Fratelli

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Da quella chiacchierata non si scoprì più nulla. Michael aveva chiesto espressamente a Lester di bloccare le ricerche sui due fratelli, i quali ora vivevano indisturbati in quella casetta sperduta accanto alla tangenziale. Ogni tanto Trevor passava di lì e lasciava davanti l'uscio di casa dei regali per Chelsea come intere stecche di sigarette, della biancheria intima o coyote morti... e lei sistemava quelle carcasse in giardino, le guardava decomporsi da lontano. Chester era abbastanza disgustato, non si sapeva se dalla puzza di morto o i bigliettini sconci e imbarazzanti allegati ai regali di Trevor per la sorella, così passava la maggior parte del tempo in città, passeggiando per Lost Santos con la musica pompata nelle orecchie. La polizia sembrava essersi dimenticata dell'esistenza dei due fratelli quindi Chester poteva bazzicare dove voleva, l'importante era non fissare troppo i passanti. Erano circa le due e un quarto quando il fratello minore si ritrovò faccia a faccia con Franklin che portava a spasso un rottweiler alquanto vivace. Entrambi si fermarono e si guardarono negli occhi, in silenzio. L'uomo interruppe per primo la quiete pomeridiana che circondava il quartiere «Ehi...». Chester rispose con un cenno della testa e rivolse lo sguardo da un'altra parte, massaggiandosi la nuca in un gesto che sperava sembrasse disinvolto.

«Che... che ci fai da queste parti?» Franklin sembrava contento di vederlo, quasi sollevato. Significava che non erano nei guai, giusto?

«Passeggiavo» disse l'altro, rifiutandosi di guardarlo. Il cane intanto si era avvicinato e lo stava annusando da capo a piede.

«E sta a cuccia, Chop!» Franklin strattonò il guinzaglio ed il cane guaì sofferente, smettendo di importunare il povero Fairchaild che, a quante pare non era poi tanto dispiaciuto di ricevere attenzioni dal rottweiler. Franklin non voleva sprecare quell'occasione e prima che l'altro potesse svignarsela, aggiunse «Ti va una birra?». Il più giovane, che effettivamente voleva continuare a passeggiare in santa pace, si fece titubante alla proposta dell'altro pensando che fosse sicuramente una scusa per sapere di più sui fatti suoi... ma d'altra parte la birra ghiacciata non si rifiutava mai, così accettò con un cenno affermativo del capo. Inoltre, tra quei quattro individui che aveva avuto l'occasione di conoscere, questo Franklin era quello di cui forse si fidava di più. Forse era la sua aria pacata, il fatto che per primo avesse abbassato le armi o semplicemente perché gli dava l'idea di un fratello maggiore. Sta di fatto che insieme entrarono nel primo locale che faceva lo straordinario in quella giornata afosa e si sedettero faccia a faccia, con una birra ghiacciata tra le mani e un piatto di frattaglie avanzate dalla cucina per il cane di Franklin, gentilmente offerto dalla casa per tenere a bada il vivace cucciolone. Il silenzio regnava soprano tra i due, gli unici suoni percettibili erano il ventilatore sul bancone che ruotava di 180° a cadenza regolare, l'affannare del cane stravaccato sul pavimento del locale e la gomma da masticare della cameriera che ogni tanto faceva scoppiare di prepotenza mentre leggeva una rivista di gossip. Franklin non voleva azzardare a fare domande troppo invasive e Chester non aveva intenzione di aprir bocca su affari che riguardavano solo sé stesso e la sorella.

«Allora... che... che ascoltavi, prima?» il ragazzo di colore si indicò l'orecchio, giusto per far intendere a cosa si riferisse.

Il più giovane alzò lo sguardo dall'oscuro buchino della lattina di birra e lo agganciò agli occhi dell'altro «Musica».

«Sì, lo immaginavo fratello» Franklin quasi si sentì sminuito da quella risposta rude e secca, ma non si perse d'animo «Ma che tipo di musica?».

«Roba che non ti piacerebbe» rispose in fretta Chester.

Il genere di musica che Chester ascoltava non era ben visto da molti, se non nessuno. Erano tracce per il 90% scream, assoli dissonanti di chitarre e pseudo-stupri di batteria, un inferno per alcuni. Franklin alzò un sopracciglio, indeciso tra confusione e curiosità.

«Potrei... sì insomma, potrei ascoltare?» forse era un punto su cui far leva, la musica. Qualunque essa fosse.

Chester scrollò le spalle e con nonchalance tirò fuori dalla tasca il cellulare e le cuffiette. Porse i due auricolari al suo interlocutore che non esitò a sistemarseli nelle orecchie, ed aprì il lettore musicale. Lì dentro c'era di tutto, ogni genere e sottogenere di metal, core e compagnia bella. Il pollice scrollò velocemente la lunga lista nel lettore, fermandosi per cliccare la traccia intitolata "9 to death" di Endless Dismal Moan.

Già da come si presentava la canzone, Franklin fece una faccia confusa e seppur con un po' di timore, posò le dita sugli auricolari per sentire meglio la traccia che stava lentamente cambiando. Era straziante, confusa, inquietante. Cosa cercava mai di comunicare una canzone come questa? E cosa poteva capire uno come Chester di un urlo raccapricciante come quello? Cosa gli piaceva di questa roba?

Chester aveva già riconosciuto quella faccia disorientata. Al ragazzo del ghetto non piaceva quella musica. Quando la musica non piace non significa che fa schifo, ma semplicemente che non la capisci. Che non è tua, che non tocca in te i pulsanti giusti. Per il giovane Fairchild questa era una recondita parte di lui. Nessuno poteva immaginarlo. Chiunque lo avrebbe additato come un pazzo, un tipo che vuole darsi le arie ascoltando roba creepy, un freak. Ma lui se ne fotteva altamente e andava per la sua strada. Però... Franklin non toglieva gli auricolari. Stava ancora ascoltando. Confuso, ma stava ancora lì con lo sguardo fisso sul porta-salse a cercare di capire cosa stesse gridando quella voce.  Chester tirò via un auricolare dalle sue orecchie «Questa roba dura quasi dieci minuti, meglio se ti fermi qua» gli disse arrangiando un sorriso e mettendo in pausa il lettore.

«Come mai ti piace questa roba?» domandò l'altro, liberandosi della seconda cuffietta per restituirle al più giovane. Chester si rimise cellulare e cavo in tasca.

«Eeh... diciamo che mi ci rispecchio» abbozzò bevendo un sorso di birra fredda. Franklin qui alzò un sopracciglio, non riuscendosi a spiegare una frase tanto semplice quanto criptica. Chester aveva solo 19 anni... cosa aveva passato per arrivare a sentirsi vicino a musica dissacrante come la traccia che aveva appena ascoltato?

«Ti fa schifo, n'evvero?» aggiunse il ragazzo alla fine, guardandolo con un sorriso arrendevole che presto si spostò sul cane che stava già leccando il piatto nel quale si era rifocillato. «Fa schifo a tutti. Sempre» disse ancora.

«Beh.. schifo no, fratello. Al massimo non ci ho capito un cazzo» sdrammatizzò così l'uomo di colore, ridendo più per la sua ignoranza in materia che per altro «Non ho mai sentito roba del genere... non è proprio il mio stile. Io vado più per il pop.. rap... trap... robe così». Chester pensò che fosse più che plausibile. Erano a Los Santos, l'aria che si respirava era la stessa che si vedeva nelle cartoline degli abbondanti negozi di souvenir. Sembrava di essere bloccati negli anni ottanta e novanta, ma con gli smartphone e le tv a schermo piatto o curve. A lui non dispiaceva quell'atmosfera, lo portava un po' indietro con gli anni ad essere sinceri. E la stessa cosa valeva per la sorella che - se fosse stato per lei - si sarebbe trasferita a Londra per restarci tutta la vita, dove in alcuni quartieri era possibile restare come sospesi nel tempo. Ma per l'aereo servono passaporti... e con i passaporti ci si fa sgamare in fretta. Chester si perse nei suoi pensieri e Franklin ne approfittò per farsi un sorso di birra, sperando che quell'istante durasse poco... e invece sembrò prolungarsi troppo.

«Yo? Bello?» Franklin chiamò l'attenzione del giovane cercando di incrociare il suo sguardo e fortuna per il tipetto con gli occhiali, ci riuscì. «Non... non hai roba simile ma meno... non so, che fa meno cagar sotto?» domandò Franklin mostrandosi interessato. Pensava che magari, ascoltando qualcosa a lui comprensibile, sarebbe arrivato a capire anche Chester. Un subdolo modo di infiltrarsi nella sua vita e scoprire qualcosina in più su di lui. Il giovane tornò con lo sguardo sull'uomo davanti a sé, serio ma stupito «Sì... ma dubito ti piacerà».

«Per piacermi o no devo prima ascoltarla. Ti pare?» rispose subito l'altro. Chester fece una piccola risata scuotendo la testa, mentre tirava di nuovo fuori dalla tasca il suo cellulare e il paio di cuffie.

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