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Al funerale c'erano i parenti in nero, i fiori bianchi, c'era la foto di mia madre, che ancora sorrideva con le guance colorite, e c'era anche la vera lei, stesa sulla fodera bianca della bara, pallida come il marmo con le sue guance violacee infossate nel viso, circondata dai suoi fiori preferiti e dai suoi parenti non preferiti. Non era mai stata troppo legata alla famiglia, per via del lavoro.

Io rimanevo impassibile, seduto in un angolino infondo alla chiesa, sotto una volta a crociera con i costoloni mezzi distrutti, corrosi dal tempo.
Tanta gente si avvicinava due alla volta al cadavere ben vestito di mia madre, che con occhi chiusi sembrava una statua impressa in pietra, sussurravano qualcosa e tornavano ai loro posti. Io rimanevo nella mia seggiola in legno, lontano dalla gente, deciso a non provare nemmeno ad alzarmi, e cercavo di convincermi che mia madre non voleva sentire dire niente di sussurrato dalle mie labbra e, comunque, avevo avuto la possibilità di dirle tante cose in vita, che lei non volle ascoltare, quindi voleva dire che adesso si sarebbe dovuta rassegnare in paradiso, non avrebbe sentito niente da morta, quando non poteva interrompermi come sua cattive abitudine. I sensi di colpa però erano tenaglie che cercavano di svitare il finto odio che covavo per quella donna, in modo che potessi mostrare almeno un po' d'affetto avvicinandomi, come tutti, e a mostrare il mio cordoglio al cadavere.

Rimasi comunque seduto finché la messa non fu finita e finalmente non riuscì a uscire dalla chiesa, a infilarmi una sigaretta tra le labbra e perdermi a fissare la neve che piano piano creava un manto ghiacciato. Nevicava da poco, da poco prima che il funerale iniziasse, ma già il suolo si era colorato di morbido bianco.

Prima che potessi accorgermi che il freddo mi stava congelando le dita dei piedi, la figura incravattata e pettinata di mio padre mi affiancò, posò lo sguardo sulla mia sigaretta e da un verso secco dimostrò la sua disapprovazione per il fumo, ma io lo ignorai e ispirai a pieni polmoni la nicotina, consumando più velocemente la sigaretta, che (molto probabilmente) era stata anche la causa della morte di mia madre.

Fumare una sigaretta al funerale di una donna morta di cancro era una mancanza di rispetto incredibile, ma ero sicuro che a mia madre non sarebbe importato, non le era mai importato niente di quello che facessi.

Mio padre mi guardò in faccia, io continuavo a fissare la neve che cadeva, e alcuni alberi nella distanza che piegavano i rami alla pesantezza di alcune collinette di neve che stavano diventando troppo pesanti da reggere.

-Potresti anche fingere di essere dispiaciuto- fece mio padre, dopo un paio di secondi passati a cercare di capire dove stessi guardando -So che non sei la definizione del "cocco di mamma" però...- sospirò e non seppe più come continuare la frase. Mia madre era morta da due settimane ormai, dopo un sacco di tempo a soffrire per la sua malattia, e se all'inizio mi ero concesso qualche piagnisteo adesso non sentivo il bisogno di sciogliermi in lacrime, specialmente di fronte a mio padre, che sin da piccolo mi aveva imposto il decreto "niente lacrime se sei un uomo".

Alla fine mio padre, vedendo che cercavo incessantemente di ignorare completamente la sua presenza, sospirò rassegnato e mi passò una busta -Era nel testamento di tua madre, c'era scritto di consegnartela senza aprirla. Non so cosa ci sia dentro ma... se non vuoi leggerla posso capirlo-

Fissai la busta di carta ingiallita nella mano rugosa e rovinata di mio padre, e una sensazione di rimorso costrinse le mie mani ad afferrarla tremanti. Di cosa avevo rimpianto? Era mia madre quella che si doveva sentire in colpa, no? Perché mi sentivo così male?

L'inchiostro sbiadito formava la scritta "Per Jungkookie" e risi amaramente per quel nomignolo stupido.

Mio padre decise di lasciarmi da solo, rientrò in chiesa passando sotto un arco, anch'esso, insieme alle colonne, era quasi del tutto distrutto. Mio padre si sfregò le mani e mi concesse un'ultima occhiata, fingendo dispiacere.

Io avevo il fumo caldo della mia amata sigaretta a riscaldarmi le guance, ma le mie mani stavano ghiacciando mentre teneva i stretta la lettera. In chiesa non volli rientrare, perciò rimasi in piedi in mezzo alla neve mentre la bara di mia madre veniva trascinata via da degli uomini forzuti e posata con difficoltà in una limousine funebre, pronta per essere sotterrata e piano piano dimenticata.

Guardai il corteo allontanarsi dalla chiesa, ma decisi di restarmene impalato sull'entrata, con la lettera ancora stretta in mano, a fissare mentre sparivano sulla collinetta d'erba, la stessa su cui ero solito fare picnic insieme ai miei zii. Il cimitero non mi era mai piaciuto, e l'idea di andarci per la sepoltura di mia madre me lo faceva piacere ancora meno.

Aprì la lettera e dentro vi trovai tre fogli. Uno, con mia sorpresa, scoprì essere il manoscritto della favola di Mercurio e Nettuno, mentre su l'altro riconobbi la calligrafia ordinata e minuziosa di mia madre.

"Jungkook, se non ti dispiace, fammi questo favore, porta la lettera con dentro la favola a questo indirizzo"

L'ultimo, quello che sembrava il foglietto più rovinato fra i tre, era stato ripiegato un sacco di volte su se stesso e sembrava aver finito con l'essere ri-aperto e richiuso talmente tante di quelle volte che ormai la carta si era assottigliata in ciò che sembrava un velo sporco e rugoso. Quest'ultimo citava:

"Per Min Yoongi"

E poi continuava in un angolino.

"SOLO per Min Yoongi, vedete di non leggere se non vi chiamate a quel modo"

Neptune; Mercury - Y о о п K о о KDove le storie prendono vita. Scoprilo ora