci mise più del previsto a raggiungere il paesino dove abitavo con Alma e le nostre figlie. Ero nervoso e mi ero fumato un bel po' di sigarette. Quando ormai avevo perso le speranze, sentii il motore di un pick-up sotto casa: il cuore sobbalzò e il respiro si fece corto. Mi alzai dal divano e mi precipitai alla finestra dove lo vidi che indossava una camicia rossa e un gilet marrone. Il solito cappello e quel sorriso malandrino che mi stava facendo impazzire. Sorrisi e senza avvisare Alma lo raggiunsi correndo. Uscito di casa mi fermai per godermi quel momento.
- Non ci speravo più ormai - dissi con il corpo in vibrillazione. Lui sorrise e mi precipitai tra le sue braccia. Quando lo sentii avvolgermi completamente capii che un semplice abbraccio non mi sarebbe bastato. Volevo di più. Jack aveva risvegliato qualcosa in me che dormiva ormai da quattro anni. Senza esitare, guardandomi per un secondo attorno, lo afferrai per la camicia e lo spinsi dietro casa per essere il più nascosti possibili. Con un colpo deciso tolsi il suo capello e con foga lo baciai. Jack rimase un po' spiazzato dal mio stesso desiderio, ma non si fece intimorire: prese la situazione in mano e mi spinse ancora più indietro, ricambiando il bacio. Non sapevamo che Alma in quel momento avesse deciso di aprire le finestre. Noi due sembravamo rapiti dalla passione e non riuscivo a staccarmi dal corpo di Jack: averi voluto spogliarlo e prolungare quei dolci tocchi, ma sapevo che Alma ci stava aspettando in casa e perciò di malavoglia mi staccai da lui. Mentre gli sussurravo queste parole mi sistemai la camicia azzurra che era uscita fuori dai pantaloni.
Lo so, faccio schifo! Dovrei provare nausea e disgusto per aver baciato un uomo, ma stranamente quei baci mi donavano solo piacere e un senso di sicurezza. Mentre ripenso a questo dolci attimi, crollo addormentato con un lieve sorriso sulle labbra.
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Ritorno a Brokeback Mountain
Fiksi PenggemarQuesta è la storia di Ennis e Jack se le loro vite si fossero incrociate più spesso, se avessero detto meno volte "no" e più volte "si" al loro amore puro. Amore, rabbia, gelosia si incrociano e alla fine chi trionferà? Sarà inevitabile la morte di...