L'ira di Shisui

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NdA: Salve a tutti, perdonate il ritardo mostruoso. Rieccomi con un nuovo capitolo.So bene di avervi detto che questo sarebbe stato l'ultimo, ma non volendo essere troppo frettolosa e parca di dettagli, ho deciso di scriverne un altro in più,ovviamente senza contare l'epigolo. In questo capitolo avremo un pov direttamente narrato da Shisui, da qui il titolo del capitolo. Spero di non deludere le vostre aspettative. Vi auguro una buona lettura, e sopratutto una piacevole estate. Spero di rifarmi viva il prima possibile.

Sasuke


Dicono che appena prima di morire la vita ti scorra davanti agli occhi in un lampo, che siamo capaci di rivivere gli attimi più salienti della nostra vita, ma a me non è andata così.
In tutta sincerità, avevo sempre pensato che la storia del momento fatale in cui rivedi la tua vita come un film fosse davvero atroce. Certe cose è meglio che restino morte e sepolte, come direbbe mia madre. Sarei felice di scordare tutta la quinta elementare, per esempio, o la mia prima volta.
Oppure debellare dalla mia memoria l'abbandono di mio fratello. La verità, però, è che non mi sarebbe dispiaciuto rivivere i miei momenti migliori: quando io e Sakura ci siamo incontrati per la prima volta, oppure quando le chiesi di sposarmi, quando finalmente lo è diventata e il nostro primo bacio da marito e moglie.
Purtroppo, non rividi nessuno di questi momenti, solo buio, totale, impenetrabile, dove non c'è il minimo spazio per il più fievole spiraglio di luce. Solo dolore, atroce, assordante, un dolore che ti fa incazzare ancor di più contro la vita, perché almeno nella morte dovresti smettere di provare dolore, no?
Che fregatura...
Sakura.


Ho aspettato ben più di mezz'ora, oltre il tempo limite indicatomi da Madara.
Corro in questo lungo e squallido corridoio, come se il diavolo stesso mi stesse alle calcagna. Il panico mi investe con la forza di uno tsunami: dovevo girare prima a sinistra e poi a destra? Oppure era al contrario?
Oddio, come posso riuscire a trovare Itachi e scappare da questo inferno?
Inchiodo sul cemento grezzo che dovrebbe fungere da pavimentazione.
È proprio quel che penso: il pianto di un bambino.
Corro verso la fonte di quel pianto disperato, incurante del fatto di essere praticamente disarmata.
Spalanco la prima porta che mi si para davanti, e ciò che mi si compare davanti mi paralizza, incredula, e incazzata, sull'uscio.
Il mio ex-carnefice, il mostro con la faccia da squalo, sta posizionando degli elettro stimolatori sul corpicino di un bambino di circa un anno.
"Cosa stai facendo?", domando con un filo di voce.
Il mostro alza la testa, i suoi piccoli e gelidi occhi maligni che si accendono di malvagità quando mi vede.
"Punisco chi non sa rispettare i termini delle scadenze", mi risponde educatamente con la sua solita cantilena, poi gira una manopola e il corpicino del bimbo viene attraversato da scariche elettriche.
Rimango spiazzata da una simile malvagità, poi il mio cervello, abituato da anni di missioni e di situazioni critiche, inizia ad analizzare la stanza e la situazione. A circa due metri di distanza da me, alla mia destra, c'è un carrello medico pieno di bisturi e attrezzi chirurgici.
Lentamente, con molta nonchalance, mi avvicino, un passetto alla volta.
"Non so se te ne sei reso conto, ma è un bambino", gli faccio notare con voce arrochita dall'adrenalina che, come un treno a tutto spiano, attraversa il mio corpo.
"Non importa", mi ghigna, girando la manopola facendo così cessare il flusso di elettricità.
Afferro un bisturi e lo lancio direttamente contro quel viso orrendo.
"Puttana di un'Uchiha!", mi sibila come un serpente premendo entrambe le mani al volto.
Ne approfitto per avvicinarmi, afferrargli la testa, e sbattergliela contro la parete producendo un sonoro tonfo.
Subito accorro a liberare il bambino prendendolo in braccio e cullandolo nella speranza che smetta di piangere.
"Cosa devo fare con te?", gli sussurro, seriamente preoccupata di come potesse reagire quel piccolo corpicino a quelle scosse elettriche.
Ma egli risponde alla mia domanda con un bellissimo sorriso sdentato, come se nulla di orrendo fosse mai accaduto in quella stanza.
"D'accordo... dobbiamo trovare qualche arma, cercare Itachi e svignarcela da qui".
Afferro il lenzuolo lasciato sulla spalliera di una sedia, e me lo lego alla vita in modo che possa sostenere il peso del bambino. Poi esco da quella gelida stanza, di corsa, prima quel mostro possa rinsavire.

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