~Capitolo 30~

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Thomas

Appena misi piede in casa e mi ritrovai davanti i miei genitori tranquillamente seduti, uno in cucina e l'altra sul divano davanti ad un computer, decisi che sarei rimasto davvero poco tra quelle mura.

Sostanzialmente avevano preferito lavorare invece che venire a prendere il figlio, che se non fosse stato per Elizabeth, sarebbe tornato a casa a piedi. Mi dava il voltastomaco pensare a quanto poco importasse loro di me.

Non ebbi il coraggio di dire una parola, anche perché se l'avessi fatto mi sarei messo sicuramente ad urlare ed a sbraitare cosa per cui, in quel momento, non avevo le forze.

Salii a passi svelti al piano di sopra e gettai, letteralmente, il borsone ai piedi del letto.

Ero furioso. Per quale motivo avevano messo al mondo dei figli se non li calcolavano minimamente?! Che cos'ero per loro? Una creatura di cui parlare con i loro amici? Qualcuno da rimproverare quando si ricordavano di essere genitori?

Non potevo rimanere in quella casa. Ero stanco sia fisicamente, per il weekend appena passato, sia psicologicamente per tutta quella storia. Così senza fermarmi molto a pensare, dopo soli dieci minuti che avevo speso in casa, presi le chiavi della mia auto e mi catapultai fuori.

Non dissi niente a nessuno. Anche perché nessuno si era minimamente accorto che fossi entrato in casa e, sinceramente, mi sembrava alquanto inutile dir loro che uscissi. Tanto era uguale, no?

Così mi ritrovai presto in auto a vagare tra le strade quasi deserte di Old River. Era davvero una cittadina malinconica. Non capivo perché i miei avessero voluto trasferirsi laggiù. Non me ne capacitavo. Quando vivevamo in città e non sopportavo più la mia famiglia sapevo dove recarmi, da che amici andare a cercare rifugio. Ma lì dove sarei dovuto andare? Odiavo quel posto dimenticato da tutti. Non sapevo che cosa fare, con chi parlare. Era una prigione a cielo aperto per me.

Dopo circa mezz'ora persa a girare intorno, perché era quello che potevi fare in quel buco, mi ritrovai davanti a casa di Liz. Era decisamente presto per la cena erano malapena le sette e lei mi aveva detto di essere lì dopo le otto. Però non sapevo davvero che cosa fare quindi, senza riflettere, scesi dall'auto e mi apprestai a suonare al suo campanello. Sperai solo che non mi venisse ad aprire sua madre o peggio, suo padre. Quell'uomo non me la contava giusta. Si comportava in modo decisamente strano, ad esempio in auto, quando mi avevano riportato a casa, gli era suonato circa cinque volte il telefono e lui, ogni volta, si era apprestato a chiudere la chiamata, come se nascondesse qualcosa.

Dopo soli pochi secondi sentii la serratura scattare e davanti ai miei occhi si presentò Elizabeth, in tuta e con i capelli raccolti in uno chignon, che mi guardava confusa.

<<Sono in anticipo>> tenni a sottolineare di fronte alla sua espressione.
<<Questo lo vedo>> commentò facendosi su nella felpa che portava, <<Perché?>>.
<<Io...>>. Poteva essere così bella anche conciata come una casalinga frustrata? <<Mi dispiace. Torno dopo>> scossi il capo cominciando già ad avviarmi verso la macchina. Solo a me potevano venire certe idee.

<<Ma no, Thomas!>> mi raggiunse a metà vialetto, <<non importa. Dai entra che si gela>> mi sorrise gentile prendendomi per un braccio ed invitandomi a seguirla.

Avevo bisogno di vedere quel sorriso, infatti mi sentii subito meglio.

<<Grazie>> mi affrettai a dire quando appese al mio posto la giacca.
<<Figurati. Senti, mio padre non è ancora arrivato, grazie al cielo vorrei aggiungere, mia madre si sta preparando ed io dovrei fare lo stesso quindi...>> disse indicandomi con lo sguardo il salone.
<<Io ti aspetto qui, non è un problema>> le sorrisi grato perché non mi avesse cacciato.
<<Perfetto! Dovrebbe esserci anche mia sorella da queste parti...>> pensò ad alta voce entrando in salone.

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