E alla fine... "mamma"

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«Non è che è schizzata peggio della zia?».

«No T».

«E come facciamo a saperlo?».

«Siamo in un ospedale psichiatrico T, controllano e curano i loro pazienti».

«E sono affidabili queste persone?».

«E io che cazzo ne so???» Michael alzò le braccia al cielo esasperato dalla petulanza di Trevor. Nel mentre, dall'altra parte della porta alle loro spalle si teneva luogo la piccola rimpatriata di famiglia dei Fairchild.

[ • • • ]

Una donna era seduta accanto alla finestra, capelli sciolti e tanto lunghi da coprire tutta la schiena rivestita di bianco. Il castano di quelle fila sottili risplendeva contro la luce del sole trasformandolo in una sfumatura calda e ramata. La figura parve rendersi conto di avere ospiti, ma non si voltò a controllare chi fosse.

«B-Buongiorno» Chelsea salutò per prima. Il suo corpo era diventato lo scudo di Chester che per il timore si era nascosto dietro la sorella. Si poteva dire che non aveva mai visto la madre in tutta la sua vita, visto che le uniche non-considerabili-memorie risalivano a quando aveva meno di un anno. Cherry - questo era il suo nome - si voltò lentamente, analizzando le due figure dietro di lei mano a mano che il suo sguardo guadagnava terreno. Quando metà del busto si era ormai voltato spalancò gli occhi, assalita da un'unica grande domanda che non aveva il coraggio di fare.

«Chi... chi  siete voi due?» la sua voce tremolante comunicava molto più di quanto facessero quelle quattro parole da sole. Chelsea si avvicinò a lei senza trattenere una sola lacrima mentre Chester sentiva poco a poco la sua intoccabilità abbandonarlo. Era sempre stato freddo, calmo, composto, non aveva a cuore altro che la propria vita e l'incolumità della sorella. Invece eccolo lì, a tremare davanti a una donna che a conti fatti non aveva mai visto in vita sua ma che l'aveva generato e che da sempre aveva voluto incontrare, da cui farsi stringere e baciare sulla fronte e sulle guance, da abbracciare e custodire, da chiamare "mamma".

Chelsea accorciò le distanze tra loro mantenendo un fievole sorriso e Cherry si alzò in piedi portando in alto le mani per poter afferrare il volto della ragazza. Con le punta delle dita lo sfiorò e studiò in ogni dettaglio, sentendo gli occhi inumidirsi mano a mano che quelle traccie sfocate ritornavano alla mente. Le guance morbide, le labbra sottili e due occhi grandi come due biglie nascoste dietro a delle lenti appannate e piene di graffi. Non c'era dubbio, era identica a lei da giovane, tranne proprio per quegli occhi verdi come l'erba illuminata dai cristalli di rugiada, gli occhi che appartenevano a suo marito Charles. La donna sorrise ulteriormente lasciando finalmente sgorgare le prime lacrime dai suoi occhi azzurri come gli zaffiri che con una sola occhiata di qualche secondo, fece capire alla figlia di averla riconosciuta. Lentamente si spostarono sul ragazzo dietro Chelsea, alto e impossibile da non notare.

«E tu...» disse trattenendo la gioia che improvvisamente le stava fiorendo nel petto. 

Secondo i medici, quella della donna era semplice bipolarità che col tempo, anche grazie all'isolamento completo, erano riusciti in parte a curare. Ora era solo un po' smemorata, dimenticava spesso le cose più banali ma riconosceva i volti e gli oggetti. Ogni tanto aveva picchi di euforia che riuscivano a controllare con attività sportive o semplici incitamenti a "cacciar tutto fuori" lasciandola libera di urlare, ridere come un'ossessa e saltare sul letto della sua camera come una bambinetta di dieci anni. Non era più pericolosa come un tempo, non era più una minaccia per i suoi figli.

Chester mosse un passo avanti lasciando che la sorella si facesse da parte, senza però riuscire ad alzare lo sguardo dal pavimento in piastrelle. La madre, che rispetto al figlio era poco più alta di Chelsea, non ebbe difficoltà ad incontrare il suo sguardo. Anche lui aveva gli occhi dello stesso colore di quelli del padre, con l'unica differenza che erano più sottili, schivi, nascosti da qualche ciuffo di capelli e un po' di solitudine.

«Chester» bastò quel nome a far alzare lo sguardo al giovane che pur di non versare una lacrima, stava mordendosi il labbro. Provava vergogna, paura, timidezza, felicità... un marasma di emozioni che a stento riusciva a controllare, con pugni stretti e gambe tremanti. Cherry parve capire tutto in un lampo, il suo istinto materno si riaccese e anche se arrugginito e impacciato, riuscì a riacquistare quella confidenza perduta per poter abbracciare suo figlio. Chester sentì il cuore fermarsi per poi riprendere a battere come un tamburo impazzito, di scatto alzò le braccia per poter stringere la madre a sé e finalmente poter sussurrare "mamma".

[ • • • ]

«Michael... ho realizzato una cosa» Trevor mandò giù l'ultimo sorso di caffè con una certa amarezza. Mentre aspettavano i due Fairchild dall'altra parte della porta avrebbe preferito sorseggiare birra e non caffeina annacquata.

«Dimmi tutto T» Mike ormai era agli sgoccioli. Trevor non faceva altro che parlare visto che là dentro non poteva "essere sé stesso", cosa incredibilmente irritante.

«Quella là dentro... un giorno sarà mia suocera» disse l'altro, alzando lo sguardo dal liquido scuro nel bicchiere che aveva in mano verso il vuoto davanti a sé.

«Che rivelazione...» commentò il signor De Santa.

«Secondo te ci andrò d'accordo? Non voglio far sbroccare la mia Chelsy...».

«Ma come siamo mansueti...» una chiara frecciatina.

«NON FARMI INCAZZARE MIKE» ribatté voltandosi verso l'altro, pronto ad agire... ma ne seguì solo un sospiro irritato «Insomma, abbiamo pure qualche rotella fuori posto, io e quella lì! Conterà pure come punto in comune, no?!»

«Può darsi... non sarete agli stessi livelli, ma effettivamente potrebbe contare qualcosa» ammise distrattamente, pensando che quella donna sarebbe effettivamente diventata sua consuocera un giorno... forse. Tutto dipendeva dalla figlia e quel ragazzo tanto innocente quanto bestiale e sua sorella, di cui si poteva dire altrettanto. Forse quel brutto scherzo del destino era in realtà una sorta di profezia... come se a quel mondo non esistesse nessuno di più adatto al trio di Los Santos per tenere a bada i due fratelli più scatenati del continente. Oppure era solo il karma. In cuor suo l'ormai "criminale pensionato" ora padre di famiglia sperava soltanto di non dover più rivedere quei lati oscuri.

Michael, Trevor e Franklin avevano giurato di finirla col crimine organizzato, eppure si erano ritrovati in ballo in una storia dove loro recitavano la parte degli antagonisti senza nemmeno rendersene conto e che, grazie a chissà quale divinità, erano riusciti a scampare. Cosa impediva dunque al fato di far sì che le cose rimanessero tranquille e spensierate come lo erano ora? Forse, in un giorno come tanti, tra pace e amore, sarebbe ritornato il caos tanto scampato e paradossalmente amato dal trio di Los Santos... ma non sarebbero stati soli per allora. La famiglia era ormai allargata e qualsiasi fosse stata l'avversità, l'avrebbero affrontata a testa alta, ognuno grazie alla forza dell'altro.

~ Fine.

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{C.d.A.}
E siamo finalmente giunti alla fine. Questa storia la cominciai MOLTO tempo fa, due anni sostanzialmente. Sì, il bellissimo 2017. Mi presi una fissa assurda XD lo giocai per tutta l'estate e quindi in automatico mi salì la voglia di scriverci su qualcosa ma col tempo iniziai a rendermi conto di che mi venivano in mente solo scenari negativi per questa storia. Così ho lasciato da parte le bozze per concentrarmi l'anno dopo sulla maturità e a mente libera ho pensato all'unico modo per mandare avanti la cosa senza far succedere il classico "pa-ta-track". Sono soddisfatta di come sia venuta fuori perché lascia un finale aperto dove si può sempre fantasticare e immaginare un futuro per i protagonisti (e soprattutto non sono morti lol), o chissà, un seguito... e niente, arrivederci e buona giornata XD


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