Sconvolgenti verità

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  Seduta al bar allestito per l'occasione mi concedo un Martini per placare il crescente nervosismo che, come uno sciame di vespe, mi agita lo stomaco.
Sorseggio lentamente quell'alcolico dolciastro, assaporandone quel sapore inebriante.
Con disinvoltura accavallo le gambe con studiata lentezza, in modo tale che lo spacco del lungo vestito verde foresta che indosso, si apra senza mostrare la fondina agganciata alla coscia.
Il mio sguardo, non edulcorato da nessuna lentina a contatto, è fisso sull'affascinante milionario che con grande pathos cerca di coinvolgere emotivamente quello stormo di pavoni imbellettati a partecipare alla lotta contro il cancro.
Sapevo che Alexander Cates fosse un bell'uomo, ma devo ammettere che di presenza lo è ancora di più.
La folla applaude ad un'arringa ben strutturata e toccante.
Appoggio il bicchiere di Martini, pieno per tre quarti, sul bancone in mogano, e mi avvicino all'obbiettivo.
Quando gli sono vicina a una spanna di distanza, calco il piede destro con più forza del dovuto, in modo tale che il tacco, precedentemente tagliato e poi riattaccato con della semplice colla, si rompa con un crack d'effetto, facendomi afflosciare per terra come un fiore maldestramente reciso.
"Oh...", esclamo con tono falsamente stupito.
Immediatamente vengo sorretta da due forti braccia.
"L'ho afferrata", mi sussurra una voce vibrante e profonda.
Alzo gli occhi verso il suo proprietario, e vengo rapita da un paio di occhi color ghiaccio venati di blu: magnifici, ipnotizzanti. Occhi capaci di privarti della facoltà di respirare.
"Grazie", gracchio frastornata.
Chiaramente consapevole dell'effetto che esercita su noi povere donne volubili, l'adone mi sorride, mostrandomi una sfilza bianca di denti in netto contrasto con la carnagione dorata.
"Prego. Si è fatta male alla caviglia?"
"Non credo, magari se mi lasciasse poggiare i piedi a terra potrei verificare", ribatto più sicura in me, godendomi la sorpresa che gli accende lo sguardo.
"Una donna indipendente"
"Sa, ancora non ci siamo estinte, qualcuna di noi si aggira in mezzo a questo mondo di frivole galline"
Il suo sguardo vaga lungo il mio corpo fino alle costosissime scarpe Gucci, irrimediabilmente rovinate.
"Non credo che potrà camminare con le sue belle scarpe ridotte in quel modo", mi fa notare indicandomi il tacco spezzato.
"Scommettiamo", lo sfido assumendo la mia posa da rompipalle, come la definisce Sasuke.
"Cosa vuole scommettere?"
Faccio finta di rifletterci su, poi gli scocco un sorriso.
"Una domanda", gli rispondo
"Una domanda? Una richiesta insolita. E se dovessi vincere io?"
"Decida lei, signor...?", fingo di non sapere chi sia.
"Mi chiami Alex. E lei invece?"
"Elise"
"Elise, un bel nome, le si addice"
"Funziona?"
"Cosa?", mi chiede perplesso, la bella fronte corrucciata.
"Adescare giovani donne con queste frasi da manuale", gli rispondo con una risata che ricambia pienamente.
"Dimmelo tu Elise"
"Decisamente no"
"Bene, ne sarei rimasto terribilmente deluso"
Mi chino per slacciare entrambi i cinturini delle scarpe, e ne porgo una a lui.
"Come ricordo di questo improbabile incontro", gli spiego prima di voltarmi e allontanarmi.
"Aspetta", mi ferma afferrandomi un polso. "Non volevi farmi una domanda?"
Mi volto verso di lui con un sorriso birichino e malizioso.
"Infatti, ti stavo solo anticipando", gli rispondo indicandogli il terrazzo.

҉


Devo ammettere che quel Cates è proprio un bastardo fortunato: ricco e con stupende donne che gli cadono ai piedi. Osservo con occhio critico la bella donna che è insieme a lui: i lunghi capelli ramati avvolti in un disordinato chignon, lunghissime gambe toniche, e un bellissimo seno messo in evidenza da una strategica scollatura.
La donna, non era la solita svampita di turno, non ne ho potuto ammirare il volto, ma già immagino lo sguardo di sfida che avrà di sicuro lanciato a Cates nello sfilarsi, in un evento di gala del genere, quelle costosissime carpe per girovagare comodamente a piedi scalzi.
Controllo l'orologio: sono le undici e quarantadue minuti. Mi avvicino all'obbiettivo prestando attenzione a non fuoriuscire dal perimetro tracciato dalle ombre che attraversano l'ampia terrazza. Con nonchalance infilo una mano nella tasca della giacca di alta sartoria e sfioro il profilo della pistola. Mi volto verso est, dove a pochi chilometri si erge il campanile di una chiesa. Segna le undici e quarantaquattro minuti: un minuto allo scoccare del rintocco delle campane campanarie. Mi avvicino ulteriormente uscendo di pochi centimetri la pistola.
Il rintocco del campanile mi dà il via per far fuori il caro signor Cates. Estraggo la pistola e sparo tre colpi in successione.
Purtroppo la giovane che era con lui, per qualche inspiegabile motivo, gli fa da scudo con il suo corpo gettandolo a terra. Subito dopo, con un fiore scarlatto che le sboccia all'altezza della scapola destra, si rialza in piedi puntandomi una pistola dritta in testa.
Mi si blocca il respiro in gola, e non per il fatto di essere il bersaglio di un'arma da fuoco. No. La cosa che mi getta nel panico più assoluto e paralizzante sono gli occhi di quella donna: verdi come le praterie dell'Irlanda. Gli occhi di mia moglie.

Mr & Mrs UchihaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora