22. Crudeltà

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La mattina dopo mi svegliai tra le lenzuola di quel letto. Restare in piedi la notte prima mi aveva stancata così tanto che appena io e Cuspio avevamo finito, io ero crollata in un sonno profondo e dominato da incubi. Mi tirai sù e mi ci volle mezzo secondo per capire che Cuspio se n'era andato, lasciandomi lì da sola. Dovevo andarmene assolutamente. Mi alzai e raccolsi da terra il mio intimo, lo indossai velocemente e mi diressi verso il vestito. Non vedevo l'ora di tornare nel mio appartamento e fare un bagno caldo. Mi sentivo così sporca, mi ero venduta. Ma solo per salvare Amber, dovevo tenere quello a mente. Mi inclinai per prendere il vestito quando mi accorsi che su di esso vi era qualcosa. Soldi e un biglietto.

"Rifacciamolo qualche volta." Diceva il biglietto. Era di Cuspio. In quel momento realizzai che non solo mi ero venduta quella volta, ma per il resto della mia vita. Lasciai i soldi a terra e indossai il vestito, rimisi le scarpe e velocemente mi diressi verso la porta. La aprii e mi accorsi che nel corridoio davanti a essa vi era una lettera. La afferrai. Altri soldi di Cuspio? La aprii.

"Oggi hai davvero fatto la brava, Rowanne Terhark. Mi hai dimostrato di che pasta sei fatta. Adesso so di potere fidarmi di te. Con amore, Ascanius Campbell." E attaccate sulla carta vi era una foto di me e e Cuspio, presa dall'alto. Probabilmente c'erano telecamere nascoste anche in quella stanza. Mi sentii ancora più in imbarazzo per ciò che avevo fatto, mi chiesi chi lo sapesse e chi lo avesse visto. Improvvisamente sentii dei passi che venivano nella mia direzione, senza pensarci due volte entrai nella stanza davanti a me e mi chiusi dentro. Era sempre una camera da letto, aveva lo stesso arredamento della precedente, ma sembrava più sporca, aveva polvere sui mobili, come se da tanto nessuno ci fosse entrato. Mi avvicinai alla parete sulla destra per osservare meglio le foto che erano appese. Una di esse ritraeva due bambini, forse due fratelli. Sorridevano. Il più piccolo era senza i denti davanti, era così buffo. Spostai lo sguardo su un'altra foto. Erano sempre gli stessi bambini, ma cresciuti. Le mani iniziarono a tremarmi quando li riconobbi. Era una foto di parecchio tempo prima, ma era facile capire chi ritraeva. Marcus e Nolan. Le lacrime mi affiorarono agli occhi. I suoi occhi blu erano inconfondibili. Sorrideva, con un sorriso sghembo e i capelli biondi gli cadevano sulla fronte. Se solo quel bambino indifeso avesse saputo che fine gli sarebbe toccata, chissà se si sarebbe comportato in modo diverso, chissà se avrebbe ubbidito alla famiglia. Spostai gli occhi su un'altra fotografia. Ritraeva Nolan ormai grande, vestito completamente di nero. Sorrideva, ma non era felice, come se sorridesse solo perché gli stavano scattando la foto. Staccai la cornice dalla parete e tirai fuori la foto. Nessuno se ne sarebbe accorto, se mai l'avessi presa. Era l'unico modo che avevo per ricordarmi il suo bellissimo volto. In quel momento mi accorsi che c'era qualcosa nell'angolo destro sul retro della foto, una scritta. "Nolan Campbell- distretto 2- mietitura." Avevano addirittura avuto la brillante idea di scattargli una foto in quel momento e poi attaccarla in camera sua. Ero senza parole. Come potevano essere così crudeli? Così sadici. Mi lasciai cadere sul suo letto. Rimasi qualche minuto seduta lì, immobile e in silenzio. Poi aprii il cassetto del comodino. Era pieno di cianfrusaglie. Sapevo che avrei dovuto farmi gli affari miei, ma tanto a nessuno sarebbe mai più importato di lui o della sua roba. Tirai fuori una collana maschile con un medaglione finale, un block notes bianco, simile a quello che portavo io a scuola, delle matite, un calzino spaiato, dopo i miei occhi caddero su un foglietto in fondo al cassetto.

"Rowanne, ti devo parlare, ci possiamo vedere alle"

c'era scritto. La frase non era finita e subito dopo vi era un'altro periodo. "Mi piacerebbe incontrarti" Anche questo inconcluso. Vi erano anche altre frasi simili, tutte a metà e tutte cancellate con un tratto nervoso di penna. Sul retro del biglietto c'era scritto "Stanotte all'una, davanti all'ascensore, settimo piano." E in quel momento crollai. Strinsi il biglietto al cuore, come se quello mi facesse sentire più vicina a lui e cominciai a singhiozzare. Ricordai di quando, dopo l'allenamento, mi aveva lasciato tra le mani un biglietto proprio con quell'ultima scritta. La notte ci eravamo visti di nascosto e avevamo parlato del suo piano di fuga. Un biglietto che per me era stato così insignificante, per lui era così importante che aveva tentato di scriverlo e riscriverlo innumerevoli volte. Forse cercava la frase giusta per incuriosirmi, ma lui non sapeva che non era stato solo il biglietto a convincermi di andare con lui, ma anche il modo in cui si era avvicinato e mi aveva sussurrato nell'orecchio "Non farti beccare." Quella era stata la prima volta in cui, in parte, mi ero sentita attratta da lui. Mi piegai in due e nascosi il mio volto inondato dalle lacrime, non volevo che qualcuno lo vedesse. Non sapevo quante telecamere c'erano in quel posto.

Hunger Games: LE ORIGINIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora