Home, goodbye

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He was a friend of mine
He was a friend of mine
Every time I think about him now
Lord I just can't keep from cryin'
'Cause he was a friend of mine
He died on the road
He died on the road
He never had enough money
To pay his room or board
And he was a friend of mine.

- Ti dispiace se cambio? - domanda Josh improvvisamente. Colto alla sprovvista, non gli rispondo. Questa musica mi stava coinvolgendo sempre di più, mi aveva catapultato in un'altra realtà e quest'ultima era accattivante. Perché? Semplice: Jack era accanto a me che mi teneva per mano, in silenzio, ma trasmettendomi un calore che mi stava facendo sciogliere. Vorrei avere lui accanto a me, vorrei sentire il suo respiro sul mio collo freddo, vorrei posare ancora una volta le mie labbra su di lui ma non mi ci vuole molto per rendermi conto che tutto ciò non è più possibile. Amo pensare a lui, però la consapevolezza che non è più mio mi lacera, soprattutto quando ripenso al modo in cui mi ha lasciato. So che non dovrei essere così possessivo, tuttavia non mi riesce a non esserlo.
- Allora? - il suo tono è insistente e un po' scocciato.
- Fa quello che vuoi - mugugno. Senza attendere un secondo di più, il mio amico cambia la frequenza della radio. Siamo nel pick-up, diretti in centro città per fare provviste. Odio andare in luoghi affollati: ho come la sensazione che tutti mi guardino. Non perché sia egocentrico, anzi. È una sensazione sgradevole quella che provo quando sono in mezzo alla gente: mi sento come se mi guardassero guardinghi, come se sapessero...come se sapessero tutto. Mi volto a osservare Josh per rispondere alla necessità di vedere un volto amico e cacciare così questi pensieri: la sua mandibola è serrata, lo sguardo perso sulla strada di fronte a noi e le mani afferrano quasi con violenza il volante.
- Che c'è Josh? - chiedo con un filo di voce. Lui pare spaventarsi, come se fosse stato colto con le mani nel sacco.
- Cosa? - balbetta passandosi una mano sugli occhi e scrutando fuori dal finestrino, quasi non volesse essere guardato. Poi si volta sfoggiando un sorriso finto. Non mi frega, ormai lo conosco.
- Avanti Josh...C'è qualcosa....Poco fa sei stato un po' acido e non è da te - affermo sicuro.
- Scusami, ma veramente...Non ho nulla -
- Sei serio? -
- Si - conclude, muovendosi sul posto come se nel rivolgergli la parola gli stessi dando fastidio. Non mi resta che starmene zitto. Ben presto però l'imbarazzo scende tra noi: nessuno dei due parla, ma è chiaro che nell'aria ci sono parole che vorrebbero essere pronunciate. Nessuno dei due però ha il coraggio di rompere il ghiaccio. Non posso fare a meno di vergognarmi: mi vergogno per il momento di debolezza in cui mi ha trovato l'altra sera, mi vergogno perché ho pianto per un uomo e non per una donna, mi vergogno perché un uomo non dovrebbe mai piangere. Per nessuno motivo.
Osservo il paesaggio che mi sfreccia di lato. Le case si stanno facendo sempre più numerose e il via vai di gente che cammina per strada si sta intensificando.
- Vuoi che ci fermiamo alla selleria? -
- No, lascia stare - rispondo - Non ho abbastanza soldi. -
- Ti posso fare un prestito -
- No! - ringhio scocciato. Queste sue parole mi ricordano il giorno in cui io e Jack ci siamo lasciati, dopo l'estate passata assieme. Ricordo che disse le stesse parole di Josh e io risposi che non ero mica un accattone. Ripensandoci mi viene quasi da ridere, ma subito dopo una fitta allo stomaco mi ricorda quanto sia stato male quel giorno. La consapevolezza di non vederlo più mi fece quasi vomitare il pranzo e le lacrime mi rigarono il volto per tutto il giorno.
- A che pensi? -
- A qualche anno fa...niente di che - mento a Josh. Continuo a ricordare, mentre il mio amico guida troppo silenziosamente. 
- Siamo arrivati! - annunciò dopo circa dieci minuti. Quando scendiamo dal pick-up ho tutte le gambe indolenzite. Non sono uno che ama viaggiare, ma a quanto pare la vita sta facendo di tutto per farmelo fare. Ho cambiato tante volte casa, ma nessuna di quelle che ho avuto mi è entrata nel cuore. Forse solo...Ma no, neanche quella. Josh e io entriamo nel grande centro commerciale: due donne ci passano accanto e automaticamente ci leviamo i cappelli in segno di cortesia.
- Tu fatti pure un giretto, io devo comprare un bel po' di roba. Mi aiuterai poi a caricare tutto nel pick-up, non c'è bisogno che tu venga con me - afferma Josh con una pacca sulla spalla. Annuisco con la testa e aspetto che sia lui ad andarsene. Cammino tra gli scaffali, osservando distrattamente i prodotti in vendita e canticchio tra me e me la canzone che ho sentito poco fa in macchina.
Dopo quasi un ora di attesa, decido di andare in cerca del mio amico. Percorro più volte i numerosi corridoi del centro commerciale, ma di Josh nessuna traccia. Sto quasi per perdere le speranze e andare ad aspettarlo in macchina, quando una camicia familiare attira la mia attenzione. Mi faccio strada tra la folla, alcune persone mi vengono addosso ma le ignoro totalmente. Ben presto mi accorgo che Josh non è dentro al supermercato, bensì fuori. Supero le porte a vetri e mi avvicino. Sto per fargli uno scherzo in modo che si renda conto che sono dietro di lui, quando lo sento parlare.
- È per il tuo bene amico mio - dice con un sussurro. Io gli sono dietro, in attesa che prosegua il suo discorso. Cosa vuole dire con queste parole? Chi è questo suo amico a cui si riferisce? Il suo tono è triste, quasi colpevole ma ne ignoro il motivo. Mi sporgo e noto che ha in mano una busta chiusa.
- Per chi è? - chiedo.
Josh si gira di scatto, con un urlo che attira l'attenzione di alcuni passanti.
- Dio mio Ennis! Mi farai morire così! - balbetta a fatica. Senza aggiungere altro mi lancia un'occhiata fugace, poi guarda la lettera che tiene in mano e con mani tremanti la nasconde dentro la giacca.
- Allora? - lo stuzzico. Mi sta nascondendo qualcosa e vorrei sapere cosa, dato che ci siamo giurati di non avere segreti.
- Niente, è una lettera che devo consegnare ad un mio vecchio amico...-
- Siamo sicuri? - lo fisso, cercando di avere uno sguardo penetrante e metterlo così a disagio.
- Sicuro - conclude. Mi fa cenno di seguirlo.
- Dai, prendi i sacchi che ho comprato e aiutami a metterli in macchina - mi invita e assieme, con la spesa in mano, ci dirigiamo verso il pick-up. Josh ha un bel fisico, ma il quanto a forza lo batto di molto. È per questo che mi ha convito a seguirlo in cittá: dovevo aiutarlo con i pesi.
- Devo andare a trovare mio fratello...Tu puoi fare ciò che ti pare - il suo invito sembra quasi un modo per sbarazzarsi di me il più velocemente possibile.
Si sta comportando in modo strano ultimamente e non riesco a trovarne il motivo.
- Se vuoi posso farti compagnia. Mi farebbe piacere conoscere tuo fratello. Quanti ne hai? -
- Non sono affari tuoi - gracchia acido. Okay, ma si può sapere che diavolo gli prende? Non voglio più aspettare, così mi precipito verso di lui: gli afferro la giacca e lo costringo a voltarsi.
- Allora? Che cazzo hai? - dico irritato.
- Lasciamo stare Ennis! Mollami! -
- Ti ricordi cosa ci eravamo promessi? Niente bugie e niente segreti...-
- Due! Okay, ho due fratelli -
- E ci voleva tanto - attenuo il tono della voce.
- Ora lasciami andare. -
Quando lo libero dalla mia presa, Josh si allontana senza voltarsi.
- Dai che vengo con te - dico raggiungendolo.
- No, vattene -
- Lo so che mi vuoi, amico - insisto.
- Ennis ma si può sapere che cazzo hai? Vuoi lasciarmi in pace? Lasciami stare! -
- Ma che ti prende? - chiedo perplesso e basito.
Forse Josh si è reso conto di ciò che ha detto e del tono che ha usato, infatti addolcisce lo sguardo e mi si avvicina.
- Devo fare una cosa. Ma la devo fare da solo. Aspettami in macchina, non ci metterò molto - detto questo mi fa una carezza sulla spalla - Ti prego, aspettami - e se ne va, sparendo tra la folla. Con queste sue parole ha insinuato in me una curiosità allucinante, il desiderio di seguirlo e spiarlo si sta facendo sempre più forte. Non dovrei fare ciò che vorrei fare, dovrei fidarmi di Josh e lasciare che faccia ciò che deve, ma i miei piedi si stanno muovendo da soli. Josh è amico mio ed è da qualche giorno che lo vedo strano, sofferente: è mio dovere fare qualcosa! Dopo essermi dato questa spiegazione, senza farmi notare, mi avvio tra la folla. La giacca rossa di Josh è ben visibile tra la gente e così lo seguo senza problemi. Ogni tanto occhi verdi si gira per controllare di non essere seguito e in quei momenti mi tocca inginocchiarmi e fingere di aver perso qualcosa. Il mio amico cammina di fretta, osservandosi continuamente attorno e poi finalmente entra in...Aspetta, che cosa ci fa Josh in una stazione di polizia? Sono costretto a fermarmi e nascondermi dietro l'angolo di una stradina. Attendo. Non devo neanche aspettare molto: dopo pochi minuti Josh esce in compagnia di un altro uomo, un poliziotto di mezza età. Il viso dello sconosciuto è rugato, con degli occhi azzurri spenti e un sorriso a dir poco forzato. È alto, molto più di Josh, e ha un fisico prestante. La divisa gli conferisce un'aria importante e di tanto in tanto posa la mano sulla pistola, quasi si voglia accertare che ci sia ancora.  Cerco di avvicinarmi il più possibile a loro, ma per mia fortuna non ce né bisogno: sono loro che, camminando lentamente, si avvicinano all'angolo della strada in cui mi trovo. Grandioso! Ogni parola che si dicono la percepisco senza la minima difficoltà. 
- Cosa ne pensi? - chiede Josh.
- Io non posso credere a ciò che mi hai appena detto fratello mio - risponde l'uomo con tono quasi disgustato. - Possibile che non sai farti i cazzi tuoi? - lo rimprovera.
- Credevo di fare bene...Credimi quando ti dico che ci ho riflettuto a lungo prima di agire in quel modo - tenta di giustificarsi.
- Evidentemente non ci hai riflettuto abbastanza! - sbraita il fratello maggiore.
- No, ti prego ascoltami! -
- Josh perché vieni da me per chiedermi consiglio se tanto poi fai di testa tua? -
- Io pensavo di fare bene -
- Tu non devi pensare! Ora vattene! -
- Brad, che devo fare? - domanda Josh con fare supplichevole.
- Tu hai fatto il danno e tu lo risolverai! Cazzo Josh...Quando ti devi fare gli affari degli altri non lo fai e quando non devi invece lo fai -
- Non dire così. So a cosa tu ti riferisci...-
- Mi fa piacere che almeno sai a cosa mi riferisco. Ora vattene e non venire più da me -
- Brad ti prego, perdonami! -
Vorrei vedere le loro espressioni, ma non riesco.  Dal tono di Josh immagino che stia quasi per piangere. 
- No! Non ti perdono! Ora vattene! - urla Brad quasi in disperazione. Dopo pochi secondi vedo Josh correre verso una stradina laterale, incurante delle persone con cui si scontra. Rimango immobile. Deve essere successo qualcosa di terribile a Josh o peggio: lui deve aver provocato qualcosa. Resto intontito per qualche secondo, dopo di che mi riprendo e senza esitare un secondo di più esco dal mio nascondiglio e con lo sguardo cerco Brad. Lo vedo poggiato al muro di una casa, rigido con la testa incassata tra le spalle. Vorrei parlargli, chiedergli cosa sia successo ma mi rendo conto che questo non è il momento: sembra molto sofferente, troppo per un uomo facente parte della polizia. Non ho mai conosciuto molti poliziotti, ma li ho sempre immaginati come uomini duri e che non piangono mai. Invece l'uomo che è a qualche metro distante da me è tutt'altro da ciò che immaginavo. Deve esserci qualcosa di grave. Brad si tira su, sferra un pungo al muro tanto da far sanguinare le nocche, poi se ne va con passo deciso. Anch'io me ne vado: forse avrei dovuto ascoltare Josh e starmene in macchina ad aspettarlo, ma lui è amico mio e in qualche modo vorrei aiutarlo sebbene non abbia ancora idea di come poter fare. Lascio la strada principale e mi dirigo verso il pick-up. Attendo Josh per circa mezz'ora, poi finalmente lo vedo arrivare con gli occhi lucidi e arrossati e un sorriso forzato.
- Scusami, torniamo a casa - dice montando in macchina e accendendo il motore.
- Va tutto bene? - fingo di non sapere nulla.
- Si si, mio fratello sta bene. Ecco io...- balbetta tirando su col naso - Ascoltami Ennis...dobbiamo parlare. -
Perfetto! Sapevo che non avrebbe resistito a raccontarmi tutto: mi sistemo sul sedile e mi volto per scrutarlo bene. I suoi occhi sono gonfi, arrossati come le guance e i capelli tutti spettinati: deve averli torturati durante il pianto.
- Dimmi - lo invito a continuare il più gentilmente possibile.
- Ecco...tu, io...non so come dirlo...- impreca un paio di volte.
- Stai tranquillo, non abbiamo fretta - cerco di tranquillizzarlo.
- Okay senti...mio fratello è poliziotto! -
Ha sputato la prima cosa che gli è venuta in mente. Mi sento ferito, ferito anche da lui. Dal mio migliore amico. Serro la mascella per contenere la mia delusione e rabbia, deglutisco la saliva e la gola in poco mi si fa secca.
- E allora? -
- Niente...Solo che a te non piacciono i poliziotti e avevo paura che ti arrabbiassi - si giustifica con fare innocente.
- Ma va, tranquillo - nascondo il mio dispiacere con una risata falsa. Anche lui non si fida di me, anche lui mi tiene fuori dalla sua vita e l'unico uomo che mi voleva tutto per se mi ha lasciato con una lettera patetica. Ma chi sono io!? Non sono niente, non sono nessuno. Mio padre aveva ragione: risparmiati la fatica di parlare o chiedere Ennis, non capiresti mi diceva sempre. Di me a quanto pare non ci si può fidare. Sono stato uno stupido, un idiota a credere che Josh mi avrebbe reso partecipe della sua vita.
- Andiamo a casa -
- Si - rispondo. Ma adesso mi rendo conto che, neanche quel motel che ero arrivato a considerare come casa mia, lo è per davvero. Forse...si! Forse l'unica mia casa è stata quella benedetta montagna, con Jack. Ma lui mi ha lasciato, abbandonato e ora mi rendo conto che non potrò più vivere, ma sopravvivere. Perché si vive bene solo dove ci si sente bene, dove "ci si sente a casa" e io questa opportunità l'ho persa con il mio ultimo pugno, con il mio ultimo "no" detto a Jack.

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