18. Mister Ciuffo Andato A Male

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<<Deve essere tutto perfetto>>, disse severa la mia sorellina quella mattina.

Mi guardava con occhi di fuoco, come se da un momento all'altro avesse voluto incenerirmi.

Quella mattina si era alzata determinata che fosse stato tutto perfetto. Dall'inizio alla fine. Dalla nascita alla morte.

Certe volte, si trasformava in satana per quante paranoie e film mentali si facesse in testa.

Quella volta, però, riuscivo ad immedesimarmi di più in lei, a differenza di tutte le altre volte, dove non faceva altro che lamentarsi e arrabbiarsi per cavolate.

Quella volta, infatti, era diverso. Perché quella sera ci sarebbe stata la famosa cena con la famiglia del suo ragazzo Max. Si vedeva dal suo atteggiamento agitato e nervoso, che aveva paura di non piacere ai suoi genitori o che i nostri genitori non li sarebbe piaciuto Max.

Ancora non avevo visto in carne d'ossa questo Max, solo dalle foto che lei mi aveva fatto vedere mentre lo stalkerava nella fase non ci conosciamo ma tu sei mio. Era un ragazzo biondo scuro con gli occhi marroni. Mia sorella, infatti, andava pazza per i ragazzi con gli occhi marroni. Li considerava teneri.

Quella mattina di martedì si era svegliata agitata e già alle sette del mattino la sentivo parlare a voce leggermente troppo alta e vagare per la casa a passi rapidi, che rimbombavano in tutta la casa.

Non mi stupii quando sentii, dalla cucina dove stavo facendo colazione, la voce di Francesco che gridava.

<<Cazzo, Anastasia, stai zitta! Sono le sette del mattino! Dormi e non pigliare pesci!>>.

Dopodiché, sentii la porta chiudersi bruscamente.

Mia madre, in cucina a fare colazione e a cercare di intraprendere una conversazione con me, si infuriò e andò al piano di sopra.

Da una parte, fui felice che Francesco avesse rotto la nostra forzata conversazione. Un tempo parlavamo di più fra di noi e io le raccontavo sempre la mia giornata ridendoci sopra. Dopo il trasferimento, però, il nostro rapporto era cambiato.

Avevo nostalgia di quei tempi a Roma. Era tutto più semplice e diverso. E anche se a Torino avevo molti e mi ci trovavo bene, non avrei smesso di pensare che a Roma le cose sarebbero andate meglio.

<<Francesco Gregori Ravieri! Quante volte devo dirti che in questa casa non si dicono parolacce?>>

La voce squillante di mamma mi distolse dai miei pensieri.

La porta si aprì di nuovo.

<<Ed io quante cazz... cavolo di volte devo dirti di non pronunciare il mio secondo nome?>>, ribattè lui. <<Sono le sette di mattina, Santo Dio!>>, rispose a tono. <<Se mia sorella può urlare e fare tutto questo casino, allora io posso camminare nudo per la casa ballando la macarena, suppongo>>.

Calò il silenzio per alcuni secondi.

Cercai di trattenermi dallo scoppiare a ridere immaginandomi la scena davanti a mio padre che stava bevendo il caffè tranquillo. Appena lui sentì le sue parole, alzò gli occhi lentamente dal suo giornale e li posò su di me perplesso.

<<Tu c-cosa?... In punizione per tutto il weekend>>, rispose arrabbiata lei balbettando.

Sentii sbattere la porta.

Bastava poco per far arrabbiare Francesco. Davvero poco. Aveva poca pazienza. Forse era per questo che era attratto dalle ragazze che si arrabbiavano facilmente.

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