Don't let me kiss you

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Non so cosa stia provando il biondo nel sentire queste mie parole, ma dal piccolo sorriso appena accennato capisco che, in fondo in fondo, gli piace. Il suo pollice si muove delicatamente sulla mia guancia e fremo ad ogni sua carezza.
- Ennis, io... - bisbiglio confuso. Mi accorgo che stiamo sempre più azzerando la distanza tra le nostre labbra, impazienti di incontrasi, ma sento anche la paura crescere impetuosa. Il cuore accelera, perde colpi: tutto troppo in fretta, ma così maledettamente lento! La mia vita sembra fatta di contraddizioni.
- Jack, fermo. Ma cosa fai? - domanda lui ancora più spaesato di me. Vorrebbe che mi fermassi però è anche pienamente consapevole che non lo farò. Sento il tocco del suo labbro inferiore sul mio, il suo alito che mi sfiora il mento e il naso strusciarsi contro il mio.
- Non qui - protesta senza però allontanarsi di un millimetro.
- Ennis, basta. Lo sai anche tu che... -
Come mi aspettavo non riesco neppure a finire la frase che un cazzotto mi arriva in pieno viso. Per mia fortuna non è così violento come i soliti, ma comunque mi ritrovo piegato a terra. Di scatto mi alzo in piedi afferrandolo per la giacca e costringendolo ad avvicinarsi il più possibile. Ora ho solo rabbia. Rabbia perché continua a ferirmi, rabbia perché mi desidera ma si rifiuta, rabbia perché dopo tutti questi anni non ha ancora accettato ciò che è.
- Ascoltami bene - digrigno tra i denti - Adesso tu mi porti a casa tua e parliamo...parliamo ora! -
Ennis non risponde. Prende le briglie del baio ormai tranquillo, mi fa cenno con la testa di seguirlo e assieme lasciamo lo stallone da solo, chiuso nel recinto. Mi accompagna nella stalla dove in fretta e furia spoglia il cavallo dai finimenti. Un po' di cibo e di acqua per l'animale, si sistema il cappello in testa e sparisce in una piccola stanza creata tra due box.
- D'accordo allora...ci vediamo - lo sento salutare. Molla il lazo ancora appeso sulla spalla sinistra in un apposito appiglio e poi si dirige verso di me.
- Seguimi - dice con le labbra strette e senza degnarmi di uno sguardo. Forse sono stato un po' violento, però non ho avuto altra scelta: proprio perché sa quanto io lo amo e quanto io sia terrorizzato dall'idea di poterlo perdere, lui se n'è sempre approfittato facendomi fare i salti mortali o rinunce importanti. Ma ora basta! Mi sono stancato di fare tutte le mie scelte in funzione di lui e per cosa? Per avere in cambio solo qualche scopata? No, grazie. Non ci sto più e voglio mettere un punto a questa situazione.
Usciamo dalla stalla sporca e a dir poco puzzolente. Ennis mi fa fare un piccolo giretto turistico, molto probabilmente per posticipare ancora di più il momento in cui parleremo, ma decido di concederglielo e non protesto. Lascio che rimanga sempre qualche passo più avanti di me, ma non perché non conosco la strada, bensì perché così posso ammirare senza problemi la sua schiena e tutto il resto. Porta una camicia bianca a righe azzurre, un paio di jeans di tonalità chiaro e una cintura nera; i suoi biondi capelli risplendono sotto il sole e, per la prima volta dopo anni, li posso ammirare senza che il cappello (che ora è tra le sue mani) li nasconda quasi completamente. Cammina nello stesso modo di dieci anni fa: capo chino e passi lenti, definibili "legnosi", oppure forzati. Il giro turistico finisce presto dato che, per mia fortuna, la cittadina è davvero molto molto piccola.
- Ma la casa dov'eri qualche giorno fa? - chiedo.
- La uso solo quando sono con le bambine. Lavoro qui - spiega con il minor numero di parole possibile. Finalmente si ferma di fronte ad un motel da quattro soldi. Mi conduce dentro e, senza neanche presentarmi al proprietario, si mette a parlare con lui come se non esistessi. Parlare è una parola! Il proprietario parla e lui ascolta e sorride.
- Lui chi è? - domanda indicandomi col dito.
- Buongiorno, sono il suo fratellastro - mi presento, anticipando ogni possibile affermazione di Ennis. Lui mi guarda incredulo, ma faccio finta di niente.
- Non mi avevi mai parlato di un fratellastro - aggiunge il proprietario, mollando una pacca amichevole sulla schiena del biondo. Sembra gentile: un caso raro in queste terre.
- Beh...perché parla molto Ennis? - ironizzo per prenderlo un po' in giro. Il tipo scoppia in una risata di gusto e si mette a raccontare alcuni episodi in cui lui parlava ed Ennis stava zitto come una tomba.
- Va bene, basta. Jack vieni con me, ma poi vattene - cerca di mettere il punto sulla questione. Certo Ennis! Voglio venire con te, ma col cavolo che me ne andrò in fretta. Josh, il proprietario, avvisa il biondo di qualche problema avuto ai bagni, dopo di che ci lascia liberi di raggiungere la stanza. Appena entrati Ennis appende il giubbotto che era tenuto con un dito alla spalla destra e rimane con la camicia bianca: se le camicie gli stanno bene, il bianco lo rende ancora più spettacolare. Il suo corpo è rimasto lo stesso di dodici anni fa, anzi credo un po' più muscoloso grazie ai suoi lavori di forza, i capelli forse leggermente scuriti però sicuramente molto più chiari dei miei. Quello che però mi lascia senza fiato sono i suoi occhi: perché deve averli così magnetici? Così dolci e accattivanti nello stesso momento? È colpa loro se ho perso la testa per Ennis, colpa di quella maledetta montagna e di questi occhi sfuggevoli. C'è tensione nell'aria e nessuno dei due pare intenzionato a parlare per primo.
- Siediti - mi invita, mostrandomi una sedia. - Vuoi qualcosa da bere? -
- Hai una sigaretta? - domando speranzoso.
Lui non risponde, sparisce dietro una porta e poi torna con una cicca ed un accendino in mano. Me li porge, si versa un po' di whisky in un bicchiere e poi si siede di fronte a me, a debita distanza. Riderei se non sapessi che questa è una situazione seria. Oggi decideremo cosa fare delle nostre vite e Dio solo sa quanto vorrei che mi accettasse nella sua esistenza.
- Con tua moglie? -
Non mi aspettavo questa domanda. Tra me e Laureen è finita, ma non per i suoi amici o per il circolo di cui fa parte. Non vuole dichiarare ufficialmente la fine del matrimonio per non nuocere al buon nome della famiglia e risparmiare, secondo lei, la vergogna ai genitori. I mesi antecedenti alla nostra "separazione segreta" ci toccava fingere di essere la classica coppia felice di fronte agli amici altolocati o durante le feste, orribilmente pompose. Ma la verità era un'altra: lei se ne stava sempre davanti ad una calcolatrice a fare conti e controllare le entrate e uscite dei soldi, mentre a me non restava nulla, neppure mio figlio Bob, perché lui se lo prendeva sempre il suo nonno materno. Quel vecchio bastardo di Richard affermava che, per educare un giovanotto, servisse un vero uomo e con questo intendeva che io non lo ero, almeno per lui. Figlio di...!
- Se mi stai chiedendo come va il nostro matrimonio, ci basterebbe il telefono - sparo le prime parole che mi saltano in mente per interrompere il flusso dei miei pensieri.
Per un po' restiamo in silenzio, ognuno a fissare i piedi dell'altro: sembra che dobbiamo ancora fare conoscenza da quanto imbarazzo c'è nell'aria. Poi mi decido: m'infilo la sigaretta in bocca e apro la mano sinistra mentre con la destra accendo l'accendino. Con un'occhiata fugace vedo che Ennis mi sta fissando, o meglio sta fissando la mia mano sinistra aperta. Rimango fermo per permettergli di ammirarla. Una notte a Brokeback mi aveva confidato che gli piacevano le mie mani, specie quando le aprivo con le dita leggermente piegate per proteggere il fuoco dell'accendino ed evitare che si spegnesse. Poi fa qualcosa che non mi aspettavo: si alza lentamente, trascinandosi la sedia, si sistema alla mia sinistra e mi sfiora la mano aperta. Se fa così mi mette a dura prova. Non resisto più! Mi volto e ci fissiamo, ci diciamo cose che con le parole non saremmo mai riusciti a dirci. Con la mano destra gli accarezzo la guancia ed Ennis abbassa il capo, come se non volesse essere toccato. Ma so che non è così. Le nostre dita intanto si sono incastrate alla perfezione ed ora sento il suo alito alcolico molto vicino alle mie labbra. Amo tutto di lui, ogni particolare e ogni suo difetto.
- Jack - riesce a dire con un filo di voce: è eccitato quanto me. - Ti prego...non lasciare che ti baci. - Sembra quasi perdere colpi mentre me lo sussurra attaccato al mio mento. Le mura che si è costruito tutte attorno stanno crollando, mattone dopo mattone e lui non può farci niente. Si può controllare la costruzione di qualcosa, ma di certo non il suo sgretolamento: quando crolla, crolla e basta. Decido di giocare la mia carta vincente e così punto il pollice e l'indice sul suo mento e lo "costringo" delicatamente ad alzare lo sguardo. È un attimo: i nostri occhi sono tornati ad ammirarsi, ad esplorarsi e ad amarsi.
- Sì invece... - e con questo termino il discorso. Le nostre labbra si toccano.

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