Serata al Yellow Jack Inn

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Giunsero a destinazione mentre la luna iniziava a spuntare tra le montagne. La casa era diroccata esternamente, ma all'interno c'erano ancora alcuni mobili come divani, scaffali e letti, ed in più le tubature erano ancora funzionati quindi potevano disporre di tutta l'acqua corrente che volevano. Era una casa piccola, arredata ancora in stile anni cinquanta ma in qualche modo manteneva la sua accoglienza. Fortunatamente non c'erano spifferi o perdite, da come avevano potuto constatare nel mese di maggio, durante un temporale. Reggeva bene e decisero di restarci. Con quei soldi rubati l'avrebbero arredata: non mobilia costosa, magari qualche vecchio tavolino ai mercatini dell'usato o un frigorifero piccolo e fuori produzione, perché proprio non ne valeva la pena di acquistare qualcosa di valore per soli due mesi. La notte era ancora giovane, così i due fratelli uscirono e si diressero verso est. Da quelle parti c'erano negozietti di periferia, qualche quartiere abitato da contadini, nulla di speciale. Arrivarono alla Yellow Jack Inn.

Lì Chester iniziò con lo spendere i suoi primi cinquanta dollari in sangria e Chelsea si mise tranquilla in un angolo a fumare. La barista, Janet, non aveva mai visto i due giovanotti da quelle parti ed annotò mentalmente la cosa. Serviva da bere al ragazzo e lui beveva disinvolto mentre due uomini si azzuffavano alle sue spalle. Chelsea era poggiata al tavolo da biliardo con una sigaretta tra le dita e guardava il combattimento. Una canzone country era in riproduzione alla radio quando un uomo dall'aria scapestrata, semi-calvo e decisamente poco profumato irruppe nel locale.

«Che cosa vuoi stavolta, Trevor?» domandò la barista con tono irritato. Era decisamente avversa alla presenza di quell'uomo nel suo bar. L'uomo si guardò in giro e non appena vide Chester e Chelsea, due musetti giovani e nuovi, si mise a sedere. «Bere, Janet. Muovi quel culo sodo e portami della birra, prima che castri quei due individui con un cavatappi».

La proprietaria del locale sbuffò ed alzò gli occhi al cielo, voltandosi ugualmente verso il frigo per tirarne fuori una birra ghiacciata. La passò all'uomo dalla maglia sporca e subito dopo, Chester richiese il terzo bicchiere di sangria della serata. Davanti al bancone, intanto, la zuffa era finita ed il vincitore ubriaco cadde al suolo pochi secondi dopo il suo avversario, uscitone con un naso rotto. Chelsea si staccò dal tavolo, superò i due corpi rantolanti e si sedette accanto al fratello, tra "Trevor" e Chester. Trevor bevve in un solo sorso più della metà di quella birra ma i suoi occhi scuri non si staccavano dai due ragazzi. La sorella spostò lo sguardo dalla nuvola di fumo che aveva sbuffato davanti a sé all'uomo accanto a lei.

Silenzio.

«Ehi... ciao, pel di carota» mormorò l'uomo dall'accento canadese, con un inaspettato tono flirtante e gli occhi che la squadravano da capo a piede.

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{Veloce nota d'autore: se troverete parole sottolineate (spesso parole di Trevor) nei prossimi capitoli, significa che vengono pronunciate con la lentezza e l'aggressività tipiche di Mr. Philips.}  

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