Capitolo 18 🌻

4.4K 189 65
                                    

Isabel

Scappo da Jack e da quel bacio mancato. Mi allontano dalla cosa che voglio di più al mondo, fuggo come se ci fosse qualcuno che mi insegue e, nella fretta di correre via da casa McCoins, non appena il cancello d'entrata si richiude alle mie spalle, mi accorgo di aver lasciato la mia giacca e il mio telefono nell'auto di Jack.

Perfetto, ora mi ritrovo con i vestiti bagnati, al freddo, al buio e senza il mio telefono per poter chiamare un taxi che mi riporti a casa. E ora cosa faccio?

La soluzione migliore sarebbe quella di suonare il campanello e riprendermi le mie cose, ma dopo quello che è successo due minuti fa con Jack, è fuori discussione che io bussi alla sua porta. Non mi rimane altra scelta che tornare a casa a piedi, anche se non ho un'idea ben precisa di che strada fare, né quanto tempo ci impiegherò. Una cosa è certa: sarà una lunga passeggiata.

Al solo pensiero di dover camminare di sera, zuppa e con questo freddo, mi viene il mal di pancia, ma sono una fifona e se l'alternativa è rivedere Jack, dopo che ci siamo quasi baciati, preferisco rischiare la polmonite o un'aggressione notturna, piuttosto che doverlo affrontare.

Nelle successive due ore e venti, fortunatamente non sono riuscita a pensare a cosa è successo, perché ero troppo impegnata a non perdermi e a non morire congelata. Quando finalmente arrivo a destinazione, vorrei piangere di felicità: non sono mai stata tanto contenta di vedere casa mia!

Reduce da un'adolescenza gremita di fughe notturne, scavalco il muro di cinta di casa, stando attenta a intrufolarmi in uno dei tanti punti ciechi del sistema di sicurezza. Scaltra e veloce come un gatto, saetto nel parco intorno all'abitazione fino a raggiungere il perimetro circostante la zona soggiorno. Non ho idea di che ore siano, ma immagino sia tardi; le mie chiavi sono rimaste nella giacca, ma preferirei evitare di suonare il campanello, così da non svegliare nessuno.

A debita distanza, mi aggiro intorno alla vetrata del salotto; la luce è accesa e intravedo Alice seduta comodamente sul divano. Grazie al cielo non devo scalare la parete adiacente alla mia stanza per entrare.

Raccolgo un sassolino da terra e lo lancio contro la finestra, per attirare la sua attenzione. Ally sussulta e si volta nella mia direzione, impaurita, impiegando qualche secondo a riconoscermi.

Il suo sguardo perplesso mi attraversa, mentre io le faccio segno di venire ad aprirmi, possibilmente prima che il processo di ibernazione mi trasformi definitivamente in una statua di ghiaccio. "Bel che stai facendo lì fuori? Ma sei bagnata? Dove hai la giacca?" mi chiede subito apprensiva, una volta aperta la porta.

"È una storia lunga, non ho le chiavi e non volevo svegliare mamma e papà. Ti prego, dimmi che il camino è ancora accesso, sto gelando", le rispondo con i denti che sbattono.

Solo ora che entro in casa al caldo, mi rendo conto di quanto freddo faccia fuori. Sono una pazza, sono un maledetto coniglio pazzo!

"Sì, è acceso. Mi vuoi spiegare cosa è successo?" La sua domanda è oltremodo legittima, devo sembrare una psicopatica. Ma mia zia dovrà attendere, perché al momento ho troppo freddo per parlare.

Mi fiondo davanti al fuoco, mi libero di scarpe e calzini fradici, mi tolgo persino i pantaloni e resto in mutandine a godermi la sensazione di calore, per qualche minuto.

Finalmente sento di nuovo tutte le parti del mio corpo.

"Si può sapere da quanto sei fuori al gelo? I tuoi piedi sono viola!"

"Da più di due ore."

"Cosa? Perché sei stata in giardino per più di due ore?"

E adesso cosa le racconto? "Non ero in giardino, ero a casa di Jack, ma abbiamo litigato e sono tornata a casa a piedi." Il mio cervello è troppo ibernato per inventare una scusa plausibile.

Come in un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora