Capitolo 8

6.3K 373 65
                                    

Sammy's pov

Fa male. 

Molto male. 

Sono passati tre giorni e il dolore non diminuisce, aumenta. Mi lacera dentro e non mi permette di respirare. Ho sbagliato tutto nella mia vita e non intendo rovinare anche quella di mio figlio. La partenza di Tyler e la solitudine mi ha fatto riflettere, i sensi di colpa hanno iniziato a bussare alla mia porta, senza mai fermarsi. Sarei dovuta andare con lui, affrontare le conseguenze a testa alta. Invece ho preferito rinchiudermi nella mia bolla, fare la codarda e rimandare ulteriormente l'inevitabile. Non voglio che mio figlio cresca nella menzogna, nonostante tutti gli sforzi che io e Tyler facciamo per lui. Da grande, dovrà avere il diritto di chiamare papà colui che l'ha concepito. Ed io, non posso negargli tale diritto, come non posso negare al padre di sentirsi chiamato il quel modo. 

Ecco perché mi trovo all'aeroporto. Per smettere di fuggire, per dimostrare a Tyler che posso farcela. Per dimostrare a me stessa di potercela fare. 

Cammino lentamente, la valigia in mano e un peso nel cuore. Evan dorme beato tra le braccia di Dylan, si è offerto di accompagnarmi e non me la sono sentita di rifiutare. Dopotutto, tutti abbiamo bisogno di aiuto nella vita. In questi giorni mi è rimasto accanto, ha dormito nel divano e ha dato da mangiare ad Evan quando io non potevo. È il mio angelo custode, il mio secondo migliore amico.
Prima di partire da casa, ho avvisato Tyler del mio arrivo. Mi è sembrata la cosa più giusta da fare. 

"Sei pronta?" mi chiede.

"Si, andiamo." Entriamo nell'aereo e le hostess ci aiutano a sistemare le valigie nell'apposito spazio. Mi siedo nel posto indicatomi e metto Evan tra le braccia. L'hostess esegue la procedura specifica per bambini a bordo e, cinque minuti dopo, l'aereo è pronto per partire. 

Guardo fuori dal finestrino, con l'ansia che mi attanaglia le viscere. Dylan se ne accorge, mi prende la mano e mi sussurra: "Andrà bene, e se non dovesse essere così faremo in modo che accada." Lo guardo per un attimo prima di riportare lo sguardo sul panorama. 

Ha ragione, se non andrà bene faremo in modo che accada. Insieme. 

****

L'aria fredda che penetra nelle ossa, il suono insistente dei clacson, la miriade di persone riversate in strada. 

In una sola parola: New York.

L'aereo è atterrato mezz'ora fa, ma di Tyler ancora nessuna traccia. Evan si è addormentato tra le braccia di Dylan mentre io fingo di mangiare un panino. Sono in ansia, letteralmente. Le mani mi tremano, ho il respiro corto e il panino quasi intoccato. Non è da me perdere l'appetito, eppure ho una paura atroce. 

Come reagiranno i miei alla notizia? Mi sbatteranno fuori di casa o accoglieranno me e il mio bambino?

"Posso vedere il fumo uscire dal tuo cervello."

"Il mio cervello non esiste più, Dylan. Ho paura, ansia e terrore." lancio il panino in un cassonetto, rassegnata.

"Paura e terrore sono sinonimi, tesoro." ridacchia.

Lo ignoro e concentro la mia attenzione sulla strada. Ma dove diamine è finito Tyler?

Poco dopo sento un clacson richiamare la nostra attenzione e quando mi giro, un sospiro di sollievo esce dalle mie labbra. È qui, il mio migliore amico è proprio davanti a me. Sta scendendo dall'auto, bellissimo come sempre e con un'aria da dongiovanni. Le ragazze si voltano lentamente per osservarlo; purtroppo per loro l'orientamento sessuale del mio amico è ben diverso.

"Amore mio." Si precipita tra le mie braccia e una sensazione di benessere si espande dentro di me.
Mi è mancato, più di quanto io possa spiegare.

Un fidanzato per finta 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora