Sapevo che quel messaggio sarebbe arrivato. Se non fosse arrivato, l'avrei scritto io. Perchè era vero. Dovevamo parlare.
Non era una questione di logica o dovere. Era una questione di fatto. Lo sapevamo entrambe che prima o poi avremmo dovuto affrontare quel discorso, forse era anche troppo tardi per farlo. Era passato un anno, anzi più di un anno. Ed era arrivato il momento di parlare davvero. Faccia a faccia -in quel caso, schermo a schermo, ma dettagli.
Giada ed io eravamo sempre state amiche per la pelle. Non ci eravamo mai divise mai fin da piccole. Tutto ciò che dovevamo fare, lo facevamo insieme. Durante i compiti in classe o interrogazioni ci suggerivamo sempre. Mi ricordo ancora che sgridate ci beccavamo da parte dei professori; tutte quelle volte in cui eravamo state mandate dal preside; e tutte quelle figuracce che facevamo in classe e fuori dalla classe. Ci difendevamo sempre l'un l'altra.
Se a una stava antipatica una persona, anche all'altra stava antipatica. Se a una piaceva un ragazzo, l'altra faceva sempre in modo per attirare l'attenzione di lui su di lei. Soprattutto in modo imbarazzante, d'altronde era quello lo scopo principale.
Ci aiutavamo sempre e c'eravamo sempre l'una per l'altra. Eravamo sempre state molto legate. Più il tempo passava, più diventavamo grandi e unite. Ci eravamo promesse di esserci sempre l'una per l'altra, qualunque cosa fosse accaduta. Avevamo il compito di mantenere quella promessa, non ci potevamo deludere a vicenda.
Nonostante il trasferimento, continuavamo a sentirci, a ridere insieme e a chiacchierare come ai vecchi tempi. Però, sapevamo entrambe che non era così, che non sarebbe stato mai come ai vecchi tempi, quando abitavamo nella stessa città. Quando a dividerci c'erano tre chilometri scarsi e una mezz'oretta di camminata. Lo sapevamo, ma facevamo di tutto ad ignorare ciò. Facevamo di tutto perché fosse stato come ai vecchi tempi. Ma era difficile.
E fu così che arrivammo a quel punto. A quel momento, in cui ero seduta di nuovo sul mio letto con il computer acceso davanti a me, ad aspettare.
Non sapevo cosa sarebbe successo dopo quella video-chiamata. Forse le cose tra di noi si sarebbero risolte. Forse sarebbero rimaste tali. Forse si sarebbero complicate. Forse sarebbe finita e non avremmo potuto mantenere la nostra promessa. Non lo sapevo e avevo paura di saperlo. Ma, allo stesso tempo, non vedevo l'ora che tutto ciò sarebbe finito.
Forse nessuna delle due avrebbe avuto il coraggio di chiamare l'altra e non ci sarebbe stata nessuna video-chiamata, tutto sarebbe rimasto così come era e avremmo rimandato tutto a un'altra volta. Ma chissà se quell'altra volta avremmo davvero parlato o sarebbe finita come la volta precedente. Io non lo sapevo. Era questo il problema, io non lo sapevo e avevo paura di fare la cosa sbagliata. Avevo paura che, poi, successivamente quella cosa sbagliata si sarebbe messa contro di me. Ed io non avrei più saputo come agire e avrei fatto lo stesso errore per la seconda volta.
Era questo il problema. Non sapere come sarebbe andata a finire. Uno dei tanti problemi.
Non sapevo neanche cosa stavo aspettando, precisamente. Probabilmente che fosse lei a chiamarmi, a fare il primo passo. Anche se dentro di me sapevo che anche lei stava aspettando la stessa cosa.
Già, la vedevo seduta sul suo letto a mangiarsi le unghie per il nervosismo; a fissare insistentemente lo schermo del computer, con in sottofondo la voce di Luca che diceva: <<Te l'ho già detto mille volte che fissandolo non lo accendi>>, e, intanto, lei si accorgeva di avere davanti a sé ancora uno schermo spento. La riuscivo a vedere con i capelli raccolti in una crocchia distrutta e con addosso il suo pigiama ad unicorno, diceva sempre che le portava fortuna. Si, me la immaginavo proprio così.
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PROBLEM
Romancesᴀᴍᴀɴᴛʜᴀ ᴇ ᴛʜᴏᴍᴀs ɴᴏɴ ʜᴀɴɴᴏ ɴɪᴇɴᴛᴇ ɪɴ ᴄᴏᴍᴜɴᴇ. sᴀʀᴀ' ᴏᴅɪᴏ ᴀ ᴘʀɪᴍᴀ ᴠɪsᴛᴀ ᴇ ᴀ ʟᴜɴɢᴀ ᴀɴᴅᴀᴛᴀ, ᴍᴀ ᴄᴏɴ ɪʟ ᴛᴇᴍᴘᴏ ᴄᴀᴘɪʀᴀɴɴᴏ ᴅɪ ᴇssᴇʀᴇ ᴄᴏsɪ ᴅɪᴠᴇʀsɪ ᴅᴀ ᴀᴠᴇʀ ʙɪsᴏɢɴᴏ ʟ'ᴜɴᴏ ᴅᴇʟʟ'ᴀʟᴛʀᴀ. «Ancora. Leggilo come credi.»