Undici

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Mario

Sono passati tre giorni dalle mie dimissioni.

Qualche acciacco, un livido violaceo ben evidente sul fianco destro e due punti al labbro inferiore.

Niente di grave alla fine, ma questo mi costringe al riposo per almeno una settimana.

Insomma niente lavoro.

Paolo mi aveva tranquillizzato sul fatto che Alex non si fosse più fatto vedere al locale o in giro per Verona.

Era ubriaco quella sera e io non riesco ad avercela con lui più di tanto.

Infondo non è cattivo, ma solo ignorante.

La cosa positiva è che Claudio non ha perso nemmeno un istante per starmi vicino.

Veniva sempre in ospedale, anche se da quando sono uscito non ci siamo ancora visti.

Ed ora sono qui sul divano con il telefono in mano che fisso l'orario.

Sono le 19 e lui dovrebbe arrivare a breve, o almeno così mi ha scritto due ore fa.

Sono giorni che copre i miei turni al locale con Paolo.

Martina è stata licenziata perché "è poco attenta", mi ha comunicato Giulio al telefono ieri.

Un occhiata veloce di nuovo allo schermo del telefono e mi accorgo di quanto il tempo passi lentamente.

Mi annoio, sbuffo e mi giro i pollici mentre fisso il soffitto.

Finalmente sento il citofono rompere la quiete della stanza.
È lui.

Mi alzo lentamente e ci impiego un po' a raggiungere la porta.

Si è vero non è nulla di grave, ma il dolore si sente.

"Cla..?" suona quasi come una speranza più che una domanda.

"Ei aprimi " sorrido come uno scemo per la delicatezza con cui aveva pronunciato quel ei.

Apro la porta e lo sento salire le scale.
Poi lo vedo sbucare e raggiungermi.

"Ei.." mi scompiglia i capelli ed io mi imbarazzo un po' per questo gesto improvviso ed inaspettato, poi mi scanso per farlo entrare.

Lo vedo sfilarsi la giacca e poggiare uno zainetto a terra "come stai ?" mi si avvicina di nuovo, ma io sembro quasi imbambolato.

Non riesco proprio a capacitarmi che sia qui davanti a me, a casa mia dopo anni.

"Bene.." sono in evidente difficoltà  e generalmente, quando succede, inizio a toccarmi il braccio o cerco di nascondermi abbassando lo sguardo.

Ci fermiamo uno di fronte all'altro qualche istante entrambi in attesa reciproca, poi lui mi indica il divano sorridendomi.

Prendiamo posto e il silenzio cala.

Ci lascia il tempo di prendere consapevolezza che il momento è arrivato.

"Mario ho bisogno che tu mi ascolti.." decide lui di infrangerlo con voce seria "ho sbagliato e ti chiedo scusa di nuovo, ma ho bisogno di affrontare questo discorso per chiudere un capitolo ed aprirne uno nuovo.. insieme" diretto come sempre.

Sospira "non so cosa mi sia preso io.. io.." abbassa lo sguardo "avevo paura".

Resto immobile e gli lascio tutto il tempo per riflettere e parlare.

Lo aspetto.
L'ho aspettato per cinque anni.
Lo aspetterei sempre e per sempre.

"Mi sei mancato, ma non ho mai avuto coraggio di fartelo sapere" prende fiato " ti ho pensato sempre, e mi facevo un po' schifo quando la mattina mi guardavo allo specchio, perché sono stato un egoista. So quanto ti ho ferito, ma non ho fatto nulla per rimediare" continua a tenere la testa abbassata, ma io lo so.
Conosco Claudio e so che in questo momento ha il terrore di incontrare il mio sguardo.
So quanto gli faccia male ammettere le sue fragilità ad alta voce.

Randagi Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora