SeStO cApItOlO

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Sara...

Devo ammettere che mia madre alla guida non è poi così male, se non si percepisse subito la sua paura in mezzo al traffico, ma devo dire che se la cava piuttosto bene. Ad ogni modo non sarei mai salita in macchina con lei se non mi avessero convinta ad andare da uno psicologo.

Sbuffo infastidita da questo fatto, ma alla fine non avrei mai potuto rifiutare. L'ultimo dell'anno, quando era scoccata da pochi secondi la mezzanotte, Veronica è venuta da me chiedendomi insistentemente di giocare con lei con le stelle di Natale, ma io non ne avevo affatto voglia. Non so cosa le fosse preso ma si era intestardita che dovessi giocare con lei e con il suo amichetto per forza, e dopo la milionesima volta che me lo ha chiesto, ho sbottato e le ho urlato contro. Inutile dire che si è messa a piangere e io mi sono guadagnata le occhiate stranite e sorprese di tutti i presenti. Ad ogni modo non è solo per questo che mi hanno convinta ad andare dallo psicologo. È da un po' di tempo, secondo loro, che mi comporto in modo strano, secondo la signora Ferguson non sono più io, specialmente da quando è morto papà. Insomma, alla fine sono riuscite a convincermi facendo leva sul mio senso di colpa, dicendo che se ero arrivata a urlare a Veronica andando avanti sarei peggiorata se non avessi fatto niente per risolvere i miei problemi. Non ho capito di quali problemi parlano ma per amor della pace ho deciso di accontentarle.

E adesso siamo qui in questa sala d'attesa moderna e fredda aspettando che il dottor Reeds mi accolga nel suo studio. Io e mia madre non ci siamo rivolte una parola da quando siamo partite, e adesso mi sto annoiando a morte, anche perché mi sembra tutta una fatica inutile.

Finalmente la porta dello studio del dottor Reeds si apre e ne escono un uomo e una donna di circa trent'anni. Ci danno le spalle mentre, tra risatine e ringraziamenti, salutano il dottore con strette di mano. Che faccia anche sedute di coppia? Finalmente i due se ne vanno e il dottor Reeds mi rivolge uno sguardo gentile. "Signorina Hall?"

Come ha fatto a riconoscermi? "Sì, sono io."

"Prego, si accomodi." Mi invita, facendomi posto per passare. Mi alzo in piedi e con me anche mia madre. "No, la mia paziente deve entrare da sola, per cortesia." La avvisa il dottore. Mia madre sembra un attimo perplessa ma si risiede.

"Ti aspetto qui, tesoro." Mi avvisa. Annuisco e oltrepasso la porta dello studio.

Il suddeto studio del dottor Reeds non è affatto come me lo aspettavo. Nella fantasia comune gli spicologi accolgono i propri clienti su di un lettino o una chaise longue. Invece c'è un comodo divano a tre posti con un classico tavolino da soggiorno davanti, spoglio. Non c'è una scrivania ma una bellissima libreria con una marea di volumi in bella vista e molti cassetti. Di fronte al divano c'è però una classica poltrona da ufficio in simil pelle nera.

"Prego, si accomodi." Mi fa cenno verso il divano dove mi siedo composta mentre lui si accomoda sulla poltrona nera. "Allora, miss Hall, da dove vuole cominciare?"

Io lo guardo scettica e faccio spallucce. "Sinceramente non ho niente da dirle. Mia madre e la sua migliore amica mi hanno convinta a venire da lei sicure che io abbia qualche problema, ma a mio parere non è affatto così."

"Questo lasciamo che sia io a dirlo, va bene?" Chiede afferrando una penna e un taccuino da un cassetto alle sue spalle, avvicinandosi con le rotelle della sedia. Nemmeno il dottore è come me lo ero immaginato; non so quanti anni abbia, forse quaranta o quarantacinque, ma è un tipo visibilmente atletico e scattante. Ha dei profondi occhi castani, dolci e rassicuranti, e il gilet e la camicia azzurra che indossa lo rendono molto professionale. "Mi hanno detto che da poco ha subito una grave perdita."

"Si sta riferendo a mio padre?"

"C'è anche un'altra perdita di cui vuole parlarmi?"

Distolgo lo sguardo. "No..."

Il Cuore ha i suoi TempiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora