Capitolo 2 🌻

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Isabel


Mi trovo davanti al cancello di una villa antica e imponente. Dopo aver lasciato mia madre, senza dirle una parola, mi sono fatta dare l'indirizzo di casa McCoins dal dottor Marshall; e ora, eccomi qui, davanti a casa del peggior nemico di mio padre e dell'ex amante di mia madre. Non devo pensarci, devo restare concentrata sull'obiettivo: salvare la vita di mio padre. Non devo lasciare che i miei pensieri mi trascinino sotto le macerie con loro.

Mi sistemo il viso, guardandomi nello specchietto retrovisore. Ho una pessima cera, gli occhi sono gonfi per il pianto e del trucco ormai non c'è più traccia, vista la quantità industriale di lacrime che l'hanno lavato via; i miei capelli rossi, solitamente sempre pettinati e in ordine, ora sono un groviglio di nodi. Sembro Medusa che al posto dei capelli ha delle serpi!

Cerco un elastico per legarli e dargli almeno una parvenza di normalità; ne trovo uno sul pomello del cambio, un legaccio nero, tutto consumato, abbandonato lì chissà da quanto tempo. Non è proprio il massimo, ma è comunque meglio di niente.

Scendo e vado a suonare il campanello. Una voce maschile mi risponde, il maggiordomo probabilmente; mi presento e gli dico che ho bisogno di parlare immediatamente con Arthur McCoins, lui mi dice di attendere e dopo pochi secondi il cancello si apre lentamente, così come si aprirebbero le porte dell'inferno, con un nefasto cigolio. Salgo in auto e, mentre percorro il vialetto pieno di sassolini bianchi, nello stomaco si fa spazio l'ansia dell'incontro imminente.

Non ho paura di incontrare Arthur, ma ho la strana sensazione che da quest'incontro si decideranno le sorti della mia vita. Come se una volta varcata questa soglia, tutto cambierà, tutto compresa me.

Parcheggio in fondo a una scalinata in marmo, che porta al giardino superiore, dove si erge l'immensa casa coloniale. La villa è bellissima, alta almeno quattro piani; la facciata avorio si sposa perfettamente con le persiane color sabbia e tutto intorno alle finestre sono disegnate delle rose rampicanti color pastello. Il giardino, che si espande per interi acri intorno alla casa, è ben curato e pieno di fiori; siepi tagliate a regola d'arte e statue in marmo che raffigurano divinità greche. Questo posto è più curato del Taj Mahal... il campo farmaceutico deve rendere molto bene!

Scendo veloce dalla mia auto e corro su per le scale.

Ho paura che la mia agitazione mi faccia fare diètro frónt, perciò muovo i miei piedi così velocemente, per non darmi il tempo di cambiare idea. Non appena arrivo in cima alla scalinata, con il fiato corto, vedo un uomo voltato di spalle che, quando si accorge della mia presenza, si gira verso di me incuriosito. Incrocio i suoi occhi grigi e il mio cuore si ferma. È come se qualcuno avesse premuto il tasto pausa su questo momento, un fermo immagine surreale e inspiegabile.

Cosa mi succede? Quegli occhi sembrano avermi ipnotizzato e bloccato il respiro. Lo sconosciuto davanti a me è bello, forse il più bel ragazzo che io abbia mai visto, è alto, ha spalle larghe, lunghi capelli castano chiaro raccolti in una coda che lascia scappare qualche ciocca ribelle. Il suo viso illuminato dal sole sembra quello di un dio greco, ma non è la sua bellezza a colpirmi, a sconvolgermi è il suo sguardo, il modo in cui quegli occhi di ghiaccio mi scrutano e mi fissano, come se riuscissero a guardarmi dentro, come se mi stessero trafiggendo. Prima che io possa spiccicare parola, il mio elastico si rompe e una folata di vento gelido mi scompiglia i capelli, scuotendoli di qua e di là; ne sposto una ciocca dietro l'orecchio e mi costringo a parlare, perché inizio a sentirmi una vera idiota.

"Sono Isabel Black. Ho bisogno di parlare con il signor McCoins", gli dico e per qualche secondo, prima di rispondermi, quel ragazzo resta immobile, continuando a fissarmi serio. Inizio a sentirmi a disagio: perché mi guarda così?

Come in un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora