22_Ritorno a Karleden

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Una tempesta di pioggia acida, altamente corrosiva, sferzava la base Digamma fin dalle prime ore della mattina. Per alcuni giorni il pianeta aveva concesso una tregua assolutamente inusuale ma adesso, che aveva ripreso con ancora più vigore a tormentare la struttura, sembrava avesse usato quella sospensione per rialimentare le proprie forze e prepararsi ad accogliere il nuovo inquilino.

I tecnici della base lasciavano trasparire un senso di irrequietezza, non era un buon giorno per una migrazione ma d'altra parte su quel pianeta i giorni buoni erano una rarità. Solamente la decade precedente avevano dovuto rinforzare l'intera struttura immettendo, in particolare nelle pareti esterne, una massiccia dose di picobot specializzati nel fortificare quella specifica costruzione creata per resistere alle condizioni estreme del pianeta.

Rad Mesmeriz provò ad appoggiare il capo allo schienale della poltrona. Il viso allungato metteva in evidenza l'apparato olfattivo la cui leggendaria funzionalità stupiva sempre i suoi colleghi. Nelle gallerie sotterranee del suo pianeta era in grado di riconoscere gli odori distanti kilometri e, nel caso fossero diversi, anche di separarli e identificarli uno ad uno. Un retaggio ricevuto dai suoi antenati e di cui ora si rammaricava percependo, più di tutti gli altri abitanti della base, quanto stava accadendo all'esterno.

Quel tempo orribile lo rendeva sempre nervoso ma naturalmente non aveva potuto rifiutare l'alternanza necessaria a mantenere la posizione raggiunta con tanta fatica e sforzo dai suoi predecessori.

Ormai poteva definirsi un veterano: questa era la sua ventesima presenza. La prima volta aveva accettato per curiosità quella missione di pochi mesi, quasi con entusiasmo di cui ben presto si era però pentito. La sua razza non era fatta per quell'incarico. La superficie dei pianeti, qualunque essi fossero, aridi o perturbati, li rendeva sempre irrequieti.

Gli spazi privi di pareti visibili o in cui la luce non si poteva controllare e la natura aveva pieno potere erano tutte situazioni dannose per la loro mente e da cui si tenevano lontani tuttavia, al momento di esporre le caratteristiche della loro razza da inserire nella rigenerazione, avevano scelto di non rinunciare a quell'aspetto, pur avendo la facoltà di escluderlo, perché questo li avrebbe snaturati e ora lui, in un certo senso, ne stava pagando le conseguenze.

Il Direttore generale lo aveva richiamato ancora una volta mettendolo di fronte al fatto di essere il più adatto per quell'incarico, la persona giusta. Gli altri non avrebbero resistito per tutto quel tempo all'esterno, in balìa degli eventi anche se al chiuso della base, in un ambiente in cui gli elementi si scatenavano esibendo tutta la loro selvaggia potenza.

Il suo compito consisteva principalmente nel presidiare quel luogo e in particolare nel mantenerlo perfettamente funzionante. Il numero delle migrazioni si era assestato ormai da parecchi decenni e quel giorno per lui sarebbe stata solo la terza da quando era giunto alla base per il suo turno.

Ma questo non lo confortava perché mandare fuori tutte quelle persone, in quel clima nocivo per la vita, a lui sapeva più di delitto che di regalo. Come era possibile che a pochi metri da lui, appena oltre le paratie esterne, ci fosse un paradiso quando tutti i suoi affinatissimi sensi dicevano esattamente il contrario?

Mai nessuno era tornato indietro per smentire quanto pareva evidente. Nessuno, fino al giorno in cui un abitante si era presentato alla porta di accesso e da quel momento era nata la leggenda di Karleden: il pianeta paradiso.

Karl aveva confutato ogni logica acquisita e raccontato di un pianeta meraviglioso dove i corpi dei suoi abitanti si integravano perfettamente con la natura stupefacente del pianeta dando forma ad un paradiso. Da allora, a miliardi, vi si erano trasferiti giungendo da ogni parte del cosmo e forse era proprio da addebitare a Karleden la spiegazione di tanta mancanza di vita intelligente nell'universo. Nel corso del tempo chissà quanti pianeti si erano resi disabitati, per merito o a causa, di quel singolare oggetto spaziale.

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