1. Primo giorno

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Assonnata è dire poco.
Sto letteralmente dormendo in piedi mentre giro il cucchiaino dentro la mia iper zuccherata tazza di the caldo.
La porto alla bocca e ci soffio su per farla raffreddare più in fretta.
Non voglio arrivare in ritardo al mio primo giorno di lavoro, anche perché il preside, per quello che mi hanno detto, odia i ritardatari.
Ha indetto una riunione tra insegnanti alle otto e cinque minuti, precisi.
Cioè alle otto e cinque!
Chi è quel malato che mette una riunione alle otto e cinque minuti? Ovviamente è il mio datore di lavoro, mi sembra giusto.

«Brooklyn, che cazzo hai?»
Ed ecco il mio snervante coinquilino, ma anche il mio migliore amico, che scende le scale sveglio e pimpante.

«Niente Niall. Sto bene.» dico sorseggiando il mio tè.

«Sembra che ti abbiano ucciso il gatto.» mi prende in giro, passandosi una mano fra i capelli biondi.

«Odio i gatti, e poi, per l'ennesima volta, sto bene.» borbotto, guardandolo storto.

Lo adoro ma a volte è troppo asfissiante con le sue domandine continue e persistenti.

L'ho conosciuto all'università ma avevamo scelto corsi diversi.
Io studiavo letteratura inglese e lui stava facendo l'ultimo anno di giurisprudenza per poi intraprende la carriera poliziesca, e da lì non ci siamo mollati nemmeno per un secondo. È stata la prima persona con cui ho stretto un rapporto forte e la prima persona con la quale sono stata davvero bene.

Direi che nessuno mi conosca meglio di lui. Sa davvero tutto di me, forse troppo.
La cosa fantastica della nostra amicizia è che non ci sono mai andati di mezzo i sentimenti, non ci siamo mai piaciuti o cose del genere.
Tutti pensavano che stavamo insieme, perché a volte non ci comportiamo come normali amici, ma ci vogliamo solo un bene dell'anima che purtroppo viene confuso con altro. Sinceramente non ho mai avuto un'amicizia così bella con nessuno, maschio o femmina che sia, e per l'appunto, parlando di amicizie tra donne, si sono rivelate false, costruite sul nulla dal nulla.
È per questo che sono felice di avere Niall con me. Almeno lui non mi giudica per qualsiasi stronzata faccia ma mi appoggia in alcune situazioni e mi ammonisce in altre.

«A che ora inizia il tuo entusiasmante lavoro con i marmocchi?» dice tirando su col naso.

«Marmocchi? Sono liceali, non bambini della prima elementare, Niall.» lo guardo storto.

«Ah, non me l'avevi detto.» sentenzia lui.

Ha ragione, effettivamente non gli ho parlato molto del lavoro.

«Comunque inizia alle otto e cinque. Si, non fare domande sull'orario.» dico finendo l'ultimo goccio di the.

«Bisogna dire che il tuo capo è strano. Mi ricorda un mio amico, lui lo farebbe sicuro.» fa spallucce ridendo.

«Un tuo amico?» gli chiedo addentando un biscotto.

«Si, non lo conosci. Forse di vista si, ma non vi ho mai presentati. Lo conosco dal liceo, è di Chicago anche lui.»

Io e Niall siamo di Chicago. Abbiamo frequentato l'università lì ma il nostro sogno è stato sempre quello di venire a vivere in Inghilterra.
È un anno che viviamo qui e devo ancora abituarmi ai ritmi più tranquilli di questa cittá. Lì c'era un via vai incredibile di persone ed era molto caotica. Ecco perché amo stare qui, è tutto più calmo e pacato.

«È una sorta di fratello per me.» sentenzia sedendosi sull'isola della cucina.

«E perché non me ne hai mai parlato?»

«Non è uscito mai il discorso e non credevo che per te fosse indispensabile saperlo.» dice arricciando il naso.

«Giusto.» gli rispondo con tono sarcastico mentre mi alzo dalla sedia un tantino infastidita.

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