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«Tutto okay?»
Annuì fingendo un sorriso e arricciando il naso freddo.
«Continua»
Dissi passandomi poi la lingua sulle labbra, i nostri passi ormai viaggiavano all' unisono.
Non sentendo più la sua voce mi guardai intorno cercando una domanda intelligente, ma mi sentì tirare per la felpa e caddi su una panchina in legno leggermente umida.
«Che fai?»
Chiese lui sfiorandomi le gambe con le mani per poi aiutarmi a togliere la felpa dall'angolo in cui si era impigliata nella panchina, arrossì e mi sentì una stupida.
Lui rise piano scuotendo la testa e si sedette  accanto a me, perdendosi a guardare la grande fontana davanti a noi, della quale mi accorsi solo ora della presenza.
L'acqua non era in funzione, ma restava meravigliosa comunque.
«Come ci siamo conosciuti?»
Domandai sorridendo al vento.
«Ah»
Lo sentì sbuffare e tornai sul suo viso vedendolo fare una smorfia, alzai un sopracciglio e mi voltai appoggiando la spalla sinistra allo schienale della panca, dedicandogli tutta la mia attenzione.
«Non mi crederesti mai»
Rise rivolgendomi uno sguardo divertito, socchiusi gli occhi e mi portai entrambe le mani in tasca.
«Okay, ora sono troppo curiosa, voglio saperlo»
Le sue iridi scure esitarono nelle mie e io lo incitai con lo sguardo, sperando che vuotasse il sacco.
«Va bene»
Cedette mordendosi un labbro, sentì il cuore aumentare il battito, ma feci finta di nulla restando in ascolto.
«La prima volta che ti incontrai fu in mezzo ad una rissa, andava di moda un gioco idiota e per entrare nel gruppo avrei dovuto prendere a pugni la prima persona che mi sarei trovato davanti, ci nascondemmo in un vicolo, quello accanto alla biblioteca. Passasti tu, avevi l'aria di chi si era persa, ma non ebbi mai la conferma se fosse stato così davvero.
I miei compagni mi spinsero verso di te e io rifiutai, non avrei mai messo le mani addosso ad una ragazza, era una questione morale non per altro.
Steven, uno dei fondatori di quel gioco, ti prese per un braccio e ti spinse contro al muro, tu gli sputasti in faccia e io ti insultai mentalmente per la tua stupidità. Mi diedero l'ordine di tirarti un pugno e io ti raggiunsi tenendoti bloccata al muro, ma quando incontrai i tuoi occhi qualcosa dentro di me scattò, una sensazione strana e nauseante quasi da quanto fosse forte.
Alla fine lo tirai quel pugno, ma colpì il muro fratturandomi due dita, ti sussurrai di scappare e correre il più velocemente possibile lontano da noi e tu obbedisti sfiorandomi il petto con la mano»
Corrugai le sopracciglia e aprì piano la bocca mordendomi poi il labbro inferiore
«Da quella sera diventasti la mia ossessione, non c'era momento che non pensassi al tuo viso, ai tuoi occhi pieni di paura, e a quel gesto, a quella carezza che mi regalasti senza che me lo meritassi davvero. Cominciai poi a chiedere di te in giro e presto entrai nella tua vita, diventando parte della tua routine... a volte mi chiedo ancora come ti sia potuta fidare dopo tutto quello che ti avevo fatto»
Distolse lo sguardo portandosi una mano tra i capelli.
«È un gran casino»
Sussurrai sovrappensiero incrociando le gambe, lui tornò nei miei occhi perplesso e questa volta fui io a rompere i nostri sguardi
«Che cosa?»
«Le carte che sceglie il destino»
«Non ti seguo»
Disse confuso corrugando le sopracciglia.
«Mi innamorai di te nell'istante in cui ero certa che mi avresti fatto del male e ora... sento di provare qualcosa per te dopo che mi hai sequestrata e chiusa in baule. È assurdo il modo in cui il destino ci ha fatto incontrate per due volte, non credi?»
Gli feci notare sorridendo e lasciandomi andare ai suoi occhi, alzai un sopracciglio divertita all'espressione che aveva sul viso.
«Hai appena detto di essere innamorata di me?»
Domandò sconvolto indicandosi, il mio cuore mancò un battito, ma poi tornai in me portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Be, non ti ho di certo baciato perché mi stavi simpatico»
Scherzai sorridendo ancora una volta come un ebete, lui rise e io mi sentì morire a quel suono tanto semplice e pulito.
Si guardò intorno contemplando il suono freddo del vento per parecchi minuti, poi riprese a parlare, ma il suo tono sembrò più spento di prima.
«Emma posso farti una domanda?»
Annuì rivolgendogli uno sguardo, ma lui rimase a fissare il nulla davanti a se.
«Lui a casa com'è?»
Corrugai le sopracciglia e cercai di capire la sua domanda.
«Come dovrebbe essere chi?»
Lui sospirò stanco e mi rivolse uno sguardo,
«Tuo padre»
Mi bloccai per qualche secondo e persi il contatto con i suoi occhi.
«A dire il vero non lo so...è sempre in ufficio, torna troppo tardi la sera e se ne va troppo presto la mattina per darti un opinione sincera. Le uniche due ore che passo con lui sono il venerdì, due ore delle quali non fa altro che rimproverarmi per i voti, ai suoi occhi troppo bassi per il mio livello»

Forget about me SOSPESADove le storie prendono vita. Scoprilo ora