The School for the Gifted

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Prologo

DOTATA. ERA così che mi avevano definita i miei genitori quando aveva avuto luogo l'incidente. Avevano paura di me, sapevo era così. Non volevano ferirmi, ma non sapevano che l'ero già. So anche di non essere l'unica figlia odiata dai propri genitori, anche i genitori di altri ragazzi dotati hanno paura di loro. Hanno paura di cosa potrebbe succedere. Hanno paura di cosa sarebbero in grado di fare i loro figli se li facessero alterare.

           Venni a conoscenza dei miei poteri quando avevo sette anni, ma non lo rivelai a nessuno. Sapevo cosa mi sarebbe successo se lo avessi fatto, lo avevo visto succedere in tv ogni giorno crescendo. Il Governo catturava le persone con i poteri. Li facevano sparire. Non sapevo cosa succedeva loro, non lo seppi fino a quando non ebbi 12 anni e compresi meglio le cose.

          Avevo 12 anni quando scappai. Avevo fatto qualcosa di terribile, spinta dalla rabbia. Mio padre era a casa da lavoro – un'occasione rara, dato che era un Agente di Viaggi – e stavamo cenando insieme. Mio fratello maggiore stava parlando di cosa aveva fatto a scuola, mentre mio fratello piccolo stava piangendo. Mia madre stava cercando di dar da mangiare al mio fratellino, ma non ci stava riuscendo. Mio padre si stava lamentando di come avrebbe desiderato andarsene.

          Mio fratello maggiore mi faceva arrabbiare. Si stava vantando di quanto avesse fatto bene durante il giorno, ed aveva fatto notare a mio padre il fatto che me ne fossi stata in casa a leggere e non fare niente. A mio padre non piaceva quando me ne stavo a casa da sola, voleva che stessi con i miei amici.

           Mio padre cercava di parlarmi con calma, ma quando discutevamo sul restare in casa lui alzava sempre la voce. Poi successe. L'incidente.

           La luce iniziò a sfarfallare, e la terra tremò. I coltelli levitarono sopra al tavolo puntando verso mio padre. I miei poteri stavano aumentando, e non riuscivo a controllarli. Cercai di fermarli, ma i coltelli accoltellarono mio padre. Finì in ospedale per un mese.

           Durante quel mese mia madre cercò di parlarmi, voleva sapere come l'avessi fatto. Le dissi che le avrei spiegato quando sarebbe tornato mio padre, e lo feci. C'erano anche i miei fratelli quando dissi loro la verità. Il mio fratellino non era abbastanza grande per capire, ma lo era mio fratello maggiore.

            Mi definì, "Mutante".

            Poi scappai.

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