Non siamo mai stati bravi a rompere i muri

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A Kensington il tempo, se possibile, faceva pure più schifo.
La pioggia era quasi grandine e Michael si era visto costretto a rinunciare alla sua bicicletta, quindi era arrivato al punto di incontro con la metro.

Paco aveva diviso i volantini tra i ragazzi e detto loro che con quel tempo era meglio passare a distribuirli per i negozi.
Così a Michael erano toccati Derry Street e la strada che circondava Kensington Square Gardens.

Percorse tutta la via con il naso all'insù, ad ammirare la meraviglia di uno dei quartieri più belli e costosi di Londra, uno di quelli in cui non avrebbe mai vissuto per tutto il resto della sua vita.

Entrò da H&M e poi nei piccoli negozietti successivi: qualcuno gli diceva che poteva lasciare i volantini, qualcun altro no, qualcun altro ancora fingeva di volerli e poi li gettava nel cestino della spazzatura.

Lungo la strada di Kensington Square Gardens le abitazioni erano da sogno, e in un attimo Michael si ritrovò a pensare a come potesse essere svegliarsi ogni giorno su un letto matrimoniale tutto per sé, con la colazione pronta su un carrellino e composta da una sfilza di torte da credenza, mousse e torte salate, salmone, bacon e uova in camicia.
E poi a lezioni di equitazione, giocare a qualche sport con degli amici ricconi e la sera andare a letto tardi dopo aver trascorso ore davanti ai videogames.

Michael neanche ce l'aveva una consolle per i videogames.

Distolse lo sguardo dal palazzone e tornò ad incamminarsi verso il prossimo negozio.

Erano quasi le dieci quando Paco lo chiamò e gli comunicò che gli altri avevano finito, poteva raggiungerli.

– Ragazzi, abbiamo finito presto a causa della pioggia – disse non appena furono tutti al punto d'incontro. – Che ne dite se ci spingiamo fino a Chelsea?

Tutti furono d'accordo, quindi con i bus si spostarono al quartiere adiacente, dal momento che la metro non arrivava al cuore di Chelsea.

Si divisero ancora le strade e ancora Michael camminò con il naso all'insù, in quello strano gioco a immaginare la sua vita in ogni casa di lusso che vedeva.

Michael richiuse l'ombrello quando smise completamente di piovere e si avvicinò al ciglio della strada per attraversare.
La BMW nera che vide avvicinarsi a tutta velocità non solo non si fermò, ma colpì in pieno una pozzanghera di fango che si riversò sui vestiti di Michael e sulla sua faccia.

Lo shock, proprio.

– Ehi, coglione! – Gli gridò dietro Michael, accecato dalla rabbia.

Ma era modo di guidare, quello? Pure lui che non aveva la patente sapeva che non si correva in quel modo in città, specialmente dopo un temporale.
La BMW si fermò e cominciò una lenta retromarcia resa possibile dalla strada quasi completamente deserta.

Michael sgranò gli occhi e si pentì immediatamente di quell'insulto.
Ecco, per la sua stupidità sarebbe morto massacrato di botte da un tizio sconosciuto che l'aveva schizzato di fango.
Ridicolo fino alla morte.

L'auto dai vetri oscurati si fermò e il conducente tirò giù il finestrino.

– Mi dispiace, io non volevo...

Quella voce?
No, era una cazzo di allucinazione.

– Michael?

No, non era una cazzo di allucinazione.

Quando il finestrino fu completamente giù Michael lo vide: due occhi azzurri, capelli corti e biondi, un po' di barbetta quasi rossiccia.
Tutto gridava ANDREAS.
Tutto gridava MICHAEL SEI UNO SFIGATO.

– Michael, mi dispiace tanto. Sto andando a casa mia, se sali posso prestarti qualcosa.

Di' di no.
Non fare cazzate.
Non hai bisogno di lui.

– Io...

Andreas era terribilmente serio e Michael non capiva. E aveva paura.

Fanculo la paura che ci blocca le gambe.

– Va bene.

×××

Era orribile. Il viaggio in auto fu forse il più tremendo viaggio in auto della storia dei viaggi in auto di tutti i tempi.

C'era un muro di due metri tra loro che era un mix di delusione, rabbia, incomprensione, consapevolezza, frustrazione, imbarazzo.
Quando mai uno di loro era stato bravo a tirare giù i muri?

Il cellulare di Michael squillò.

Paco

Rispose.

– Michael, dove sei? Gli altri hanno finito.

– Ah, ehm... Ho avuto un imprevisto. Sai, uno mi ha schizzato tutto di fango e ora sto cercando di rimediare qualcosa e non prendere una broncopolmonite fulminante.

Suonava abbastanza assurdo da andare bene.

– Oh, okay – rispose l'altro incerto.

– Comunque avevo quasi finito i volantini. Ci vediamo domani, okay? I soldi di oggi me li dai domani, non preoccuparti.

– Come vuoi, a domani.

Michael staccò la chiamata e ripose il cellulare nel tascone del cappotto.

– Volantini? – Domandò Andreas.

– Per una campagna contro l'inquinamento – tagliò corto Michael senza guardarlo in faccia.

– Capisco.

Andreas parcheggiò l'auto nel piccolo garage di fianco al vialetto e il riccio scese richiudendo la portiera.

La casa di Andreas era come una di quelle in cui Michael si era tanto perso a fantasticare. Era enorme, bella, luminosa. Aveva il caminetto nel soggiorno e un piccolo bancone di dolci in cucina. Era il paradiso.

– Vieni – lo richiamò Andreas, sorridendo per lo sguardo estasiato del riccio. – Di sopra c'è il mio guardaroba.

Solo dopo Michael capì che guardaroba significa stanza con i vestiti dentro. E lui che aveva sempre pensato fosse un armadio un po' più grande.

– Fa' una doccia per pulirti e poi prendi pure quello che ti sta meglio. Gli asciugamani sono dentro e il bagno è qui di fronte – disse cortesemente.

Ma Michael aveva la necessità di chiedergli quella cosa. Afferrò il suo braccio prima che andasse via e lo guardò dritto negli occhi.

– Andreas. Perché lo stai facendo? Ti ho anche dato buca per il tè.

Sapeva che si stava incasinando da solo, ma anche in quel momento non riuscì a non essere onesto. Prima di tutto con sé stesso.

Andreas si rabbuiò per un decimo di secondo, poi sorrise lievemente.

– Di questo ne parliamo dopo, tu intanto datti una ripulita.

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