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Si sveglia di soprassalto, una ciocca di capelli bruni intrappolata fra le labbra e le lenzuola aggrovigliate attorno alle gambe.

Dalle tapparelle della finestra capisce che il cielo non è stato neanche ancora tinto dai primi colori dell'alba, e ciò vuol dire che è successo per la seconda volta nel giro di due notti.

Ha fatto di nuovo lo stesso sogno, quello che la accompagna sin da quando ne ha memoria, solo che ogni tanto sparisce e non torna per un paio di mesi, facendole quasi credere di averla superata, di essersene liberata, con una delusione quasi concreta poiché ormai si è abituata a svegliarsi nel pieno della notte - come in questo caso - oppure poco prima dell'alba, con il cuore in tumulto e la mente annebbiata da un vortice di sensazioni impossibili da classificare.

Non è ciò che si definirebbe un incubo, dal momento che non le causa alcuna ansia o affanno, ma non saprebbe catalogarlo come "bel sogno", neanche.

Sono sempre le stesse sequenze, negli stessi luoghi e nelle stesse identiche posizioni.

Ecco, è più l'idea del loop ad angosciarla, a farla ammattire al punto da costringerla a stare sveglia per le restanti ore che la separano dall'inizio della giornata.

Come può, in effetti, un sogno ripetersi - vuoi ad intervalli irregolari, con pause magari anche di settimane, non è questo il punto - dilazionato nell'arco di tempo di tre anni?

Oh, e sapeste, non è neanche questa la parte migliore.

Si trattasse solo di un sogno i cui contesti, o alcuni visi, o determinati avvenimenti si ripropongono, allora la ragazza non sarebbe affatto allarmata, neanche per idea.
È abbastanza sveglia e acuta da essersi informata a riguardo, trovando parecchi spunti interessanti contenuti in alcuni studi i quali hanno dimostrato che apparentemente ci sono elementi nella nostra vita che, indipendentemente da come e quando, ritroveremo perennemente nei nostri sogni, poiché magari sono caratteristiche essenziali del nostro passato, di ciò che è rimasto impresso nella nostra memoria anche se paradossalmente non ce ne rammentiamo.

Ma dove e quando aveva mai incontrato quella figura?

Nel sogno vede perfettamente i suoi lineamenti, così dettagliatamente che potrebbe disegnarne un ritratto.
La pelle così diafana quasi da brillare nel buio, un ammaliante contrasto con i suoi capelli, neri come il carbone.
Ma quello che è sempre riuscito a spiazzarla, nonostante la familiarità di quell'immagine ormai ricorrente nella sua mente, sono gli occhi.
Due distese di oceano, incoronate da migliaia di pagliuzze così luminose da poter essere scambiate per una costellazione.

Camila continua a stupirsi ogni volta che quella, dopo essersi fatta rincorrere a perdifiato, inclina la testa in un lato, lasciando che la luce del terzultimo lampione della strada, puntualmente, le illumini il viso, riflettendo in parte quell'unica fonte di luminosità del vicolo avvolto altrimenti nelle tenebre. Non sa dove finisce, né se possiede una chiusura, un termine, una svolta, perché, ogni volta che giungono al terzultimo lampione, l'unica cosa di cui riesce a preoccuparsi sono quegli occhi verdi che la incantano come pendoli oscillanti, la loro espressione troppo astratta e lontana per essere identificata con qualunque emozione umana.

È come se si conoscessero da una vita, ma al tempo stesso come se ogni volta, dopo averle corso dietro ed essersi fermata per riprendere fiato, lei composta come se non avesse mosso un passo, fosse la prima volta che la vedesse.
E ogni volta che si sveglia, deve impegnarsi con tutta se stessa per acchiappare con la mente il ricordo di ogni suo dettaglio.

È quello che sta facendo adesso, sdraiata con le mani intrecciate sull'addome e gli occhi spalancati al buio, i quali ogni tanto deviano in direzione di quella finestra con le tapparelle, vecchia e ormai consumata dal tempo.

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