La mia vita - parte 2

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Per iniziare... beh, per iniziare non posso far altro che parlarti di ciò che mi è accaduto di più doloroso dopo la morte di mia madre. Ovvero la cosa peggiore che possa capitare a una mamma e a un papà che vivono serenamente la loro vita senza pensare che essa possa essere stravolta completamente. La morte di un figlio. Rimanemmo sconvolti quando in un banale controllo all'ospedale i medici, gli stessi che avevano salvato Dorian qualche anno prima, ci dissero che Daniel aveva la leucemia. Una forma grave di leucemia.

Per mesi e mesi cercammo un possibile donatore, ma nessuno, nemmeno io e Dorian, era abbastanza compatibile da poter effettuare un trapianto senza troppi rischi. E questa fu la seconda volta che piansi, tanto. Io e mio marito siamo stati un'intera notte abbracciati nel letto a piangere e a inondare le coperte come fiumi in piena. Al mattino avevamo gli occhi che bruciavano e le nostre lacrime erano esaurite. Ma continuammo ininterrottamente a piangere, finché Daniel non si svegliò. Venne nella nostra camera e si sedette con noi sul letto fradicio, poi disse qualcosa che dimostrò ciò che avevamo sempre sostenuto, cioè che fosse un bambino molto più maturo di quanto si potesse pensare a prima vista:

"Io lo so perché piangete, vi disperate perché tra poco io morirò. Ma non dovete farlo, perché anche se il mio corpo non avrà più vita, la mia anima non ha nessuna intenzione di morire. Assolutamente no. Rimarrà per sempre dentro di voi a tromentarvi perché desidera un nuovo giocattolo o perché vuole mangiare un gelato. Io e lei ci siamo già messi d'accordo: rimarremo ancora con voi per molto tempo, credetemi."

E così ci abbracciammo tutti, cercando col nostro calore di riempire almeno un po' il grosso precipizio che dall'orlo del nostro cuore lentamente si inoltrava sempre più in profondità. Quello fu l'ultimo giorno in cui ci vedemmo tutti e tre insieme, e anche l'ultimo della breve parte della nostra vita trascorsa in tre in cui un sorriso era timidamente spuntato sulle nostre labbra.

Dopo una settimana di via vai tra casa e ospedale, io e Dorian eravamo a piangere su un cumulo di terra fresca con sopra appoggiata una foto di Daniel. E questa fu la terza volta che piansi.

La quarta fu molto tempo dopo, in una piovosa giornata d'autunno, contornata da foglie rosse e gialle che leggiadre cavalcavano l'aria e un leggero strato di umida nebbia calato sulla città. Stavo camminando per la periferia, sul confine con la campagna, ed ero quasi arrivata ai campi disseminati delle casette che avevo sempre amato. Potevo già sentire il canto degli uccelli che svolazzavano tranquilli nel boschetto che proteggeva come una coperta la parte abitata. Ad un certo punto, a disturbare la mia quiete partì la suoneria del telefono, la mia canzone preferita: Forever young di Alphaville. Era un numero sconosciuto, e io di solito non rispondevo mai in questi casi. Ma quel giorno avevo una sorta di presentimento, così, seguendo il mio istinto, risposi.

"Pronto?"

"Valerie?"

"Sì... chi parla?"

"Buongiorno, sono un infermiere della croce rossa. Suo marito, suppongo che siate sposati, è stato investito sul cavalcavia della statale."

Il mio cuore si fermò. I miei pensieri andarono a quel pomeriggio di molti anni fa in cui per un mio errore la persona più importante della mia vita rischiò di perdere la sua. Rividi esattamente la stessa scena, in cui c'era lui steso a terra e le luci offuscate tutt'intorno. Poi, come in un miracolo, il mio cuore riprese a battere e io ritornai in me.

"Co... come scusi?"

"Suo marito, è stato investito. ...Signora?"

"Mi scusi... arrivo subito. Ah, giusto, dov'è adesso?"

"In ospedale, quello della città. Dovrebbe venire per il riconoscimento della salma prima che arrivi il medico legale ad accertare la causa del decesso. Mi dispiace, non abbiamo potuto fare niente. È morto sul colpo."

Salma. Decesso. Medico legale. Morto sul colpo. Mi dispiace. Tutto intorno a me stava iniziando a girare sempre più veloce e ciò che c'era dentro la mia testa lo avrebbe presto seguito. Riattaccai la chiamata e mi accasciai a terra, priva di sensi. Poi, più nulla.

So solo che in qualche modo mi avevano portato in ospedale, e io mi ero svegliata in un lago di lacrime. Dopo il terzo funerale della mia vita, penso il più doloroso in assoluto nonostante fosse preceduto da quelli di mia madre e di mio figlio, rimasi un intero mese segregata in casa. A piangere. Mangiavo poco, non dormivo, ero uno straccio.

L'unica cosa che mi fece risollevare, fu il ritorno nella mia vita di una persona che mancava da molto tempo e per me un tempo era stata un tassello fondamentale del mio cuore. Un giorno, mentre stavo soffocando le lacrime nel cuscino del divano e bevendo una tazza di tè annacquato, sentii il citofono trillare e rompere la triste quiete di quel luogo. Ero quasi tentata di non rispondere pensando che fosse semplicemente il postino, ma alla fine mi alzai strisciando i piedi e raggiunsi la porta. Davanti a me, c'era mia cugina.

La abbracciai subito, bagnandola di lacrime e rendendola partecipe al mio dolore. Fu un po' la mia psicologa in quel periodo. Le raccontai tutta la storia della mia dolorosa vita, e questo mi aiutò tantissimo. Fu una rinascita, perché scoprire le cause del tuo dolore è il primo passo verso la guarigione. E così, andai avanti. Ancora, e ancora. Fino ad ora, in cui piango per la quinta volta perché mi sono emozionata per la mia stessa vita.

E qua, caro diario, finisce il nostro dialogo. Termina il triste racconto della mia esistenza, che almeno, anche se tra alti e bassi, si sta per concludere dignitosamente. Nonostante tutte le mie sventure, ho amato la vita più di quanto pensassi di poterlo fare. Perché ognuno è destinato a qualcosa, ognuno nasce per uno scopo: evidentemente il mio era quello di soffrire. E cambiare in meglio il cuore delle persone.

Secondo te, ho compiuto la mia missione?

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