|Save me| |Kōtarō Bokuto|

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AVVERTENZA! In questa one-shot sono presenti scene violente con presenza di sangue e linguaggio scurrile!

심장소릴 들어봐
제멋대로 부르잖아
까만 어둠 속에서
너는 이렇게 빛나니까

손을 내밀어줘
save me save me
I need your love before
I fall, fall
손을 내밀어줘 save me save me
I need your love before I fall, fall

Listen to my heartbeat
It calls you whenever it wants to
Because within this pitch black darkness
You are shining so brightly

Give me your hand
Save me save me
I need your love before
I fall, fall
Give me your hand save me save me
I need your love before I fall, fall

-BTS.



Il buio ed il fumo dei sigari aleggiavano per il cupo scantinato, come una lieve nebbia, mentre la tensione si attaccava ai muri e penetrava nelle ossa dei presenti.
L'atmosfera apparentemente tranquilla era spezzata dalle vibrazioni provenienti dal soffitto, che era poi il pavimento di un pub, somiglianti a passi pesanti.
L'acro odore dell'alcol impregnava i vestiti e si infilava nelle pareti e nel pavimento di legno, riempiendoli.
Per il piccolo scantinato, illuminato solo da qualche lampada a led sul soffitto, diversi uomini sembravano alle prese con i loro pensieri, nessuno di loro pareva infatti intenzionato a fare qualcosa di veramente costruttivo.
Tutti vestiti con camice bianche, cravatte eleganti, giacche di completi e pantaloni stretti e scuri e scarpe lucide, gli uomini avevano i nervi tesi, i muscoli contratti ed il cervello invaso da un turbinio di pensieri e preoccupazioni, oltre che dalla nebbia del fumo e dall'odore dell'alcol.
Alcuni erano seduti su sgabelli o sui posti rimasti delle poltrone di pelle nera, altri rimanevano in piedi, attaccati al muro, impegnati a muovere nervosamente i piedi o a maneggiare distrattamente i loro anelli di bigiotteria.
Ma a parte la postura, il vestiario o l'aspetto fisico, ognuno di loro aveva in viso lo stesso sguardo invaso dalla preoccupazione.
Ma uno tra loro, sembrava profondamente in pena.
Seduto proprio davanti alla porta d'entrata, scura e blindata, su di un misero sgabello, l'uomo teneva congiunte le mani, ben strette l'una all'altra, mentre le vene pulsavano in evidenza sui dorsi.
Aveva la testa china, i capelli argentati erano così illuminati dalla lampada a led che metteva in risalto le sue ribelli ciocche corvine che, come pazze, schizzavano per aria in ogni direzione.
Il collo era teso e le possenti spalle bloccate dal nervosismo.
La mascella ben definita era contratta e stava cercando di non digrignare i denti dopo essersi morsicato il labbro inferiore per troppo tempo.
La schiena era immobile, inclinata in avanti, così come le gambe erano pronte a farlo alzare al minimo movimento della porta.
I suoi grandi ed affilati occhi del colore dell'ambra, accesi dai colori chiari delle luci, erano fissi sulla porta blindata, e non riusciva a staccarle lo sguardo di dosso.
Il petto largo e muscoloso si alzava ed abbassava lentamente, tanto da farlo sembrare quasi tranquillo ai suoi compagni, ma il cuore gli batteva all'impazzata.
I rimorsi lo stavano attanagliando e non riusciva a pensare ad altro.
I suoi maestosi occhi dorati erano colmi di timore e preoccupazione, il cuore di ansie che venivano pompate nelle vene insieme alla paura.
L'aveva lasciata andare in quella missione senza di lui, per soddisfare il suo desiderio di vendetta, ma era stata una decisione sconsiderata, corrotta dalle sue dolci labbra e dalle sue promesse, che sperava con tutto il cuore avrebbe mantenuto.
Certo, non era andata da sola, e si fidava degli uomini del suo collaboratore ed ormai migliore amico, ma come poteva stare tranquillo?
Sarebbe dovuto andare anche lui, per proteggerla, per starle accanto, ma no! Lei voleva assolutamente andare da sola, voleva fare tutto lei, senza avere il suo aiuto, perché sennò non sarebbe stato lo stesso, non sarebbe mai stata la sua rivincita.
Non era stupida, e nemmeno debole, ma nel loro lavoro, questa capacità non contano.
Vince la maggioranza, l'artiglieria migliore, la strategia.
E per quanto lei fosse intelligente, i piani degli opponenti erano un mistero per tutti.
La paura lo stava torturando sadicamente e crudelmente, incidendogli il cuore sapientemente, tagliano le vene e aprendolo con una precisione chirurgica.
Delle volte gli mancava il fiato, il fumo diventava troppo nei polmoni e la gola si serrava, l'ansia lo trascinava nelle profondità del mare e quasi non riusciva più a respirare.
Cosa avrebbe fatto se le fosse successo qualcosa?
Se qualcosa non fosse andato per il verso giusto?
Cosa avrebbe mai fatto senza di lei accanto?
Era stato inevitabile per lui pensare che avrebbe potuto non rivederla più non appena aveva oltrepassato la porta con un sorriso sulle labbra.
La odiava per essere così testarda, per riuscire a raggirarlo così facilmente, per non dargli mai retta.
E odiava sé stesso per averla lasciata andare, per sentire le lacrime percorrergli le guance, per immaginarsela lì, al suo fianco, e per amarla così tanto.
Forse, se non si fosse innamorato di lei, ora non starebbe così male, ma per lui era anche impossibile pensarlo.
Era stato inevitabile innamorarsi di lei, e anche se tutto fosse ripartito da zero, lui si sarebbe innamorato di nuovo, ancora e ancora.
Era una certezza impossibile da ignorare, così evidente, così ammaliante, e così dolorosa.
Strinse di più le mani, sentendo il singhiozzo salire in gola, ma lo inghiottì.
Non poteva permettersi di piangere, non davanti ai suoi uomini e a quelli del collaboratore.
Avrebbe perso la loro stima, e sarebbe stata solo la ciliegina sulla torta.
Fece un lungo respiro spezzato dal pianto imminente, ma trattenne le lacrime salate e serrò gli occhi per non farle scendere, vedendo solo lei.
Se Akaashi fosse stato lì, probabilmente gli avrebbe dato una sberla sulla spalla, ma per quanto la sua mancanza lo rattristasse, al contempo stesso lo rincuorava, perché la stava proteggendo al posto suo.
Riaprì gli occhi, puntandoli nuovamente alla porta mentre ripensava al piano, cercando di distrarsi dal pensiero di lei.
Era un lavoro complicato, durante il quale le avventatezze non sarebbero state accettate, per questo lui non era stato ritenuto idoneo ai suoi stessi uomini per svolgere quella missione, ma lei si.
Dovevano rompere i rapporti con la bada delle Serpi del Nord: avevano ritardato per due volte la consegna dei soldi e ferito gravemente uno dei loro.
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Avevano deciso di interrompere i contatti, non che la loro 'amicizia' giovasse loro in ogni caso e, quindi, con una banale scusa, avevano contrattato l'incontro.
L'esito era prevedibile, ma non certo; comunque, qualcuno si sarebbe di sicuro sporcato le mani.
Le Serpi del Nord non erano conosciute per prendere il the e i biscottini con chi troncava i rapporti con loro, anzi.
Erano fin troppo irascibili ed impulsivi, sempre con l'arma carica in mano, e con loro era richiesta la massima attenzione.
Per questo aveva voluto partecipare alla missione con così tanta insistenza, perché sapeva che non sarebbe stato un lavoro pulito, e che probabilmente avrebbe avuto l'occasione di puntare la pistola alla tempia dell'uomo che aveva mandato all'ospedale Sō Inuoka, il suo caro amico.
Ma la vendetta, si sa, rende ciechi.
Abbassò il capo, sperando di poterla riabbracciare presto, di poterla baciare ancora e di sentire il suo battito vivo e limpido, quando la porta si spalancò e le urla si espansero per l'intero scantinato, insieme ad un odore che, ormai, si era piacevolmente abituato a sentire sempre più di rado.
L'odore del sangue fresco.
Si alzò in piedi di scatto, buttando giù lo sgabello dietro di lui, mentre il resto degli uomini si avvicinava di fretta.
Alla vista il cuore gli si congelò e credette di morire.
Akaashi si reggeva a malapena alla spalla di Kuroo, il suo collaboratore, pallido e febbricitante.
Il sudore lo impregnava e gli insudiciava gli abiti, già sporchi di sangue, mentre i capelli neri facevano un enorme contrasto con la sua pelle di un bianco cadaverico, attaccati dal sudore alla fronte.
Il sangue gli sgorgava lento dalla spalla sinistra, vicino alla clavicola, scendendo fino alle gambe, tanto da lasciare una scia mentre Kuroo quasi lo trascinava ed urlava al medico di darsi una mossa.
Dietro di loro Yaku zoppicava aiutato da Kai: il suo polpaccio sanguinava ed era ben visibile lo strappo sui pantaloni, da cui si intravedeva il profondo taglio, probabilmente opera di un pugnale.
Kenma seguiva a ruota, pallido e spaventato, insieme a Konoha che, non appena entrò e lo vide così immobile davanti alla porta, si allarmò.
Le urla di Kuroo riecheggiavano forti dalla stanza designata al dottore quando Konoha si avvicinò di fretta al capo dei Gufi, Kōtarō Bokuto.
Lo prese per le spalle dopo che Kenma aveva sigillato la porta blindata e si era affrettato verso la piccola infermeria, implicitamente indicando che, ormai, tutti erano entrati.
Il cuore di Bokuto si aprì ancora di più ed il bisturi incise più a fondo, sentì le lacrime bruciargli gli occhi.
Dov'era lei?
"Bokuto, dobbiamo andare a vedere come sta Akaashi, dai!"
Guardò gli occhi spaventati di Konoha con i suoi, persi, umidi e lucidi, sul punto di far uscire infinite lacrime.
Aveva capito che non avrebbe voluto essere lui il disgraziato a doverglielo dire, ma a qualcuno sarebbe pur dovuto toccare.
Abbassò lo sguardo e quando lo rialzò sul suo capo, gli occhi ambrati che vide gli fecero maledettamente male, più male di quanto già lui non provasse.
"Dov'è [T/n]?"
Lo chiese con una tale voce spezzata, con un dolore così grande da ridurgli la sicura e possente voce in un sussurro tremolante.
Il cuore gli si spezzò e ringraziò che Bokuto non fosse stato lì per vedere la scena.
Le lacrime iniziarono a scendere sia lungo le guance di Bokuto che lungo quelle di Konoha.
Vedere il suo capo e compagno fidato ridotto in quelle condizioni lo spezzava, ma c'era ancora speranza.
"L'hanno.. l'hanno presa, come garanzia."
Kōtarō spalancò gli occhi. Un'ondata di sollievo o invase.
Non era morta, stava bene, non si danneggia la merce di scambio.
Sapere che non era morta lo rincuorava, ma lei non era comunque lì, Akaashi e Yaku erano feriti, e chissà cos'era capitato.
Si sciugò le lacrime, il cuore ancora in subbuglio e i rimorsi sempre più forti.
Se si fosse opposto più fermamente, se l'avesse confinata nella base e fosse andato lui al posto suo, tutto sarebbe andato diversamente.
Iniziò a maledirsi, ma capì dalle urla di Kuroo che ancora non era il momento di piangersi addosso ed abbandonare tutto.
[T/n] era viva, e lo stava aspettando.
Doveva agire, ma in quel momento, la sua priorità assoluta erano i suoi uomini feriti, in particolar modo Akaashi.
Prese un grande respiro, prendendo controllo di sé stesso come raramente accadeva, e strinse forte le spalle di Konoha, che ancora piangeva.
"Andiamo da Akaashi."
La sua voce era ora più forte, più sicura, comunque ferita e spezzata, ma fu abbastanza per Konoha per riprendersi e riacquistare un minimo di speranza.
Si avviarono frettolosamente verso l'infermeria e, proprio con la forte mano di Bokuto sulla spalla, Akinori capì quanto fosse fortunato ad avere un capo del genere che, nonostante rotto e ferito nel profondo, riusciva a trovare la forza per i suoi compagni e per non dare di matte, come lui e molti altri sicuramente avrebbero fatto.

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