Capitolo 8 🌻

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Jack

Tolgo dalla tasca interna della giacca il pacchetto di Marlboro Light, Isabel me ne ruba una, lasciandomi basito.

"Non sapevo fumassi", le dico, cercando di trattenere le domande riguardo il suo viso stravolto, sperando così di non farla sentire a disagio.

"Non sono una vera fumatrice. A volte passano giorni interi tra una sigaretta e l'altra, ma fumarne una ogni tanto mi rilassa." La faccio accendere con il mio zippo e poi torno a fissare il panorama di fronte a noi, con lo stomaco in subbuglio davanti alla sua evidente sofferenza.

Non ho la più pallida idea di chi fosse al telefono, so solo che la sua espressione è cambiata quando a guardato lo schermo. E le cose non sono per niente migliorate; se, prima di rispondere a questa telefonata, i suoi occhi erano solo in ansia, ora sono lucidi e arrossati, chiaro segno che Bel ha appena pianto. Spero che mi dica che cosa la affligge tanto, perché non sopporto vederla così.

Purtroppo, non appena lei si decide a parlare, scopro che forse sarebbe stato meglio per me non sapere. "Al telefono era Gustave, il proprietario della pasticceria dove lavoro a Parigi. Gli ho detto che non tornerò per un bel po'." Ed ecco il motivo dell'ombra che è calata sul suo volto.

"Si è arrabbiato?"

"No, no, assolutamente. Voglio bene a lui e a sua moglie, sono stati la mia unica famiglia per tre anni, mi mancheranno." I nostri occhi si incontrano e io sento tutto il peso di ciò che le ho fatto piombarmi addosso funestamente.

Interrompo quasi subito il contatto visivo e torno a fissare l'orizzonte, incapace di guardarla in faccia. Lei lo nota e me ne chiede la ragione. "Che c'è?" Nella sua voce non c'è alcuna traccia di risentimento nei miei confronti, ma questo non cambia la realtà dei fatti.

L'unica ragione per cui lei non potrà tornare da loro è che io l'ho praticamente costretta a scegliere tra la sua vita e la salute di suo padre. "Ti mancheranno perché io ti ho obbligata a stare qui." Sono io la causa dei suoi mali, del suo dolore palpabile.

Non mi è mai capitato di sentirmi così colpevole, questo non perché non abbia mai ferito qualcuno, volontariamente o meno, ma solo perché in fondo non mi è mai importato di nessuno come mi importa di lei.

Io non lo so se a tenermi incollato a questa ragazza sia la sua bellezza e la voglia di possederla, oppure il bisogno di ripulirmi la coscienza dopo le mie azioni meschine, o ancora se il punto sia proprio lei e come mi fa stare. Quello che so è che sono legato a lei e non solo da un pezzo di carta.

"Jack, ascoltami. Non è colpa tua, Gustave ha ragione, il destino ha voluto così. Forse questa sarà la volta buona in cui riuscirò a risolvere tutti i problemi con la mia famiglia. È giusto che io stia qui, questa è casa mia. Ti prego, non devi sentirti responsabile, è stato tuo padre a mettermi all'angolo, non tu, e la scelta finale è stata comunque mia."

Isabel cerca di sollevarmi dai miei peccati, proiettandoli su mio padre che in realtà è stato solo mio complice e non il fautore della sua rovina, come le ho fatto credere.

Non posso confessare ora questa verità, non adesso che le cose stanno andando così bene tra di noi, ma non posso nemmeno ignorare la mia coscienza che sembra essersi ripresentata dopo anni di silenzio.

Vedere i suoi occhi angosciati mi fa stare male, male fisicamente. Sento un dolore al petto che mi distrugge dentro, come un mostro che mi morde l'anima.

Come in un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora