The brand

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- Ennis, Ennis! -
Il tono pacato e amichevole di Josh mi sveglia. Senza rispondere e ancora completamente addormentato rivolgo la faccia dall'altra parte del cuscino e mi lascio avvolgere di nuovo dal sonno.
- Ennis! -
Questa volta la voce è più perentoria.
- Cosa c'è!? - gracchio assonnato.
- È tardi, hai dormito tutto ieri e tutta la notte. Devi andare al lavoro - risponde, sedendosi sulla sedia che si trova di fronte al letto e accendendosi una sigaretta. Cazzo! Impreco mentalmente. Senza aspettare un secondo di più e con la testa che mi scoppia mi precipito fuori dalle calde lenzuola e mi getto in bagno.
- Hanno telefonato dal lavoro? - domando mentre mi lavo i denti.
- No tranquillo, però meglio se ti sbrighi. Altrimenti arriverai in ritardo e non so quanto il tuo capo te la farebbe passare liscia - constata in modo divertito. Mi cambio in fretta e furia e assieme al mio amico esco dalla camera. Non gli rivolgo la parola, semplicemente poso le chiavi sul bancone e me ne vado.
- Parliamo sta sera? - ma le sue parole mi sembrano più un obbligo che una richiesta.
- Forse - dico senza neanche voltarmi. Il sole è appena sorto all'orizzonte, con una leggera copertura di nuvole e illumina il cielo di un rosso aranciato creando un'atmosfera quasi surreale. È presto, ma per me è già tardi e così non ho il tempo di ammirare i colori dell'alba che si riflettono nei miei occhi. Metto in moto e parto, cercando di cacciare i pensieri che tentano in tutti i modi di prendere prepotentemente possesso della mia mente. Il paesaggio è sempre il solito, non c'è nulla che mi permetta di distrarmi, perciò accendo la radio e ascolto le notizie. Niente di interessante. Cambio frequenza e la musica rock mi assale le orecchie. Mi passo una mano sugli occhi per darmi una svegliata, dopo di che spengo la radio. Non posso fare altro che pensare. E a chi posso pensare se non a Jack? Ma perché non riesco a staccarmi definitivamente da lui! La voce di mio padre mi rimbomba in testa: una puledra, ecco cosa deve avere il vero uomo. Inevitabilmente tiro un pugno al volante e per poco non esco di strada. Devo assolutamente fermarmi, perciò accosto il pick-up e riprendo fiato. Intorno a me c'è solo il verde dei pascoli, e questo verde così acceso e vivo mi ricorda gli immensi prati di Brokeback, quelli in cui io e Jack abbiamo consumato per la prima volta il nostro desiderio. Non dico amore perché lui non ha mai detto di amarmi e quindi...io l'amo? Puo' il mio amore dipendere dalle sue parole dette o non dette? Quello che so è che sono fortemente attratto da lui, un desiderio irrefrenabile mi consuma e mi spinge a cercarlo di tanto in tanto...ma poi il pensiero di ciò che è giusto e sbagliato mi porta ad allontanarlo immediatamente. Lo allontano per paura di innamorarmi definitivamente di lui e questo so che non è giusto. Non è giusto per me, non è giusto per lui e non è giusto per la legge. Anzi per la legge è illegale e io mi sono sempre ritenuto un uomo fedele allo stato, prima di conoscere Jack. Lui mi ha sconvolto l'esistenza e mi ha portato ad infrangere le regole che mi avevano sempre insegnato, mi ha portato a infrangere le regole di vita di mio padre. Sto fermo per qualche minuto, guardo l'ora sul cruscotto della macchina e devo per forza partire: il sole è completamente sorto.
- Del Mar! - urla il mio capo, una volta che sono giunto nelle stalle dei vitelli.
- Si? -
- Un'altro ritardo e sei fuori - dice in modo scorbutico. Annuisco con la testa e non rispondo. Entro nelle stalle dove i miei colleghi sono al lavoro: i vitelli hanno già fatto la prima poppata della giornata e alcuni sono stati marchiati con il simbolo del ranch.
- Prendi quella bestia - mi dice un tizio dai capelli rossi, che se non sbaglio si chiama Rick. Afferro con non poca fatica un vitello nero e bianco, con il musetto roseo e le orecchie grandi rispetto agli altri. Il cucciolo si dimena e scalcia, ma lo butto a terra e lo tengo fermo per le zampe. In mio aiuto vengono altri due tipi e Rick afferra il ferro rovente per marchiarlo. Inutile dire che i muggiti riecheggiano tra le mura della stalla non appena la pelle del vitello viene segnata a vita. Un'altra vacca marchiata. Mi blocco e fisso lo sguardo impaurito e terrorizzato del vitello: non so perché, ma nei suoi occhi rivedo me stesso. Lo stesso terrore, la stessa paura che qualcuno scorga il marchio che mi sento impresso addosso e che non riesco a lavare via. Quante volte mi sono lavato per cancellare quei baci e quelle carezza, ma puntualmente ci ricasco non appena scorgo quei suoi occhi profondi che mi sembra quasi sorreggano le fatiche della vita senza alcun problema. Lui è forte, lui è coraggioso...lui riesce ad affrontare la vita meglio di chiunque altro. Anzi, Jack sembra quasi sfidarla a duello e io non posso che provare ammirazione per tutta questa sua forza. Lo ammiro e ne ho paura. Paura che possa essere scoperto, paura che finisca con una sua sconfitta quel duello che lui stesso ha cercato. Jack non si rende conto di cosa rischia, lui non ha conosciuto Earl e Rich e sopratutto lui non ha visto con i suoi occhi cosa può fare la cattiveria dell'uomo nei conforti di un suo simile.
- Hai capito? - la voce dubbiosa di un ragazzo giovane mi risveglia dai miei pensieri.
- Cosa? - balbetto.
- Dobbiamo prendere anche i vitelli fuori. Tu continua a marchiare e io e Rick andiamo a riunire il resto della mandria. Va bene? -
- Bene. -
Anche i miei colleghi hanno capito che non parlo molto, anzi sanno che una semplice risposta mi costa tanta fatica. Ma non perché sia asociale o detesti parlare, ma semplicemente perché sono terrorizzato dal dire la cosa sbagliata. Se parlo potrei tradirmi, perciò meglio che stia zitto il più possibile. D'altronde mio padre aveva ragione: meglio che stai zitto Ennis, diceva, tu rischi di dire solo fesserie. Lascia parlare tuo fratello, sempre!
È sera quando finiamo di marchiare i vitelli, saluto tutti con un cenno del capo e trascinandomi a fatica monto sul pick-up. Sono esausto, ho la schiena a pezzi e non riesco neppure a pensare. Guido lentamente, tanto non ho nessuno dietro e la strada è sempre diritta. Giro a destra e poi per altri kilometri proseguo senza quasi toccare il volante. Dopo circa mezz'ora sono davanti al motel. Josh sta mattina mi disse che voleva parlare, ma di cosa? Ho paura perché nessuno, tranne Jack, mi aveva mai chiesto così esplicitamente di tenere un dialogo. Tutti accettano il mio mutismo. Smonto ed entro. Non si vede nessuno, così ne approfitto: prendo le chiavi velocemente e raggiungo la mia camera. Chiudo a chiave e senza neppure mangiare mi sdraio a letto. I muscoli mi pulsano per la fatica, le dita sono mezze inchilosate e provo dolore ad ogni respiro. Non so per quanto resto a guardare il soffitto, ma proprio quando sto per prendere sonno qualcuno bussa alla porta.
- Ennis? Apri. -
Josh McLaren. Uno scozzese immigrato nel Wyoming per rincorrere il suo sogno di avere un ranch. Non ebbe fortuna e l'unica cosa che riuscii a fare fu gestire un motel da quattro soldi. La vita non gli ha reso facile la parte lavorativa, ma per il lato affettivo è stata più che generosa. È un bell'uomo: ogni donna che arriva al suo motel gli muore ai piedi, anche se è sposata o fidanzata, e questo credo che a lui piaccia molto. E poi ci sa fare: è intrigante, il tipico bello e dannato.
Non rispondo: voglio stare da solo. Mi sento così in confusione, pieno di contraddizioni e sentimenti contrastanti e parlare con lui di certo non mi aiuterebbe. Josh è gentile ed è mio amico, ma per certi aspetti è un po' invadente.
- Vieni con me - dice con una voce grave.
Non rispondo ancora. Forse se me ne sto zitto, prima o poi si arrenderà...ma mi sbaglio. Sento che scende le scale e dopo qualche minuto le risale, infila le chiavi nella serratura e apre la porta. Cazzo!
- Ennis stai bene? - domanda preoccupato. Mi giro sul letto e vedo che la debole luce lunare gli illumina il viso. Ci fissiamo per qualche secondo e capisco che non ho altra scelta se non alzarmi, dato che non ho la forza di ribattere. Tende la mano verso di me, ma io non gliela sfioro nemmeno: aspetto che ritiri il braccio, dopo di che lo seguo. Mentre usciamo vedo che le piccole stelle incastonate nel cielo scuro e la luna alta illuminano la stradina che porta alle stalle. Quando è qualche metro più avanti di me, Josh si volta per scrutarmi nel profondo. Mi sento mancare, quasi un senso di vergogna per quel suo sorriso e quello sguardo così penetrante.
- Dai biondino, vieni! -
- Dove? - domando.
- Andiamo a sederci su quella panchina - mi risponde indicando la panca sistemata fuori dalla stalla. Come un cane rassegnato mi dirigo verso il punto indicato e ci sediamo. Josh rimane in silenzio per diversi minuti: l'imbarazzo e la tensione diventano padroni tra di noi. Lui è da subito stato gentile con me e si è sempre comportato da amico, nonostante io molto spesso sia stato maleducato e incostante.
- Quel Jack...beh...Ascolta Ennis, io non ho problemi per ciò che tu mi hai raccontanto e confidato, ma vedi secondo me...-
- Cosa? Non arrivare a conclusioni affrettate -
- Quello lì è proprio innamorato cotto di te - prosegue, ignorando la mia interruzione.
- Non dire così, non è vero - rispondo, sperando in cuore mio che sia la verità - Non mi ha mai detto ti amo, quindi...- lascio in sospeso la frase.
- Non c'è il bisogno di parole per dire certe cose Ennis -
- Tu credi? Jack è un tipo molto schietto con me, me l'avrebbe detto se avesse voluto -
- Allora significa che non...- si ferma, quasi si aspettasse che termi io la frase.
- Che non voleva - constato con un pizzico di amarezza. Non posso credere che Jack non provi dell'amore per me, cioè io desidererei molto che mi amasse ma sono anche pienamente consapevole che non posso dargli ciò che mi chiede. Non è giusto desiderare l'amore di una persona quando si sa che non si può ricambiare. È da egoisti. Basta! Devo smetterla di logorarmi in questo modo.
- Hey! Mi dispiace. Lascialo perdere quello lì -
A non piacermi è il "quello lì". Josh conosce bene il nome del moro e non capisco perché continui a usare quel termine. Si azzarda a sfiorarmi una mano e un flash del viso di Jack mi assale: le sue labbra tese in un sorriso e gli occhi brillanti ogni qualvolta mi vedono.
- Lasciami - sbotto improvvisamente. Occhi verdi si ritrae e riposa lo sguardo sulla luna.
- Non interpretare tutto come un tentativo di approccio - dice con fare innocente - Comunque adesso so che di te mi posso fidare. -
- Perché? -
- Come perché!? Perché sei speciale Ennis e devo ancora capire come quello li non se ne sia ancora accorto o forse è meglio così -
- Non chiamarlo "quello lì"! - borbotto.
- D'accordo. Ma attento, di lui non c'è da fidarsi -
- Lasciamo stare...Ora scusa ma sono stanco morto. A domani. -
Mi alzo e mi dirigo verso le stalle, dove riposa tranquillo il morello. Ho bisogno di cavalcare, ma le gambe e le braccia mi fanno male. Troppo male per riuscire a stare in sella. Le parole di Josh hanno insinuato in me il dubbio che alla fine Jack non ci tenga veramente a me. Si è vero, mi ha detto che è innamorato, ma non mi ha mai detto di amarmi. Perché? Forse è giusto così, forse è meglio che mi rinchiuda nel mio solito riccio finché non trovo la donna giusta per me. Si ecco cosa devo fare! Seguire le parole di mio padre: non posso farlo rivoltare ancora una volta nella tomba. Dopotutto lui mi voleva solo insegnare ad essere un uomo e io fino ad ora non gli ho mai dato retta...e che ho combinato della mia vita? Nulla. Un divorzio e basta. Forse è ora che segua i suoi consigli: lui un matrimonio è riuscito a portarlo avanti fino alla fine dopotutto, mentre io no. Jack, perché non mi dovrei fidare di te? Cosa sa Josh su di te tanto da spingerlo a pronunciare quelle parole? Accarezzo il muso del cavallo e rimango in ascolto del ritmo del suo respiro.
- Hey bello! Che dici, mi lasci dormire qui sta notte? - gli sussurro in un orecchio. Il morello nitrisce.
- Lo prendo come un si - sorrido. Chiudo la stalla e mi sistemo per la notte. Abbasso le palpebre e sogno. Sogno di monti, di cavalli, di boschi e di pascoli. E poi naturalmente sogno di Brokeback Mountain, il posto più bello e brutto, allo stesso tempo, della mia vita. Il posto in cui baciai per la prima volta un uomo.

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