Soul in the mirror

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Ripetiti chi sei, Ennis, ripetiti chi sei. Non dovrebbe essere difficile fare un piccolo elenco mentale degli avvenimenti che mi sono capitati in questi giorni, eppure la mia mente sembra come annullata. Il mio corpo è percorso da brividi nonostante sia avvolto da una pesante coperta di lana, mi bruciano gli occhi e sento che potrei scoppiare da un momento all'altro. Le lacrime potrebbero diventare le compagne di questa notte, ma nella testa rimbomba la voce di mio padre: Così tu saresti un uomo? Uno che piange per un frocio in meno? Dovresti urlare di gioia, non piangere. Gli uomini veri non piangono. Mi alzo. Il respiro si fa affannato, il petto si alza e si abbassa all'impazzata e le mani cominciano a stringersi a pugno. 
- Adesso basta - bisbiglio a me stesso con una flebile voce. - Basta - continuo, questa volta rivolgendomi a quella stra maledetta voce. Mi guardo allo specchio di fronte a me e riesco a vedere riflessa l'immagine di mio padre: la barba incolta, lo sguardo severo e maligno e la bocca piegata in una smorfia di disgusto. È in piedi, nella sua solita posizione da strafottente. Sono costretto a piegarmi, mi inginocchio nonostante senta in me un forte senso di disapprovazione e dolore. Non dovrei arrendermi a lui, non dovrei lasciare che mio padre riesca a controllare in questo modo la mia vita. Sì, perché la sua vita l'ha vissuta come più credeva e voleva, ma adesso persino da morto pretende di controllare anche la mia o forse...Forse sono io che glielo permetto, che gli ho da sempre autorizzato (magari inconsciamente) di manipolarla come più gli piaceva. 
- Ennis...Ennis - una voce dolce, familiare e calda mi riscalda l'orecchio e parte del collo. Alzo lo sguardo temendo in uno scherzo cattivo di mio padre, invece vedo Jack. Le sue labbra piegate in un sorriso, gli occhi illuminati da una luce particolare e quel ciuffo ribelle di capelli che gli sta sulla fronte. Il suo sguardo è sereno, come se fosse in pace con se stesso. Ma come fa? 
- Jack io...- vorrei parlare, ma mi mancano le parole. 
- Ennis devi lasciarlo andare, devi superarlo - afferma. Il suo tono non è di vendetta, ma tranquillo quasi fosse la cosa più naturale di questo mondo. 
- Non posso - 
- Si che puoi...Ci riuscirai - 
- Non senza te, Jack. Mi hai sempre dato forza e...- non riesco a dire altro perché un suo dito si posa sulle mie labbra: la sua pelle è calda, il contrario di me. È illuminato da una luce strana, mentre io e mio padre, che se ne sta dietro di me, siamo al buio più oscuro. 
- Vieni con me Ennis, vieni con me - e queste furono le sue ultime parole perché sparì. Allungo un braccio come per trattenerlo, ma afferro l'aria. Una risata sguaiata mi fa raggelare il sangue. Mi volto, ancora inginocchiato e sollevo lo sguardo: papà mi sta fissando divertito. So perfettamente che lui non si abbasserà per parlarmi: lui non si abbassa alle persone che non crede siano uomini, così mi faccio coraggio e mi alzo io. Non mi elevo al suo livello per diventare come lui, ma semplicemente per affrontarlo una volta per tutte. Voglio guardarlo un faccia. Un forte istinto mi assale: vorrei stringergli le mani attorno al collo e vederlo strabuzzare gli occhi, ma so per certo che non è ciò che intendeva Jack. Non posso abbassarmi a un livello infame come lui ha fatto per tutta la sua vita, perciò stringo la mascella e parlo: 
- Ti perdono padre - riesco a dire con voce un po' titubante. La storia che mi ha confidato Brad mi ha dato una forza che non pensavo di possedere.
- Non è ciò che pensi, non mi freghi. Non puoi mentire a me - risponde schifato, sputando di lato. Poi improvvisamente mi sento invadere da una forza sconosciuta, ma non mi ci vuole molto per capire che la forza di Jack è in me. Lo immagino che mi sorride da sopra la sella della sua puledra indomabile. 
- Io ti perdono, ho detto - dico sicuro di me. Lui si fa serio. Non se l'aspettava. Il buio che ci avvolge rende l'atmosfera ancora più irreale, ma con la coda dell'occhio osservo che una flebile luce sta facendo capolino dietro di me. 
- Non è il tuo perdono che voglio! Voglio che tu sia un uomo! - sbraita ancora arrabbiato. È sorpreso del mio sguardo sereno e sinceramente lo sono anche io: cosa mi sta succedendo? Sento in me un coraggio mai provato prima e una forza mai avuta. 
- Lo sono padre, lo sono - affermo con voce sicura. Cerco di avvicinarmi a lui, ma indietreggia e mi spinge via. È sconvolto, mentre io sento una pace che non ha spiegazione. 
- No! Non lo sei! Tu mi hai sempre ascoltato e lo farai anche questa volta! - urla puntandomi un dito contro e sputando un po' di saliva da tanta è la collera. I suoi occhi sono infuocati. 
- Non ti sto disubbidendo padre: questo sono io, tuo figlio - e senza esitazione gli afferro una mano, posandola sul mio petto. - Sono io questo, padre. - 
Come previsto, lui si tira indietro e mi caccia uno schiaffo così forte da costringermi a piegarmi di lato. Nonostante questo gesto, sento crescere in me la tranquillità. Quando però mi ricompongo, non è più mio padre che vedo, bensì me stesso. 
- Credevi che sarebbe stato così facile, eh? È me che devi affrontare - dice. Spaesato mi guardo attorno: di mio padre non c'è alcuna traccia. La serenità e la pace che sentivo un attimo fa, sono sparite e sono assalito da un forte senso di nausea e orrore. Non so cosa fare. Jack, dove sei? 
- Non ci sarà lui ad aiutarti. Questa è una faccenda tra me e te. - 
Siamo vestiti uguali, ma per il resto siamo completamente diversi. Persino la luce non ci colpisce entrambi: illumina una parte di me e lascia completamente al buio l'altro Ennis. Ripenso a mio padre e credo che lo schiaffo sia stato l'ultima sua cattiveria. Adesso mi sono liberato del suo fantasma, ma non credevo che se avessi intrapreso questo percorso avrei dovuto affrontare anche un'altra lotta: quella contro me stesso. O forse non è una lotta. Forse è solamente un confronto, ma senza la forza di Jack non posso farcela. Come se mi leggesse nel pensiero, l'altro mi parla:
- Speri che venga a salvarti? Jack ti ha lasciato, non te lo ricordi più? - dice, forse più sofferente di me. 
- Lascialo stare, tu devi lasciarlo stare! - 
- Devi accettarti Ennis, non l'hai capito? Devi accettarmi. - 
Credo che venga colto da un improvviso senso di disperazione, perché una lacrima gli scende e gli riga la guancia. 
- Chi sei tu? - domando curioso e sbalordito. 
- Io sono Ennis. L'Ennis che non hai mai accettato, l'Ennis che ti sei sempre rifiutato di amare. Tu hai sempre e solo dato retta a quel "te" che più si adattava e conformava alle aspettative della società. Ma ci sono anche io! Tu mi hai sempre represso e non parlo solo del fatto...-
- Del fatto di essere gay? - lo interrompo. Sposto lo sguardo da lui verso i miei piedi. Comincio a capirci qualcosa, ma non è per nulla facile. Mi sento come se una parte di me mi mancasse, mi sento vuoto e mi basta uno sguardo per capire che l'uomo che è in piedi davanti a me è colui che mi completa. 
- E cos'altro? - chiedo spaesato. Sapevo che c'era qualcosa in me che non andava, sapevo che da tutta la vita combatto una lotta che non ha fine, ma ora che mi trovo di fronte a questo Ennis capisco che senza di lui non sono più io. 
- Tu sei la mia parte cattiva, quella violenta e maleducata? - chiedo con tono sicuro, come se conoscessi già la risposta. Lui si fa cupo, ma il suo sguardo è più sofferente che maligno. 
- Lo vedi? Non hai capito niente! Io sono tutte le parti che rifiuti di te: la dolcezza, il desiderio di essere amato ed accettato per quello che sei! E sono anche l'amore per Jack che tu hai sempre represso, ma di cui non puoi fare a meno, non è così? - la voce è pacata, mi si avvicina e con le mani fredde mi afferra il viso, costringendomi a guardarlo negli occhi. 
- Allora sono io il violento - dichiaro. 
- Ennis, tu non sei violento - 
- Ma mio padre...- 
- Ancora? No, lascia che adesso sia il tuo cuore a guidarti. Non ascoltare la mente. Tuo padre non c'è più e tu non sei come lui, noi non siamo come lui. - 
I suoi occhi e i miei si riempiono di un liquido trasparente: lacrime, che da sempre ho tenuto celate, escono come un fiume in piena. Ho pianto poco nella mia vita: forse quando ero bambino e mi sbucciavo un ginocchio, ma ho sempre dovuto farlo di nascosto da mio padre. Da grande invece ho preferito tenermi tutto dentro e ogni lacrima non versata finiva in quel serbatoio di dolore che ormai sta scoppiando. L'altro Ennis mi stringe forte a sé, ma sento le forze che crollano e sono costretto ad accasciarmi a terra tremante. 
- Io e te siamo una cosa sola, ma tu non mi accetti e mi combatti come se fossi un mostro, come se fossi io il nemico da abbattere. Non lo capisci che se uccidi me, uccidi una parte di te? -  
- Io credevo che tu...Che tu fossi il male per me. Ma sono stanco, stanco di combattere sempre e vorrei un po' di conforto. - 
Restiamo così, abbracciati, stretti l'uno all'altro. Quando apro gli occhi bagnati, mi accorgo che la luce ormai illumina entrambi e capisco immediatamente: finalmente mi sono accettato e sì, avevo sbagliato, perché ciò che dovevo affrontare non era una lotta, bensì un dialogo. Un dialogo forse ancora più duro e difficile di un combattimento corpo a corpo, un dialogo che avevo sempre evitato per paura di non riuscire a reggerlo, però ora capisco che erano solo fantasie mie. L'altro Ennis non è la mia parte malvagia. Io non sono cattivo. Ripresa la forza che mi era mancata fino a pochi attimi fa, mi scosto e lo guardo negli occhi: come mi sbagliavo! Non è diverso da me: siamo uguali e forse lui è anche più bello. 
- Dillo Ennis, dillo - mi incalza a tirare fuori le parole di bocca. Adesso non ho più alcun motivo per rifiutarmi: mio padre se n'è andato, l'ho perdonato e sono certo che adesso, se mi dovessi guardare indietro, non odierei il mio passato perché non ne ho più ragione. Sono libero. 
- Ti amo Ennis - affermo sicuro e felice. L'altro Ennis sorride e abbassa lo sguardo, poi anche lui ricambia. Ci stringiamo forte, ma più stringo e più lui sparisce. Entra in me e improvvisamente mi sento completo. Nonostante non abbia combattuto o salvato qualcuno, mi sento un eroe. Eroe di me stesso. Non sono un vincitore e non c'è alcun vinto: sono l'Ennis che finalmente si è accettato per ciò che è e nessuno mi farà ritornare sui miei passi. Una lacrima di gioia va ad unirsi a quelle precedenti. Si mischiano e si uniscono, come io mi sono riunito a quella parte che avevo rifiutato e che cercavo di dimenticare. 
Lo specchio riflette un Ennis diverso: le spalle sono dritte, non più curve e le gambe non sono in una posizione di difesa, di paura ma semplicemente sorreggono il nuovo me. Il petto si alza e si abbia regolarmente. I miei capelli, i miei occhi, la mia bocca: tutto è uguale e allo stesso tempo diverso. Sono finalmente uscito dall'inferno in cui mi ero gettato, da quella fossa che mi stavo scavando da solo e ne sono uscito più forte di prima, ma non ci sono riuscito da solo. Quella luce che mi illuminava da dietro e che poi mi ha avvolto completamente, mi ha fatto compagnia in questo mio cammino tortuoso. Jack mi ha aiutato ad affrontare mio padre, ma non a confrontarmi con me stesso perché quello era una cosa che credevo avrei dovuto fare da solo. Invece non sono stato abbandonato e dimenticato perché, per quanto mi sembri impossibile, è stata quella luce a darmi la forza per continuare. Alcuni la chiamano Dio e io non posso che essere d'accordo. Non credevo in Dio, ma questa pace immensa che sento dentro di me può essere scatenata solo dalla sua presenza. Avevo litigato con Lui, mi ero arrabbiato per ciò che mi aveva fatto, ma adesso so che non è stata colpa sua: ero io che non mi accettavo. Ho sbagliato perché giudicavo me stesso secondo i criteri della società, mentre lui non mi giudicava affatto. Lui non giudica nessuno e di questo adesso ne sono certo. Ricordo la voce di mia madre che mi diceva di aver fede: io non le credevo e non l'ascoltavo, pensavo solo che fosse una donna disperata in cerca di conforto in qualcosa che non esisteva, ma adesso che ho provato io stesso, che l'ho sentito sulla mia pelle, mi rendo conto che lei aveva ragione. Esiste davvero un Dio e io non sono mai stato solo. 
Le lacrime mi svegliano. La gioia mi sveglia. Sorrido e mi guardo attorno: il camino si è spento, ma non la luce dentro di me. Questa volta sono io ad illuminare la stanza col mio sorriso. E capisco: capisco che quella sensazione di attesa che mi nasceva ogni volta che mi trovavo di fronte ad un camino non si presenterà più. Perché? Perché ho raggiunto la fine del tunnel buio e la luce nuova e calda mi avvolge completamente. Ecco perché ho sempre amato la flebile ma potente luce dei camini: era ciò che mi mancava. Quel calore che tanto bramavo ora mi riempie e mi spinge con forza a tornare alla vita.
Con questa nuova consapevolezza nel cuore, lascio la casa di Brad, impaziente di ritornare dal mio amico e raccontagli gli avvenimenti. Quando apro la porta di casa, dopo aver lasciato un biglietto di ringraziamento al poliziotto, sento lo scricchiolio nella neve sotto i miei piedi. Alcune zone della strada si stanno ghiacciando, ma non è ancora così pericoloso da non poter muoversi con il pick-up. Cammino, cammino pensando a cosa dovrei dire a Josh. Le parole di Brad sono state dure, cattive, ma vedevo in lui anche un dolore per aver allontanato il fratello in quel modo. Sento i muscoli che si contraggono per il freddo, ma nel mio cuore provo un calore immenso tanto da avere persino caldo. Una volta raggiunto il pick-up lo scongelo e mi immetto nella strada assai poco trafficata. Guido piano perché voglio pensare. Non ho più la fretta di qualche ora fa: adesso tutto ciò che farò, lo farò con tranquillità. Accendo la radio e una musica mi riempie le orecchie: è tranquilla, malinconica e sofferta. È la stessa canzone che sentii quel giorno in pick-up con Josh, quando mi stava portando in città a fare compere. Guido ascoltando attentamente le parole e solo ora capisco come mai, quella volta, mi chiese se poteva cambiare frequenza: le parole narrano la morte di un amico, un amico speciale che morì per strada. Una lacrima mi scivola e finisce lungo il collo. Finalmente intravedo il motel. Accelero e dopo pochi minuti sono alla porta d'ingresso: non c'è più nessuno, d'altronde è quasi mattina. Entro e l'atrio è completamente al buio. Sento una voce femminile. Con passi leggeri mi avvicino alla porta della stanza di Josh e ascolto. 
- Mi capisce? È un'emergenza - scongiura una voce da donna. Non è Alma. Chi può essere a quest'ora di notte che prega Josh con tono disperato? 
- Mi dispiace, ma non posso dare informazioni sui miei clienti - risponde pacato Josh. Senza esitare un attimo di più, busso ed entro. Il mio amico e la donna sono seduti attorno al tavolo del piccolo salotto e si guardano, si studiano. Josh ha la mascella serrata e intravedo subito che sta nascondendo qualcosa; mentre la sconosciuta ha un'espressione disperata. 
- Cosa succede? - domando. 
- Ah...Sei qui! Nulla, vai pure a dormire - 
- Chi è lei? - insisto. 
- Mi chiamo Elizabeth, ma tutti mi chiamano Liz - interviene la ragazza, senza lasciare il tempo a Josh di rispondere. Sul volto del mio amico leggo disperazione e un senso di colpa, ma non so perché.

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