These smiles you pull out of me
are as real as the breaths I take.-Pierre Jeanty.
Bruciano, non è vero?
Fanno male appena li si tocca, e solo a vederli viene male.
Non ci si può nemmeno infilare i pantaloni o le ginocchiere che un mugolio di dolore esce dalle labbra.
Fanno male.
Molto male.
Quando ce li si fa, non si presta attenzione al dolore.
Sarà l'adrenalina, il cuore che batte a mille oppure la testa che ha staccato la spina.
Bruciano maledettamente tanto, quasi ci avessero versato acido.
Pulsano, si gonfiano ed il ghiaccio non serve a niente.
Colorano la pelle delle sfumature più strane e malate: dal verde passano al blu e poi ad un viola scuro.
Bruciano, fanno male e sono brutti alla vista.
I lividi sono delle brutte bestie, odiati.
Ma, talvolta, anche amati.
Attestano l'impegno, la dedizione e, in certi casi, la sbadataggine.
Chi non si è mai svegliato, un giorno, per trovarsi sulla pelle un bell'ematoma scuro?
I lividi possono significare molte cose, e anche se in pochi ne sono a conoscenza, hanno delle storie.
Come sono stati fatti?
Chi li ha provocati?
Dove?
Perché?
Sono domande stupide? Forse si, chi lo sa.
Ma ogni livido che c'è stato, c'è o ci sarà, ha la propria storia da raccontare.
Per alcuni sono fonte di vergogna, li nascondono come una malattia fino a quando non sono guariti.
Sono segni che mai nessuno vorrebbe far vedere, li tengono sulla loro pelle come un segreto, impedendo ad altri di venir contagiati da quella macchia violacea.
Li odiano, li detestano, ma puntualmente sono sempre lì, a far riemergere i ricordi, il dolore.
Per altri sono come medaglie al valore, inciso sulla pelle come un tatuaggio, a simboleggiare qualcosa che altri forse non potrebbero mai capire.
Li amano e ne vanno fieri.
Simboleggiano tutto ciò per cui lottano, tutto ciò per cui mettono loro stessi in gioco.
Non li nascondono, se ne vantano e non se ne vergognano.
Che siano sulle braccia, sulle gambe o sul torso, non ne hanno paura.
Per quanto facciano male, non li temono, non cedono al loro pulsare doloroso, e continuano a farne di nuovo, quasi come se il loro passaggio sulla pelle mancasse loro.
Ed era proprio così che lei la pensava.
Non aveva mai nascosto i suoi lividi.
Non erano niente per cui preoccuparsi: semplici botte.
Più volte a scuola le avevano chiesto come se li fosse fatti, che cosa fosse successo, con un tono preoccupato nella voce, ma il suo grande sorriso li rassicurava immediatamente.
D'estate soprattutto, senza calze a coprirle i polpacci e le cosce, quei lividi erano ancora più visibili.
Ormai non se ne curava nemmeno più, ci buttava sopra del ghiaccio e la finiva lì, mentre per i corridoi o per strada le occhiate incuriosite permanevano.
E anche nella nuova scuola, trasferitasi da poco, molti l'avevano guardata curiosi.
I suoi genitori le avevano chiesto di non mostrarli così tanto, non si sa mai cosa potrebbe pensare la gente, ma lei, puntualmente, non aveva dato loro retta.
Perché nascondere le sue medaglie?
Ma tra quelle nuove occhiatine che sentiva sulla sua pelle ogni giorno da tre mesi a quella parte, ne sentiva una che le bruciava la pelle.
Non aveva la benché minima idea di chi fosse lo sconosciuto che la guardava con così tanta insistenza.
Il suo sguardo bruciava più delle botte, più del fuoco.
Lo sentiva sulle sue gambe, sulle sue braccia, sulla sua schiena e sul suo viso.
E la cosa inquietante era che finivano solo una volta uscita da scuola e durante le attività del club.
Ma i brividi di inquietudine erano ben più deboli della curiosità che aveva iniziato a nutrire.
Ma nonostante continuasse a guardarsi attorno durante l'orario scolastico, nessuno sembrava guardarla.
Che fosse perseguitata da degli spettri?
Non ne escludeva la possibilità, dopotutto non entrava in un Tempio da.. da... Oh, chi se ne frega.
La sua vita aveva continuato a proseguire monotona e tranquilla, sempre con quelle occhiate a bruciarle la pelle.
Era entrata nel club di pallavolo il primo giorno, si era iscritta al club come prima cosa, ancora prima di entrare in classe, facendo di conseguenza tardi.
Era un libero fiero, si massacrava il corpo pur di salvare la palla.
Era il suo unico compito dopotutto, se non faceva bene quello, allora cosa?
Si dedicava al suo ruolo cuore ed anima, e le sue compagne di squadra non avevano potuto far altro che affezionarsi a lei dopo pochi giorni.
Sempre così sorridente ed incoraggiante, come si faceva a non volerle bene?
I voti non erano mai stati così eccezionali, con la pallavolo tutto il suo tempo andava a farsi un bel bagno nello scarico del gabinetto, ma poco le importava.
Se andava a scuola era solo per finire in fretta i suoi doveri e tornare a tutto ciò che le importava.
Solo il rumore delle scarpe sul pavimento lucido della palestra, l'odore acre del sudore, il dolore della palla che si schianta contro gli avambracci ed il suono delle loro urla d'eccitazione la mandavano su di giri.
Sospirò.
Non vedeva l'ora di infilarsi le ginocchiere nere ed entrare in campo.
"[T/n]? Mi stai ascoltando?"
Il sole primaverile filtrava leggero dalle tende bianche, smosse da una brezza che sapeva di fiori di ciliegio.
La pausa pranzo era rumorosa e i corridoi erano pieni di studenti, il loro scalpiccio ed i loro borbottii risuonavano per le mura del Karasuno.
Seduta al suo banco, con la schiena appoggiata allo schienale della scomoda sedia di legno, [T/n] guardava fuori, rivolgendo i suoi occhi ai rami in fiore dei ciliegi, che con quel fresco venticello venivano smossi.
La delicata luce le illuminava il bel viso rilassato, rendendo i suoi occhi [c/o] più luminosi ed intriganti con le loro lunghe ciglia.
I [l/c] capelli [c/c] erano smossi dallo stesso vento che muoveva le tende bianche, mentre anche la sua camicetta bianca risentiva degli effetti del clima fresco, lasciando di tanto in tanto la sua clavicola visibile.
Le labbra erano schiuse e leggermente incurvate, mentre gli occhi luccicavano di scintille rosate.
La luce le illuminava le braccia scoperte, lasciate distese sul banco, mettendo così in risalto il nuovo livido che quella notte le era spuntato: era ancora chiaro, ma non mancava il dolore.
Le gambe, a loro volta, ne erano ricoperte.
Alcuni appena nati, altri in procinto di scomparire, ma sempre lì a dominare sulla sua delicata e giovane pelle, coperta solo dalla gonna nera.
Nella sua testa solo il rumore della palla contro il pavimento, il resto era rimasto attutito, almeno fino a quando una voce vicina non l'aveva risvegliata.
Si voltò, sbattendo velocemente le palpebre assonnate, trovandosi davanti la vista della sua amica e compagna di classe Echiko, che la guardava con un sopracciglio alzato.
I lunghi capelli neri le scendevano lungo le spalle, arrivando fino a metà schiena, mentre la frangetta quasi le copriva le sopracciglia.
La pelle pallida risplendeva alla luce del sole, priva di imperfezioni al contrario della sua, e le labbra rosate le sorridevano divertite.
Gli occhi scuri la guardavano incuriositi, ma ormai abituati all'amica con la testa fra le nuvole.. e per il campo di pallavolo.
Si appoggiò il palmo della mano sulla guancia sinistra, continuando ad osservare la [c/c] in attesa di una risposta.
[T/n] le sorrise guardandola.
Certe volte la invidiava.
Ai suoi occhi era così bella, senza pelle rovinata o capelli fuori ordine, senza sudore sul viso e sempre composta, regale come una regina.
Non c'era da stupirsi del fatto che fosse una delle ragazze più desiderate del secondo anno.
Era stata la sua prima amica, e nonostante le loro diversità, si erano trovate.
Dopotutto Echiko non era la ragazza che tutti pensavano.
[T/n] si portò le mani in grembo, ridacchiando imbarazzata.
"Ah, eh.. No. Potresti ripetere? Giuro, questa volta ti ascolto."
Echiko scosse la testa, ridendo dolcemente mentre i suoi lunghi capelli neri le ricadevano di lato.
Qualche ragazzo si voltò.
"Non cambierai mai, eh?"
La [c/c] abbassò gli occhi verso il banco, imbarazzata.
Nessuno si voltava verso di lei quando rideva.
"Già.. molto probabile."
Rise, mettendo a tacere lo stomaco dolente.
Echiko continuava a guardarla senza sosta, quasi la stesse analizzando, ma c'erano molte cose che lei non sapeva sul suo conto.
Non sarebbe mai stata in grado di leggerla.
Nessuno ci era mai riuscito.
Era, purtroppo, troppo brava.
La corvina le si avvicinò, facendole segno con la mano si avvicinarsi a sua volta, e quasi fece scontrare le sue morbide labbra contro il suo orecchio.
Il suo fiato era caldo e sapeva di menta.
[T/n] si chiese se il suo puzzasse di salmone affumicato.
"Penso che qualcuno sia interessato a te."
[T/n] spalancò gli occhi, sorpresa.
Di sicuro si era sbagliata.
Si allontanò da lei, le sopracciglia corrugate ed la confusione dipinta sul volto.
"Stai.. scherzando?"
Echiko rise mettendole il gomito sulla spalla.
I suoi occhi scuri come l'ebano la guardavano sornioni.
Lei non scherzava mai.
"Non hai notato nulla di strano? Non so.. per esempio la sensazione di essere osservata?"
[T/n] alzò le sopracciglia, guardandola con un pizzico di sfida nei suoi occhi [c/o].
"Questo lo sai perché te l'ho detto io."
"Certo, ma ciò non significa che io non noti le cose."
Le si avvicinò una seconda volta, un sorrisetto ad incurvarle le belle labbra.
"Ti consiglio di lanciare uno sguardo in fondo alla classe. Potresti trovare qualcosa di interessante."
Le fece un occhiolino prima di allontanarsi da lei e lasciarle il necessario spazio.
[T/n] aggrottò le sopracciglia.
Qualcuno interessato a lei?
Le veniva da ridere.
Nessuno lo era mai stato.
E con quei lividi, nessuno lo sarebbe mai stato.
Si voltò, spinta dal sorrisetto dell'amica che, discreta, le faceva segno di girarsi in fretta.
Quasi sbuffando cominciò a guardarsi alle spalle, osservando tutta la classe, ma non c'era nulla di strano.
Ai stava al cellulare, Denbe leggeva uno dei suoi manga, Fumio chiacchierava con Nagisa ma non c'era nulla di particolarmente strano a parte diversi ragazzi delle altri classi che si erano raggruppati al banco di Hideki, lì di fianco.
Continuò a vagare con lo sguardo, annoiata.
Se lo aspettava, ma non è mai bello.
Fece per girarsi di nuovo verso Echiko, pronta a calciarle la sedia con le sue gambette, quando sulla soglia della porta, non intravide qualcuno.
Sulla soglia della porta vide Tanaka Ryūnosuke, un ragazzo del suo stesso anno riconoscibile per l'inconfondibile pelata e gli occhi aguzzi.
Era nel club di pallavolo maschile e qualche volta lo aveva incrociato mentre lasciava con i suoi compagni la palestra, ma quel giorno aveva un comportamento un po'.. sospetto.
Sembrava bisbigliare.
Non stava urlando, non stava sbraitando, e non stava sbavando dietro a Shimizu, una delle ragazze più belle del terzo anno.
No.
Lui stava bisbigliando.
[T/n] si fece più attenta sotto lo sguardo divertito di Echiko.
Bersaglio agganciato!
Tanaka sembrava star borbottando con qualcuno, ma da lì non riusciva a vedere di chi si trattasse.
Si sporse un poco, quasi prendendosi le tende bianche in faccia, ma finalmente vide con chi Tanaka stava parlando.
Il suo cuore perse un colpo, e lo sentì riaccelerare nella cassa toracica.
Tanaka stava scuotendo per le spalle il libero della squadra maschile di pallavolo, Nishinoya Yū.
I capelli corvini già disordinati si stavano sparando ancora più in aria con le scosse di Tanaka ed il vento primaverile, mentre la ciocca bionda al centro della zazzera nera gli si era tristemente afflosciata sulla fronte.
Sembrava quasi in trans, non si ribellava alla stretta dell'amico e non le sembrava poi così allegro.
Nishinoya era un suo compagno di classe, ma non avevano mai parlato molto.
Le pareva un ragazzo simpatico e molto energico, soprattutto fuori dalle ore di lezione, e qualche volta aveva pure provato a parlargli, ma lui era scappato in quattro e quattr'otto.
Non la guardava mai, nonostante lei certe volte gli lanciasse qualche occhiata.
La incuriosiva, e anche se non lo aveva mai ammesso a voce alta, era consapevole di volerlo conoscere.
Sapeva delle sue abilità di libero, e lo ammirava.
Come non poteva?
Era assolutamente fantastico, proteggeva la palla a qualunque costo, pur di sfracellarsi contro le panchine-e non stava scherzando, è successo veramente-, ma sorrideva sempre.
Invidiava la sua allegria perenne e adorava il suo sorriso gioviale e splendido, così grande e luminoso.
Lei non riusciva sempre a sorridere sinceramente, mentre i sorrisi di Yū erano così veri.
Ma quando lo vide, sorrise sinceramente.
Tanaka smise di scuoterlo, lasciando il povero corvino avere un po' di pace.
Borbottò qualcosa prima che Tanaka gli prendesse il viso paffuto tra le mani, dolorosamente a giudicare dalla stretta, e lo voltò nella sua direzione.
Gli occhi castani andarono a puntarsi sulla figura di [T/n] le cui guance esplosero di un rosso intenso.
Risentì lo stesso sguardo di fuoco sulla pelle, più intenso.
Rimasero immobili, anche Tanaka, che sembrava aver appena scatenato un completo disastro.
Yū, dal canto suo, non riusciva a distogliere lo sguardo da [T/n].
Più la guardava, più le sue guance diventavano rosse e le labbra si restringevano.
Gli occhi castani gli erano diventati lucidi, i capelli gli si erano afflosciati e l'uniforme, scossa continuamente, gli si era sbottonata di un poco.
[T/n] non sapeva cosa fare.
Salutarlo?
Sorridergli?
Fargli un cenno con la mano?
Cosa diamine doveva fare?!
Ma prima ancora che avesse l'occasione di fare qualcosa, Yū si liberò dalla presa di Tanaka e corse via con le orecchie in fiamme, Tanaka al suo seguito, disperato.
E lo sguardo di fuoco scomparve.
Ma un dubbio rimase.
Stava guardando lei? Proprio lei?
Dietro di sé aveva Echiko.. era più probabile stesse guardando lei.
Perché dovrebbe guardare lei?
Con tutti quei lividi, in confronto alla corvina, con quelle gambe lunghe e snelle, più bella e pacata, perché dovrebbe essere stata lei l'oggetto del suo rossore?
Sospirò, le guance ancora calde, e si voltò verso Echiko.
Ma non era lì.
Al suo posto, un bigliettino.
![](https://img.wattpad.com/cover/127762311-288-k439395.jpg)
STAI LEGGENDO
Haikyuu!! One Shots x Reader ||ITA||
Fanfic"Lieto fine. Tutti ne meritano uno, per quanto il loro animo possa essere corrotto. Ma, prima, c'è un'intera vita da vivere, e voi ne sarete una parte fondamentale, per ognuno di loro. Vi prego però di prestare attenzione. Non tutti, per quanto il l...