1942

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Da quel giorno con Marta le cose andarono perfettamente.
Iniziammo ad uscire quasi ogni settimana, poi più volte alla settimana fino a vederci ogni giorno.
La portavo al cinema, al mare, al parco, facevamo lunghe passeggiate e lei cucinava per me.
La amavo, l'ho sempre amata.
Ricordo che quella pace dei sensi durò per un anno circa poi..

«Steve, puoi venire in camera un momento?»

«Dimmi tutto tesoro, stai bene?»

«Potresti aiutarmi? Nel cassetto in alto del comò ci sono delle pastiglie gialle, ruvide, ne ho bisogno»

«Certamente!» mi affretto nel prenderle, la sua voce nascondeva sofferenza ergo sta male.
Prendo un tubetto e tiro fuori le pasticche.
Sì, sono ruvide.
«Ecco a te amore, hai bisogno dell'acqua?»
La sento deglutire velocemente «No, era già qui, ti ringrazio»
Le accarezzo la testa e mi siedo sul bordo del letto:
«Ti senti meglio?»
«Non ancora amore ma dammi tempo, anzi dai tempo alla medicina nel fare effetto e vedrai che starò meglio»
Mi sdraio vicino a lei lentamente e la sento mentre posa la sua testa sul mio petto «Posso stare qui con te?»
Lei mi prende la mano e incrocia le sue dita con le mie «Devi restare qui, con me, sempre»

Nel corso della mia vita c'è stato un momento però in cui ho dovuto lasciarla e fu il momento più tragico della mia vita.
C'era una guerra in corso in diverse parti del mondo e l'America decise di aggregarsi nel 1942.
Io avevo compiuto da poco diciotto anni ed ero stato chiamato in guerra, se mi fossi rifiutato sarei stato incarcerato per chissà quanto tempo.
Tornassi indietro mi farei quegli anni di carcere piuttosto che rivivere l'orrore della guerra e il dolore che provavo nello stare lontano a Marta.
Una mattina di Maggio fui portato in stazione da mia madre e mia sorella, dovevo prendere un treno e poi imbarcarmi per andare chissà dove a morire.
Aspettavo Marta, aveva promesso di venire per salutarmi ma non c'era.
Lei non era lì ed io ero nel panico:
Quella poteva essere l'ultima volta che l'avrei vista e in un certo senso lo fu.
Abbracciai mia madre e poi mia sorella Clara, entrambe con le lacrime agli occhi:
«Mi raccomando scricciolo... cerca di tornare vivo ed intero, okay?» mia sorella era visibilmente provata dalla situazione, era una giovane sposina e praticamente tutto quello che restava della sua famiglia ero io.
Mia madre era ridotta in condizioni degradanti, probabilmente era ubriaca, ma sembrava davvero dispiaciuta e mi abbracciò di nuovo:
«Lo so che faccio schifo come madre ma non morire» mi strinse forte, davvero tanto forte, come a volermi tramandare tutto quell'amore che avrebbe dovuto darmi nel corso degli anni ed io la strinsi altrettanto forte «Cercherò di non morire, promesso»
Il treno stava per partire e dovetti salire controvoglia, Marta non era ancora lì.
Poggiai la valigia nello scompartimento apposito e mi affacciai al finestrino osservando ogni centimetro della stazione nella speranza di vederla da qualche parte.

«Tutti in carrozza signori! Cinque minuti alla partenza!»

L'ansia si fece ingestibile, non capivo..
Dov'era? Perché non era lì? E se fosse successo qualcosa?

«Due minuti!»

E se il padre avesse fatto qualche casino non previsto? Se qualcuno le avesse fatto del male?
E se... se non mi amasse più e non sapesse come dirmelo?
Il treno iniziò a muoversi e mia madre con mia sorella iniziarono a sventolare dei fazzoletti bianchi in segno di saluto mentre io cercavo disperatamente Marta tra la folla..
Poi, quando il treno iniziò ad accelerare, una chioma nera sbucò dalla folla:

«Steve!!»

Era Marta, finalmente!

«Marta, amore mio!»
«Steve, scusami, sono qui...» iniziò a rincorrere il treno per raggiungere il mio finestrino «Steve, io sono qui okay? Mi vedi? Sono e sarò sempre qui.
Ti aspetto, Steve..Io ti aspetto.
Sei tu ciò che voglio oltre il mio orizzonte»
Non potevo crederci, dopo quasi un anno ricordava ancora quella conversazione.. ero così felice nonostante la situazione tragica.
«Marta!»

Il treno prese velocità e mentre si allontanava dalla banchina della stazione gridai, con tutto il fiato che avevo in corpo:

«Ti amo!!»

E nel frastuono del treno, nel caos del momento, sentii distintamente un bellissimo:

«Anch'io ti amo!»

La vidi diventare un puntino lontano che in pochi attimi sparì.
Mi sedetti sorridente sul sedile scomodo del treno e le persone intorno a me fecero una strana espressione, come a dire "Stai andando a morire e sorridi?" Come biasimarli?
Il fatto è che nonostante la morte fosse un qualcosa di potenzialmente reale io mi sentivo così vivo.
Lei mi amava, capite?
Lei mi ha sempre amato, mi ama anche adesso mentre dorme beatamente con la testa sul mio petto e respira in modo dolce e calmo.
Sta meglio.
Il suo cuore batte a ritmo del mio ed entrambi sanno, entrambi sentono, cosa c'è tra di noi.
Marta non è solo ciò che volevo oltre il mio orizzonte..
Marta è il tramonto, il mare, il viaggio.
Marta è vita, Marta è amore.
Marta è tutto, per me.
Quel giorno in cui partii per la guerra sapevo che mi aspettava l'inferno ma sapevo anche che a casa mi aspettava un angelo dalla quale dovevo tornare sano e salvo.
Dopo giorni di viaggio arrivai esausto nelle Filippine.
Mi portarono in un campo di addestramento e ci tagliarono i capelli.. i miei bellissimi capelli...
Non per vantarmi ma avevo una chioma meravigliosa, ribelle, castana chiara, che però fu trasformata in una palla da bowling odiosa.
Mi diedero una divisa e ci misero in fila, quasi fosse un'esecuzione.
Il generale MacArthur si posizionò davanti a noi e con aria minacciosa urlò:

«Voi siete niente!
Siete feccia inutile, scarti umani che useremo per proteggere il nostro immenso paese!
Voi siete capretti da sacrificare per il bene del mondo!»

Che bello pensai tra me e me, ero feccia umana da usare in sacrificio... Fantastico no?
Ci fecero allenare per tutto il giorno, senza pause, fu stressante e credetti di morire.
Ancora non ero in guerra e già mi sentivo morire, bello no?
Mi guardai attorno e vidi solo ragazzi giovani, alcuni nemmeno ci arrivavano ai diciotto anni, era così triste avere la consapevolezza che probabilmente alla fine di tutto quello schifo più della metà di quei giovani ( e forse anch'io) non sarebbe sopravvissuta.

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