|The beating of a butterflie's wings •1| |Tsutomu Goshiki|

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Well, I met her at Guy's in the Second World War
And she was working on a soldier's ward
Never had I seen such beauty before
The moment that I saw her.

-Ed Sheeran.


La vita, una cosa così fragile, delicata, che poteva venire spezzata con la stessa facilità con la quale si rompeva un piatto, i quali cocci venivano poi buttati via, quasi come se non fosse successo niente.
Ma come poteva, l'esistenza di una persona, venir cancellata così velocemente, come fa il mare con le impronte sulla sabbia?
E come potevano le altre persone, dimenticare?
Per lui, dimenticare, era l'offesa più grande che potesse mai essere fatta ad un defunto.
Quando qualcuno lasciava la vita terrena, per onorarlo, venivano posati sulla tomba fiori, incenso, candele, lettere, ma tutto, secondo lui, era inutile.
Se proprio si voleva onorare un morto, era giusto ricordare le sue imprese, le sue gesta, e tramandarle, in modo tale che la vita vissuta, mai sarebbe andata sprecata.
Perché era questo quello che succedeva, una volta dimenticati.
Tutto quello fatto in vita, andava perduto in un oblio, dal quale non c'era ritorno.
Mi farò ricordare, farò in modo che tutto il Giappone mi ricordi.
Questo era quello che aveva promesso Tsutomu davanti alla tomba del padre, morto in battaglia.
Per lui, la vita era come il battito d'ali di una farfalla, avviene ad una lentezza tale, che non ti sembra finire mai, ma in realtà, dura meno di un secondo.
Per questo, in quanto il suo tempo fosse così
limitato, decise di non sprecarne altro, arruolandosi nell'esercito a poco più di vent'anni, pronto a farsi ricordare.

Quel giorno, il sole batteva forte nel cielo limpido, del tutto privo di nuvole.
I raggi luminosi entravano indisturbati dalle finestre, illuminando tutta la stanza ospedaliera, ricolma di lettini, sedie a rotelle, stampelle, carrellini, sui quali erano appoggiati i più vari utensili medici.
Molte figure erano distese sui bianchi letti, che presentavano ogni tanto, qua e là, qualche chiazza cremisi, fuoriuscita dai bendaggi delle garze.
Per tutto il piano rimbombavano i passi delle infermiere e dei dottori, mentre, ogni tanto, il rumore avuto che emettevano gli stivali dei soldati a contatto con il pavimento, si univa al trambusto.
Goshiki aprì gli occhi, venendo a contatto con gli accecanti raggi solari, che lo costrinsero a portare le mani a coprirsi il volto, con un mugugno di fastidio.
Prese un grande respiro, accorgendosi che, per la prima volta da giorni, quel complesso non puzzava più di morte, ma di aria fresca, e di panni puliti.
Riacquistata la vista, si alzò sui gomiti, e guardò davanti a sé, solo per trovare la sua gamba sinistra, alzata così tanto da ostruirgli la vista.
Era arrivato al Centro Medico Kameda qualche giorno prima, insieme a molti altri suoi compagni, feriti anche più gravemente di lui.
Era stato fortunato, un semplice proiettile gli si era conficcato nel polpaccio, danneggiandogli l'osso grazie alla forza del colpo ravvicinato.
Si, lui era stato fortunato, ma altri no.
Quando era entrato in quell'ospedale, l'odore di morte gli era entrato prepotente nelle narici, impadronendosi per un attimo del suo intero corpo.
I suoi occhi erano colmi di immagini strazianti, che gli sarebbero rimaste tatuate in mente per sempre.
Ma questa era la Seconda Guerra Mondiale, e non si poteva più trovare una soluzione pacifica.
O si vinceva, o si perdeva.
O si viveva, o si moriva.
Continuò ad osservare il gesso sulla sua gamba, maledicendosi mentalmente per essere stato così stupido da non notare il nemico a pochi passi da lui.
Tirò un sospiro prima di ributtarsi con un piccolo tonfo sul lettino ospedaliero, cercando di riaddormentarsi.
Le lenzuola pulite e fresche gli ricordarono casa, quando sua madre stendeva i panni umidi nel giardino di casa, canticchiando mentre il vento le scompigliava i lunghi capelli corvini.
Cullato dalle immagini della propria infanzia, stava per addormentarsi, quando altri passi, più pesanti, si unirono a quelli dei dottori, seguiti dallo sbattere di una porta e da un vociare sommesso.
Incuriosito ed infastidito allo stesso tempo, si riappoggiò sui gomiti, e l'unica cosa che vide, fu la sua gamba, di nuovo, dalla quale spuntò, dietro, una chioma rossa, impossibile da non riconoscere.
"Oh oh, finalmente ti sei svegliato."
Da dietro il gesso, spuntò il viso del proprietario di quella acconciatura così stravagante, il Tenente Colonnello Tendō Satori.
Alla vista di quel sorriso sornione, Goshiki si alzò di scatto a sedere, facendosi uscire di bocca un lamento strozzato.
"C-colonnello!"
"Non sforzarti troppo, soldato. Ti sei fatto la bua, non vogliamo mica che peggiori, non è vero?"
Con un ghigno dipinto sulle labbra, Tendō rispinse Goshiki sul lettino, lasciando che si sorreggesse solo con i gomiti.
Il cuore del corvino batteva a mille alla vista dell'Ufficiale, che era venuto a vedere proprio lui!
"D-doveva parlarmi, signore?"
Non riuscì a reprimere l'eccitazione nella voce, che fece allargare il sorriso del rosso.
"Si, ma tutto ciò può aspettare.. Piuttosto, ho saputo che vuoi diventare Generale, sbaglio?"
Tsutomu era sorpreso, davvero sapevano così tanto sul suo conto?
"S-si!"
"Oh, capisco.. E ho sentito anche un'altra cosa, ovvero che aspiri a diventare ancora più grande dell'attuale Generale Ushijima, erro?"
Goshiki si sentì come in trappola, osservato da quelle due piccole pupille rosse, che mettevano in soggezione chiunque le guardasse.
Deglutì rumorosamente mentre sentiva qualche gocciolina di sudore colargli giù per la schiena quando annuì velocemente.
"E sentiamo.."
Tendō si appoggiò con le mani sulla ringhiera del letto, dondolandosi avanti e indietro, come farebbe un bambino.
"Come avresti intenzione di diventare migliore di lui?"
Si portò l'indice sotto il mento, fingendo di pensare, mentre il suo corpo continuava ad oscillare.
"Ah, ci sono! Forse.. Vorresti ucciderlo?"
Gli occhi di Goshiki si spalancarono a quella domanda, che sapeva più di affermazione, e sentì i suoi muscoli irrigidirsi all'istante.
"No! Assolutamente! Non farei mai-"
"Tendō!"
Un urlo riecheggiò nell'intera stanza, facendo gelare il sangue nelle vene a tutti i presenti, meno che al rosso.
Tsutomu girò il capo, insieme all'Ufficiale, solo per trovarsi davanti la figura del secondo Tenente Colonnello, Semi Eita, guardare entrambi con aria truce.
I suoi capelli biondi, e dalle sfumature nere, erano per la maggior parte della testa coperti da un cappello militare, mentre le mani, che insieme alle braccia erano incrociate al petto, erano coperte da un paio di guanti neri.
Tendō non sembrò affatto spaventato dal suo compagno, tanto che gli sorrise sornione, e lo salutò con un movimento della mano.
"Oh oh~ Semisemi! Cosa ci fai qui?"
Semi alzò un sopracciglio prima di sospirare.
"Ti avevo detto di restare in ufficio ad occuparti di quelle carte mentre io andavo a prendere le nuove infermiere, ricordi?"
"Oh? Pensavo di dover informare il novellino di quello che Ushijima-kun ci aveva detto."
Il sopracciglio di Semi iniziò a tremolare al continuo tono innocente del rosso.
"Tu volevi solo vedere se c'erano delle ragazze carine."
"Non essere sciocco Semisemi. Sai che io preferisco le donne del cabaret!"
Il biondo sospirò nuovamente prima di posare lo sguardo su Goshiki, che era rimasto ad osservare la scena ammutolito.
"Penserò io a lui. Tu, Tendō, pensa a far entrare le nuove infermiere."
Il sorrisetto sulle labbra di Satori si estese, e, non facendoselo ripetere due volte, si avviò verso le porte della stanza con passo leggiadro.
"Allora, tu sei Tsutomu Goshiki, giusto?"
Il corvino venne riportato alla realtà dalla profonda voce del Tenente, mettendosi subito, o almeno ci provò, dritto sul posto.
"Si signore!"
Semi annuì, gli occhi chiusi, e rimase in silenzio per un po', prima di ricominciare a parlare.
Ma Goshiki non lo sentì.
In quel silenzio, il suo sguardo aveva vagato dietro alla figura dell'uomo, solo per trovarsi davanti la donna più bella che avesse mai visto.
Ai suoi occhi comparve una giovane di una bellezza ammaliante, che, alla sola vista, gli aveva fatto imporporare le gote.
La sua figura dalle dolci forme era racchiusa nell'uniforme da infermiera, che non faceva altro che enfatizzare il suo corpo di donna.
I capelli [c/c] erano racchiusi in uno chignon disordinato, che lasciava che qualche ciocca le scivolasse ogni tanto sul viso, coprendo i suoi occhi [c/o].
Il suo viso angelico aveva dei tratti talmente delicati che sembrava fatto col pennello, dal più grande artista di tutti i tempi.
La luce del sole illuminava il suo intero essere, facendola apparire agli occhi di Goshiki come un'apparizione divina.
E in quel momento, si chiese come potesse un angelo come lei, essere in un posto pieno di morte come quello.
Continuò ad osservare ogni suo movimento, sentendo solo dei suoni ovattati provenienti dall'ambiente circostante.
Guardò come rimboccava le lenzuola di un lettino davanti a lui, come controllava che la flebo fosse inserita bene e che i nutrienti liquidi continuassero a scorrere all'interno del tubo.
Ogni suo movimento era fatto con la minima attenzione, quasi avesse paura di fare qualche danno, ma capitava qualche volta che inciampasse sui suoi stessi passi, guardandosi poi attorno, preoccupata che qualcuno l'avesse vista.
Un piccolo sorriso inconscio solcò le labbra del corvino prima di essere bruscamente riportato alla realtà.
"Tsutomu! Mi stai ascoltando o no?!"
La voce del suo Tenente Colonnello lo fece sobbalzare un poco mentre riportava velocemente lo sguardo al biondo.
"S-si signore!"
Semi sospirò prima di alzare per un secondo gli occhi al cielo, chiedendosi che cosa avesse fatto di male nella sua vita per non venir mai ascoltato.
"Bene, allora non ho più niente da dirti, riprenditi in fretta."
Con un cenno del capo salutò il ragazzo ed uscì spedito dalla stanza ospedaliera, pronto a compilare la pila di scartoffie che il suo collega gli aveva rifilato.
Goshiki tirò un sospiro di sollievo prima di voltare il capo verso il lettino alla sua destra, dove un soldato, più vecchio di lui, lo stava osservando con curiosità e stupore.
"Senti.. Non è che potresti ripetermi quello che mi ha appena detto?"

La sera arrivò presto, e Tsutomu ancora non poteva credere alle sue orecchie, e nemmeno a quelle del soldato disteso alla sua destra.
Il Generale Ushijima lo aveva notato, sul serio!
Non pensava che per farsi notare avrebbe dovuto beccarsi un proiettile nella gamba, ma meglio tardi che mai!
Ancora gli tremavano le mani dall'emozione quando sentì dei passi avvicinarsi al suo lettino, ma non ci fece troppo caso, ancora assorto nei suoi pensieri.
Si passò entrambe le mani sul viso, strofinandolo.
Un sorriso gli solcò le labbra, la felicità incontenibile.
"Vedo che siamo allegri stasera."
Una delicata voce femminile gli giunse all'orecchio, accarezzandolo dolcemente con quel suo tono scherzoso.
Si alzò sui gomiti, trovandosi così davanti alla ragazza che aveva notato quella mattina.
Gli stava sorridendo divertita, con una punta di dolcezza negli splendidi occhi [c/c], che fece andare in brodo di giuggiole il giovane Goshiki.
Le luci dorate del tramonto si riflettevano sul corpo di lei, fasciato alla perfezione dall'uniforme bianca, tipica delle infermiere.
Sentì le guance bruciare e lo stomaco in subbuglio.
Fece per parlare, ma sembrava che le parole si rifiutassero di uscire.
L'infermiera ridacchiò un poco prima di prendere la cartella clinica del corvino, attaccata davanti al letto.
Sfogliò in silenzio i documenti, mantenendo lo sguardo fisso su di essi, mentre quello di Goshiki era concentrato su di lei.
D'un tratto chiuse la cartella, facendolo sobbalzare.
"Sembra tutto in regola, le tue condizioni sono stabili, e in quattro o cinque mesi dovresti riuscire a camminare di nuovo."
Il soldato annuì, ancora assorto nell'immagine di lei.
"Come ti chiami?"
La domanda gli uscì di bocca spontanea, facendo bloccare la ragazza, che poco prima stava controllando la flebo.
Non si spiegava questo strano effetto che gli provocava, non gli era mai successo.
Nonostante avesse già avuto qualche storia nel corso degli anni, nessuna donna gli aveva mai fatto provare quello che stava provando ora.
Voglio conoscerla, questo era l'unico pensiero che gli passava per la mente.
"[T/n]."
Annuì, ripetendosi il nome mentalmente.
"Il tuo?"
Riportò la sua attenzione agli occhi attenti di lei, che non esitarono a far arrossare copiosamente le guance del corvino.
"Tsutomu."
[T/n] gli sorrise.
"Bel nome."
Goshiki si grattò imbarazzato la guancia, diventando ancora più rosso.
"A-anche il tuo è bello.. C-cioè n-non solo il nome, i-intendo che tu sei bella.."
Il soldato si sentì sprofondare dalla vergogna.
Mai si era ritrovato a balbettare davanti a una ragazza, ma sembrava che con lei, tutto fosse possibile.
La [c/c] rise sotto i baffi, cercando di non farsi vedere dal ragazzo, già abbastanza imbarazzato.
"Grazie, per tutti e due i complimenti."
Goshiki evitò il suo sguardo, sperando che lei non potesse vedere la sua vergogna, ma che in realtà tutta la stanza stava vedendo.
Continuò, però, a lanciarle occhiate furtive, controllando così se la sua figura fosse ancora davanti alla sua, fino a quando non notò un movimento.
[T/n] aveva controllato l'orologio da polso, per poi saltare sul posto con una faccia sorpresa.
"Ora devo andare, è tardi. A presto, Tsutomu."
Se ne andò a passi svelti, quasi inciampando in un carrellino pieni di garze e siringhe.
Goshiki si ributtò sul letto, coprendosi con il braccio destro gli occhi, sfinito da una conversazione tanto imbarazzante per lui.
Sentì uno spostamento nel letto alla sua destra prima di udire la voce del suo comilitone.
"Hai fatto colpo, eh?"
"Ti prego, stai zitto."
Si tolse il cuscino da sotto la testa, premendoselo in faccia mentre le risate dei soldati, che avevano assistito alla scena, si propagarono per l'intera stanza.

Dedicata ad alicebistoletti .

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