La famiglia si allarga

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Odio il suono delle macchine attaccate a Marta, tutti questi bip fastidiosi che sottolineano lo stato del mio amore.
Marta è davvero il mio amore, a tal punto da esserne l'essenza stessa, l'amore in sé diviene Marta e viceversa.
L'amore e Marta, ai miei occhi, sono la stessa identica cosa.
Ho bisogno di dirle queste parole, ho bisogno di dirle tutte quelle parole d'amore che le ho sempre detto per poterle ricordare quanto la amo.
Ho bisogno di ricordare che la amo.

Non mi sento molto bene, sono giorni che il mio corpo dà segnali di cedimento ma non posso farlo.
Non posso cedere.
Devo essere qui, devo stare con lei, almeno finché non apre gli occhi e mi sorride.
Dio, quanto amo il suo sorriso.
Ricordo ogni suo sorriso, in ogni situazione, poiché non importava nulla del resto, di ciò che accadeva attorno a me prima, ovviamente, che perdessi la vista, quando lei sorrideva il mondo si fermava ed io ero l'unico a godermi quello spettacolo.
Mi aggrappo a quei ricordi quando la sento sorridere ma non posso godermi la scena, è così triste, lo so, ma giuro che i ricordi sono così indelebili in me che è come se la stessi guardando.
Di solito sospira quando sorride, è un vizio che ha anche Rebecca.
Dylan, invece, ride rumorosamente proprio come me.
Povero bimbo mio, che strana eredità gli ho lasciato.
Ma non gli ho lasciato solo quello, infatti, Dylan, è uno degli artisti più gettonati del momento.
Scrittore e compositore, Dylan Jonathan Hoakley, con tre romanzi di successo, quarto in via di stesura, e diversi arrangiamenti diventati, poi, canzoni di successo.
Dylan è il mio piccolo artista, anche se ormai non è più così piccolino.
Ha trentadue anni, è sposato da qualche anno ed ha un figlio di due anni.
Il piccolo Tommy, è identico a Nicholas.
La prima volta che sentii il suo volto con le mie dita mi prese un colpo, aveva i tratti di Nicholas, incredibile, con la differenza, a quanto pare, degli occhi.
Tommy li ha verdi intenso, proprio come la sua bellissima mamma.
Tutta la mia famiglia si è costruita una propria famiglia, perfino Stephanie ha ben quattro figli con quel citrullo di Steve.
Abbiamo iniziato questa avventura, questa vita, solo io e Marta per poi ritrovarci con figli, generi, nuore, nipoti adottati, ma ora che tutti hanno il proprio nucleo, ora che tutti hanno i propri orizzonti, siamo di nuovo solo io e Marta.
La mia Marta, la creatura meravigliosa alla quale sto stringendo la mano in questo momento sperando che ricambi il prima possibile.

***

Dopo il matrimonio di Rebecca, circa un paio di anni dopo, ci fu quello di Stephanie.
La nostra famiglia era molto più grande.
Rebecca, una sera di settembre, si alzò da tavola e con un sorrisone a trecento denti annunciò la sua prima gravidanza.
Ricordo che Marta urlò “Amore di mamma!” ed io pensai “Oh Merda, mia figlia è sposata ed avrà un bambino”
come se fino a quel momento io stessi vivendo in una sorta di bolla dove tutti erano ancora piccoli e teneri, e invece si sposavano, facevano sesso e si riproducevano.
Ricordo che tirai fuori il sorriso più strano della mia vita, un mix di emozioni riversati in una espressione facciale poco naturale, e dissi:

«Che notizia meravigliosa, spero che prenda la bellezza e l'intelligenza della sua mamma»

«E di me? Del papà cosa dovrebbe prendere?»

«Niente»

Ci fu una risata generale.
Ironia della sorte nove mesi dopo nacque un bellissimo maschietto, Richard, che somigliava davvero a Rebecca ma essendo un maschio almeno una cosa del papà doveva averla per forza.

Pochi mesi dopo, circa cinque, io ebbi di nuovo un brutto infarto.
Eravamo in vacanza, in Italia, e su una spiaggia meravigliosa iniziai a sentirmi strano.
Quel giorno, il giovane Dylan, appena adolescente, nuotava a largo con alcuni ragazzi conosciuti sul posto.
Erano due giovani italiani, nonostante la differenza di lingua avevano subito stretto amicizia ed erano giorni che passavano del tempo insieme.
Erano tutti intenti a fare una gara, ma il mare era mosso e Marta urlò dalla spiaggia a Dylan per avvertirlo del possibile pericolo.
Ovviamente fece finta di non sentirla.

«Steve, il mare è agitato ed anch'io.
Se Dylan non torna indietro e non nuota qui davanti io potrei sentirmi male»

Mi alzai e cercai di distinguere la voce di Dylan in lontananza, lo sentii ridere ovviamente, con quella risata sonora, così urlài:

«Dylan! Torna indietro, è pericoloso.
Hai dieci secondi da ora, poi arrivo io e ti affogo!»

«Le minacce funzionano Steve, sta tornando»

Il problema, però, fu che nel tornare indietro finì in un punto in cui le correnti erano fortissime.
Lo sentii gridare mentre i suoi amici chiamavano aiuto.

«Steve!!»

Ero cieco e con problemi al cuore, ma mio figlio era in pericolo.
Mi gettai in acqua e con me si gettò Jacob.

«Steve, ci penso io, torna indietro!»

«Niente affatto, andiamo insieme! È mio figlio!»

Sentii dalla spiaggia una voce, credo fosse il bagnino, attraverso un megafono che urlava.
Non capivo un accidente di italiano quindi continuai a nuotare.
Arrivati lì afferrai Dylan per il braccio, era sfinito, senza forze, e perse i sensi.
Jacob afferrò me per trascinarmi fuori da quel vortice fortissimo ma con zero risultati, quel mostro di correnti stava trascinando anche noi.
Nuotavo con tutte le mie forze, dovevo salvare Dylan, e Jacob faceva lo stesso.
Dalla spiaggia sentivo Marta urlare e Rebecca piangere.
Ero sfinito anch'io.

«Steve, ti prego nuota altrimenti non riusciremo ad uscirne»

Ero troppo stanco.
Passai Dylan a Jacob:

«Cerca di portarlo via di qui, io me la caverò»

«Ma..»

«Vai!»

Jacob nuotò e spinse al massimo le sue forze, finché finalmente non fu fuori dalle correnti ed iniziò a tornare a riva dove fu soccorso dai bagnini.

«Steve!!»

Non ce la facevo più, iniziai ad inabissarmi, ingurgitavo acqua salata, ero stanco.
In quel momento, mentre andavo a fondo, una vocina in me disse:
Non puoi morire così, hanno ancora bisogno di te.
Con l'ultimo briciolo di forza tornai in superficie e fui afferrato, di botto, da qualcuno.
Era un uomo che, in lontananza, mentre era a pesca sul suo bel gommoncino, aveva visto la scena ed era accorso per salvarci.
I bagnini erano impotenti, quel vortice di corrente avrebbe portato giù anche loro.
Mi portò a riva e mi misero sdraiato sulla sabbia, chiamarono un'ambulanza.
Mi misi seduto.

«Steve, stai bene?!»

No, non stavo bene, lo sentivo arrivare.
Quel mostro, la fitta la petto.
Fissai Marta e persi i sensi.
Avevo avuto, di nuovo, l'ennesimo infarto.

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