Due settimane.
Non avevo ancora perso i giorni, avevo la certezza che oggi fosse mercoledì, che il mese esatto fosse gennaio anche se avevo perso il numero esatto.
Due settimane chiusa in quella stanza, con il solo permesso di percorrere il corridoio per andare al bagno infondo a destra, rigorosamente scortata da uno dei ragazzi.
Si alternavano tra Jenna e David, un ragazzo alto, dalla classica aria da bad boy, gli occhi verde cenere e i capelli rasati a zero.
Per ironia della sorte i pasti mi venivano serviti sempre quando dormivo o venivo riempita di antidolorifici per calmare il dolore al fianco, ne prendevo talmente tanti che mi ritenevo fortunata a non essere ancora morta per overdose e in compenso, Ethan sembrava sparito.
Presi quel bicchiere e guardai David sparire nel corridoio con la mia cena saltata di ieri sera, bevvi un sorso d'acqua e mandai giù quella pastiglia arancione.
«Non puoi continuare così Emma, non ti sto sgridando, ma mangi pochissimo e ti imbottisci di pastiglie forti, se continui così finirai male»
Le porsi il bicchiere e mi liberai di quelle lenzuola scendendo dal letto, mi avvicinai alla finestra e guardai il panorama della stagione fredda.
«Perché non posso uscire? Non ho intenzione di scappare, solo di farmi un giro e prendere una boccata d'aria, sono giorni che sono chiusa qui dentro senza un motivo apparente»
Era appena l'alba e la macchina di Chase si avviò lungo il sentiero, scomparendo sotto i fitti rami spogli degli alberi che costeggiavano la strada.
«Sei capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato, nessuno te ne fa una colpa, ma devi capire che non possiamo permetterci di rischiare, Chase ha la testa in un cappio e i federali stanno aspettando solo un suo passo falso per aprire la botola e tagliarlo definitivamente dai giochi.
Ti sta trattando meglio che può per rispetto verso quello che hai fatto per Ethan, è in debito con te e se fossi al tuo posto accetterei il suo cibo e le sue regole»
Rimasi in silenzio, non potevo contrattaccare alle sue parole severe. Mi voltai e incontrai i suoi occhi blu, un sorriso mi fece sentire meglio e lo ricambiai.
Lei annuì e uscì chiudendo ancora una volta la porta a chiave. Il problema è che io non ero capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato, quel ragazzo mi aveva trascinato con se obbligandomi a reggere la sua stupida bugia, mi tornarono alla mente i suoi occhi e più li ricordavo più sembravano essermi familiari. Ero certa che Ethan mi nascondesse qualcosa, qualcosa su di me che non sapevo, come il fatto che mi conoscesse ad esempio. Io non ricordavo di averlo incontrato da qualche parte, nemmeno di vista per le strade di San Jose.
Sbuffai e sperai che prima o poi questa routine finisse.
Il furgone nero venne messo in moto da David e presto Jenna lo raggiunse salendo dal lato del passeggero. Facendo un veloce calcolo ora mi trovavo da sola in casa. Alzai un sopracciglio e mi sistemai i leggins neri che portavo abbassandoli in vita, in modo che non sfiorassero le garze nuove, mi levai la canotta che portavo ed infilai quel largo maglione di cachemire color panna, mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e camminai verso la porta, aprì la maniglia e non mi stupì di confermare la sua chiusura, sbirciai dalla serratura, ma qualcosa la ostruiva, presi la maniglia e l'agitai ascoltandone il rumore, sorrisi e corsi verso la scrivania aprendo i cassetti in cerca di un foglio di carta, ma erano tutti vuoti, mi guardai intorno e mi abbassai alzando le coperte da terra, allungai il braccio cercando alla cieca quel foglio che avevo accartocciato il primo giorno, le mie dita lo sfiorarono e mi sforzai ancora un po' raggiungendo la pallina accartocciata.
Mi alzai in piedi e me la rigirai nella mano.
Cercai di far tornare quel foglio alla sua forma originaria il più che potevo e, una volta raggiunta la porta, lo feci scivolare per metà dalla parte opposta cominciando a giocare con la forcina dentro la serratura sperando di spingere la chiave all'esterno.
«Andiamo»
Sbuffai dando qualche pugno alla porta, quasi esultai quando sentì quel pezzo di ferro rimbalzare a terra, presi il foglio e lo lasciai scivolare verso di me, presi la chiave e le diedi un bacio.
«Si! Sono fuori finalmente»
Feci scattare la serratura e spalancai la porta teatralmente.
«Ci sei arrivata, era ora»
Mi portai una mano sul petto per lo spavento e feci un passo indietro.
«Dio! Ethan che diavolo ci fai qui?»
Il suo sorriso divertito mi confuse, si portò le braccia al petto contraendo i muscoli e obbligandomi a distogliere lo sguardo.
«Be, ci abito»
Non aveva tutti i torti infondo. Le sue iridi scure vagavano curiose sul mio corpo analizzandone ogni centimetro, come ad assicurarsi che fosse tutto al suo posto.
«Non ti darò la chiave»
Chiarì facendola sparire tra l'elastico dei leggins e le garze che mi fasciavano come una mummia. Lui annuì mostrandomi la fossetta e tornando con le mani nelle tasche di quel paio di pantaloni della tuta grigi. Era appoggiato alla spalliera che dava sull'entrata e su gran parte del soggiorno sottostanti, il suo sguardo non mi mollava un secondo e dovunque posassi il mio non potevo far altro che provare sensazioni strane.
«Ormai sei fuori, ti va un giro?»

Forget about me SOSPESADove le storie prendono vita. Scoprilo ora