In un momento tutto cambia

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Dopo la morte di Guido ci fu silenzio nel plotone per un paio di giorni, agivamo e basta senza interagire molto.
Eravamo ancora tristi e sconvolti da tutto quello che avevamo visto.
La mia Marta era sempre, costantemente, tra i miei pensieri.
Una mattina di Maggio, mentre eravamo ancora intenti nel liberare i prigionieri dai campi, vidi un fiorellino spuntare tra le macerie e mi fermai un momento.
Mi sedetti accanto ad esso e presi un pezzo di carta dalla tasca destra, poi raccolsi da terra un pezzo di carbone ed iniziai a scrivere:

Sei in ogni cosa, Vivi in me.
Sei speranza d'amore
sconfiggi il male proprio come quel fiore..
Che nasce in mezzo alla morte
come un'ode alla vita.
Misurala, misura la linea del mio amore se vuoi ma sappi che è infinita.

Piegai il foglio e lo misi di nuovo in tasca.

«Steve! Ci serve una mano qui»

Era ora di tornare alla realtà.

Questa mattina c'è un sole alto in cielo, Marta dorme ancora beatamente.
Le medicine le mettono sonno ed io non ho intenzione di svegliarla, è così bella mentre dorme.
Nulla la sfiora, niente le fa del male, sembra felice.
Il mare brilla stamani ed il cielo è incredibilmente azzurro, mi vesto.
Voglio fare una passeggiata sulla spiaggia.
«Dov'è il mio bastone? Accidenti..»

«Steve? Stai uscendo?»

L'ho svegliata...

«Marta, amore, volevo prendere un po' d'aria!»

«Non puoi uscire da solo brutto carciofo che non sei altro!»

Sì, Marta insulta così.

«Ma...»

«Niente ma! Mi vesto e vengo con te.
Stamattina mi sento bene»

La sento mentre sale le scale e borbotta, sono felice che si senta bene e sono felice che si preoccupi per me solo che a volte sembra una madre un po' troppo apprensiva ed io, non avendo avuto una madre decente, non ci sono abituato.
Quella mattina, quando scrissi quella piccola poesia per Marta, mi arrivò una lettera di mia sorella Clara che lessi seduto su una roccia.

Brooklyn, 1945.

Caro Steve,
Vorrei poterti dare delle belle notizie dato che meriteresti solo quelle nella tua situazione ma ahimè ti scrivo per informarti che la mamma ci ha lasciati.
Negli ultimi mesi si era ammalata gravemente al fegato a causa di tutto quell'alcool che ingurgitava, beveva di più dalla tua partenza.
Credo che fosse un modo per dire al mondo che sentiva la tua mancanza.
Le sono stata accanto per tutto il tempo necessario ma il suo corpo ha ceduto tre giorni fa.
L'ho seppellita nel cimitero che tanto amava, quello con gli alberi di pesco.
Proprio sotto un pesco, enorme, in fiore.
Ti voleva bene Steve, parlava sempre di te.
Torna da me, sei tutto quello che mi rimane di più caro al mondo.
Con affetto,
Clara.

La morte della mamma mi fece uno strano effetto.
Non mi sentivo triste come dovrebbe sentirsi un figlio di fronte una tale notizia ma non mi sentivo nemmeno indifferente, mi sentivo strano.
Come se una parte di me fosse sparita, una parte che causava danni e problemi ma che a modo suo era importante.
Non piansi, non ebbi nessuna reazione.
Jhon si avvicinò a me e si sedette su un masso accanto al mio.

«Tutto bene Steve?»

Feci cenno con la testa ma non risposi, lui prese la lettera e diede velocemente uno sguardo al foglio.

«Santo cielo, mi dispiace tanto per la tua mamma»

«Mi ha messo al mondo ma non sono sicuro di volerla definire "mamma

Jhon mi guardò perplesso ma non aggiunse altro, mi diede una pacca sulla spalla e si alzò per tornare a fare quello che eravamo costretti a fare lì.
Mia madre era stata una pessima mamma sia per me che per mia sorella, ci voleva bene? Non lo so.
Io so che in amore ci si prende cura l'uno dell'altro ma lei ci aveva lasciati praticamente soli ponendo al primo posto il vizio dell'alcool e del fumo.
Questo, per me, non è amore.
Passarono diversi mesi e passammo dalla primavera alla fine dell'estate e la guerra era ormai agli sgoccioli.
Una mattina di Agosto eravamo in marcia, stavamo liberando gli ultimi campi, e d'un tratto accadde una tragedia.
Io e Jhon eravamo intenti a scherzare un po', avevamo bisogno di ridere in mezzo a tutto quel dolore.
Da lì a poco avrei capito che in un momento tutto cambia.
Jhon mise un piede su una mina.
Ricordo un forte boato ed una forte luce.
Fu l'ultima cosa che vidi.
Mi svegliai su una brandina fredda nel buio e gridai «Accendete la luce! Dove sono?!» una mano si posò sulla mia spalla, era un'infermiera, è una voce mi disse:

«É giorno, non c'è bisogno della luce.
Cerca di calmarti»

Mi voltai verso di lei ma non ci vedevo, la sentivo ma era buio.
Entrai nel panico totale fino ad avere una crisi d'ansia.
Mi diedero un calmante che fece effetto in pochi minuti.
Un dottore si sedette accanto a me:

«Caro Steve, mi chiamo Erick Jhonson e sono un medico.
Ti senti meglio?»

«Perché non ci vedo? Dottore, la prego, mi aiuti»

«Ragazzo mio mi duole informarti che hai subito un grave danno alla retina.
È come se qualcuno avesse staccato il filo dell'interruttore costringendoti al buio totale»

«Guarirò?»

«Temo di no figliolo»

Sentii un tonfo al cuore e vomitai.

«Infermiera! Venga, presto!»

L'infermiera mi tenne la fronte mentre davo fuori tutto lo schifo che sentivo in me.

«Ti senti meglio?»
Mi disse la ragazza con tono dolce.

«Jhon?! Dov'è Jhon?»

Sentii una mano prendere la mia ed un'altra mano sfiorarmi la fronte.

«Mi dispiace tanto...»

Jhon lasciò moglie e due figli alla sola età di ventisei anni.
Fu uno dei miei più cari amici.

«Sono pronta Steve, andiamo?»

«Certo»

«Hai preso il bastone vecchia talpa?»

Marta ironizza sempre sulla mia cecità, così come ironizza sulla sua malattia.
Dice che ogni cosa presa col sorriso risulta più leggera.

«Ho preso tutto terremoto, andiamo!»

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