Ti prometto i girasoli

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Mario

Quel rumore sordo, di vuoto sotto ai piedi mi fece ricordare, come un flash improvviso, la mia casa ad Anzio. Ero piccolino, avevo la febbre alta e stavo rannicchiato nel mio letto sotto una montagna di plaid. Mia madre ogni tanto mi veniva a controllare, mi dava un bacio in fronte e mi lasciava una bustina piena di caramelle gommose e barrette Kinder. Era uno di quei momenti in cui ti senti speciale, amato, importante. Da quel letto rivolgevo uno sguardo alla finestra e riuscivo a vedere il mare in lontananza. Era la mia casa, il luogo in cui mi sono sentito protetto a 5 anni, così come a 18, quando la vita iniziava a mettermi davanti i primi ostacoli, quando i miei sogni smisero di fare casino nella mia testa e iniziavano a volersi far spazio nella mia vita e soltanto nascondendo la testa sotto alle coperte riuscivo a sentirmi in una realtà diversa, al sicuro, intoccabile dal mondo contaminato lì fuori. E quel rumore che quella notte risuonò alle mie spalle mi ricordò la presenza di mia madre che puntualmente faceva battere i suoi passi su quella mattonella lì, ai piedi del mio letto, quella che "faceva difetto" a detta di mio padre, era praticamente vuota sotto e il rumore che faceva mia madre calpestandola ogni volta, mi assicurava, nelle notti in cui ero malato, la sua presenza. Veniva a farmi compagnia mettendosi seduta di fianco a me, assicurandosi che stessi bene. Da piccolo mi rassicurava, tra veglia e sonno mi rendevo conto, grazie ad esso, che mia madre era al mio fianco, da grande diventò un rumore fastidioso, di vuoto incolmabile, che evitavo a ogni costo. Ma quella notte ritornò ad essere la melodia più dolce del mondo perché, finalmente, mi resi conto che quel vuoto era stato colmato.

Claudio cadde rumorosamente alle mie spalle e le sue ginocchia sul pavimento in lastre di marmo fece tremare tutto sotto ai miei piedi, o furono le mie gambe a non reggere più il mio corpo appena mi voltai e lo vidi lì per terra. Luca sussultò appena sulla mia spalla, il battito dei nostri cuori coinvolse evidentemente anche il suo.

Gli occhi velati dalle lacrime, i brividi sulla mia pelle, quell'anello lì, quel piccolo oggetto stava a rappresentare tutte le nostre promesse.

Le stelle. "Ci sarò sempre." "Mi manchi." Torno presto." Roma. Verona. Le ore in treno. Le lunghe telefonate di notte. "Scusami ho paura." "Va tutto bene." "Ho paura di dimenticare il tuo profumo." "Me lo prometti?" "Ti piacciono i bambini?" Le risposte mancate. La realtà che ti viene sbattuta in faccia. "Perché non glie l'hai detto?" Le verità nascoste. Quelle scoperte. "Papà!" La terra che manca sotto ai piedi. La paura. "Torno alla mia vita, non impedirmelo." Le parole non dette e quelle invece urlate. I silenzi. Le mancanze. "Il senso di inadeguatezza. Le lacrime nascoste nel cuscino. L'odore di casa, di nuovo. "Avrei voluto che ci fossi stato." "Sarà tutto perfetto." "Resta." "Non lo condivido, ma lo capisco." "Amo i bambini." Il passato che era diventato presente e che in quel momento stava per diventare futuro. Da uno, a due e infine a tre. "Vieni, ti presento papà" e la voglia di urlare al mondo quella felicità. Il desiderio di cambiamenti e la certezza di attuarli tutti: le chiavi sul tavolo a colazione e la voglia di non lasciarci più. Le promesse fatte e la sorpresa nell'averle mantenute tutte. "Sei il mio miracolo." Il Natale e le impronte sul cuore prima che sul muro. E poi la paura di perdere di nuovo, di veder sgretolarsi nelle mani tutto ciò che stavamo tirando su. Il passato che continuava a bussare alla nostra porta e la voglia di non aprirgli. La stronzata dell'appartenenza biologica e la realtà dell'adozione, dell'amore, della paternità. E poi di nuovo la sensazione di inadeguatezza, i silenzi, le distanze. Ma il Destino porta sempre a termine ciò che inizia e perciò di nuovo l'Amore, quello che ha caratterizzato dall'inizio la nostra storia, quella che abbiamo raccontato a voi ma che abbiamo vissuto noi, in prima persona, sulla nostra pelle e nel nostro cuore. L'appartenenza, quella non si verifica con il Dna, ma con la voglia di essere veramente una famiglia e noi la sognavamo con gli occhi stretti a fessura ogni notte, e quel giorno la stavamo finalmente realizzando. Quel rumore familiare e "Mi vuoi sposare?"

Tutto quello che pensavo potesse bastarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora