Prologo

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Qualche volta colgo me stessa a desiderare che tu fossi qualcun altro, amore mio, così che fosse più semplice amarti. Ma poi ricordo che nessun essere umano potrebbe pretendere di essere te. Quindi ti amo in silenzio, scrivendoti lettere che non leggerai mai se non nei miei occhi.
Se mai li rivedrai. Il mio petto duole sapendoti sofferente, e darei la mia vita per salvarti. Ma non il regno di mio padre.
Non mi credo ancora una Rinie, ma sto combattendo per convincermene. Così come cerco di persuadere me stessa che questa guerra, che ci ha divisi e di cui ogni uomo e donna porta il peso nel cuore, sia necessaria: ma è tutt'altro che semplice riuscire nell'intento.
Quando mi sveglio al mattino mi mancano i tuoi occhi grigi che scrutano, attenti, la mia anima e le tue mani che l'accarezzano. Mi manca la tua voce quando le urla degli altri mi otturano le orecchie e piango il tuo amore perché so che un giorno finirà. Una volta ti ho diviso dalla donna che eri supposto sposare, e non c'è giorno che non me ne penta. Soffrirei di più sapendoti con un'altra, ma almeno condivideremmo la stessa terra ed i dolci ricordi di noi due.
Troveremo la pace solo nella morte, perché questa guerra non avrà fine fin quando uno di noi non chiuderà gli occhi. Quanto difficile mi risulta guardare le mie mani e vederle coperte di sangue, ed averti lontano senza poterti essere d'aiuto. Adesso che di te mi è rimasto solo il pensiero, torno a casa con le ossa rotte ed i sensi sporchi di colpe. Il dolore esplode nelle mie orecchie: ogni volta che appoggio il capo al cuscino sperando di sentire un remoto suono della tua voce mi vesto dei panni di un bambino che, affiancandosi ad una conchiglia, non ode altro che il mare: perché è quello che vuol sentire.

Annabel

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