capitolo otto

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Non mi ero mai resa davvero conto di quanto i suoi occhi siamo belli, limpidi, ma sl contempo devastati da un dolore acuto. Un dolore purtroppo a me familiare. Il dolore dell'assenza che stravolge. Il dolore della solitudine.

Ma adesso sono accesi da qualcos altro, qualcosa di diverso. Un misto, c'è nel suo sguardo, tra la speranza di aver trovato qualcuno e il terrore di averlo trovato. E sono pienamente consapevole che quel qualcuno potrei essere io.  Io potrei essere la speranza e il terrore che possiedono i duoi occhi. 

Mi domando se anche io abbia quello stesso sguardo, ma io non sto cercamdo nessuno.  Assolutamente nessuno.
Cerco solo... Cosa? Tutti cercano qualcosa, nella vita.  Ma io che sto cercando?

Adesso vedo un nuovo sguardo, nei suoi occhi. Lo sguardo che ho visto solo nei miei peggiori incubi, ki sguardo dei dannati. 

<tu sei come me> dice. Potrebbe essere una affermazione, lo so.  Ma, dal suo tono di voce, sembra quasi una domanda. Una domanda che aspetta una conferma.
Ma io non posso, non posso dargli nulla. Non so nemmeno di cosa stia parlando.

<insomma > continua <il tuo opale. Io tuo dono.  Sei... Come me> continua. 
<non so di cosa tu stai parlando > sussurro.

Sul suo volto appaiono due emozioni. Sollievo e sconfitta. Sconfitto da me. 

Si gira e va via, senza dirmi nulla. 

Dannata.

È l'unica cosa che riesco a pensare in questo momento.

Sento il bisogno di andare da lui e di chiedergli spiegazioni.

Faccio un passo ma il cellulare iniza a squillare.

Lo estraggo dalla tasca e fisso lo schermo.

Il nome *Katie* mi meravigla.

Cosa è successo ora?

Rispondo, anche se vorrei non farlo.

<Pronto? >

<Oddio! Cassandra! Stai bene?> domanda.

Resto sorpresa dal suo tono di voce vagamente preoccupato.

Allontano il telefono e rileggo il mittente della chiamata.

*Katie*.

<Ehm. Si, sto bene> rispondo sorpresa <tu... Tutto bene?>

<si, si tutto bene. Il bambino?> domanda tesa.

Ah giusto. Io teoricamente sono incinta.

<l'ho perso> mi limito a rispondere.

<Mi... Mi dispiace> dice e sento che è sicera <stai bene?>

<abbastanza> dico <solo un pò scossa> dico pensando a Orion.

<Si... Immagino. Senti...se vuoi tornare a casa...noi...insomma> dice e capisco che è terribilmente tesa <tuo padre era scosso e ha esagerato, ma sono sicura che...>

<Che non fosse pronto ad aiutare la figlia? Si lo so. Non importa. Sto bene qui. Non ci torno a casa vostra> spunto acida, ricordando lo sguardo deluso e schifato di mio padre quando gli ho detto di essere incinta.

Attacco la chiamata.

Sono stufa di stare qua. Voglio tornare a casa mia.

<Cerbero> chiamo <andiamo!>

Il cane arriva in pochi secondi e torniamo a casa.

<SONO A CASA!> urlo e poso le mie cose.

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