Capitolo 25 🌻

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Jack

Mi fiondo da Bel che, nonostante il frastuono della finestra rotta, non si muove.

Sono nel panico più totale, sto sprofondando in un abisso nero e senza fine, lo stesso nel quale mi sento intrappolato da quando avevo otto anni e ho trovato mia madre morta nel suo letto; i miei demoni cercano di trascinarmi a fondo, posso quasi sentirli sussurrare maligni nelle mie orecchie: 'non si sveglierà, sei arrivato troppo tardi, anche stavolta' mi dicono. Cerco di zittirli, urlando il suo nome, pregando che loro si sbaglino, mentre la prendo per le braccia e la strattono, nella speranza che apra gli occhi.

Finalmente, dopo secondi che sembrano essere durati un'eternità, Isabel si sveglia. Vorrei prenderla a schiaffi per lo spavento che mi ha fatto prendere e, allo stesso tempo, vorrei solo abbracciarla, felice di aver appurato che sta bene.

"Jack, che succede, che ci fai qui?" mi chiede con voce impastata e sguardo appannato.

Bel è intontita, sembra sotto l'effetto di stupefacenti. Mi allontano subito da lei, perché sento che sto per esplodere; la folle paura di averla persa, e la rabbia per il suo gesto, mi hanno innescato come una bomba a orologeria; sento le mani pizzicarmi per l'adrenalina e il sangue pomparmi nelle vene. Vorrei tanto prendere a pugni qualcosa, non toccherei mai Bel, ma mantengo comunque una certa distanza di sicurezza, perché so che in questi momenti la mia collera va fuori controllo.

Cammino avanti e indietro, cercando di non perdere l'ultimo barlume di autocontrollo che mi rimane, mentre stringo i pugni fino a sentire la circolazione fermarsi. Bel si mette a sedere e mi osserva interdetta; non appena nota la finestra in frantumi, si alza e con passo malfermo si avvicina all'entrata. Le sbarro la strada, mentre i suoi occhi un po' annebbiati guardano i miei, scintillanti di folle ira.

"Che cosa è successo?" Credo che la sua domanda sia riferita alla finestra, ma anche alla mia faccia.

Il suo stupore mi manda ancor più in bestia, perché sa benissimo perché sono fuori di me. "Cosa è successo? È successo che ho dovuto buttare giù la finestra per accertarmi che tu fossi viva, perché hai deciso di stordirti con questa merda!" urlo, mentre in preda alla rabbia cieca, prendo il flaconcino di pillole dal tavolo e lo scaglio contro il muro alle sue spalle, con così tanta veemenza che la confezione si apre e le pillole si sparpagliano per tutta la stanza.

Bel mi guarda scioccata, con gli occhi spalancati. Ho il respiro corto, mi sento una pentola a pressione a cui è stata aperta la valvola di sfogo e che ora non riesce a smettere di sputare fumo.

"La prossima volta che vuoi sballarti, chiamami, ti do qualcosa di più buono di questo schifo." Ecco, l'ho fatto di nuovo, per l'ennesima volta ho fatto e detto qualcosa di cui mi sono pentito all'istante, per l'ennesima volta l'ho ferita e stavolta pesantemente, solo per la mia malsana paura di perderla.

Sono furente con lei perché mi ha escluso, perché non mi ha permesso di starle vicino e si è ridotta in questo stato senza permettermi di fare niente ma, nonostante questo, non avevo alcun diritto di trattarla così e so di aver toccato il fondo con le mie parole all'arsenico. Riesco sempre a rovinare tutto, sono sbagliato, mi sento difettoso e, come spesso è successo, Bel ne ha pagato le conseguenze.

I miei demoni hanno vinto anche stavolta e specchiandomi negli occhi di questa ragazza, che mi guarda offesa e colpita nel vivo, vorrei prendermi a pugni da solo. Cerca di farlo lei al posto mio, alzando un braccio, pronta a darmi uno schiaffo; fermo la sua mano prima che raggiunga la mia faccia. Non so perché lo faccio, meriterei molto di più di una sberla, ma il mio orgoglio ha la meglio e, nonostante, la consapevolezza lacerante di averla ferita per l'ennesima volta quando avrei solo dovuto proteggerla, sono ancora arrabbiato con lei, per quello che ha fatto, o che ha tentato di fare.

Come in un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora