Preface

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Il silenzio è deprimente. Il suo eco attraversa i nostri corpi nelle situazioni più terribili. Fa tremare le nostre ossa. Il silenzio è il più spaventoso dei suoni poiché rappresenta l’assenza del rumore. È qualcosa che riusciamo a sentire quando siamo da soli, quando nessuno è con noi. Il silenzio è quella cosa contro cui lottiamo con lo scopo di liberarcene. Riempiamo continuamente le nostre vite di insignificante rumore e forse in alcuni casi il silenzio è utile come via di fuga.

Ma vivere nel silenzio è diverso. Passare le giornate senza dire una sola parola è qualcosa che difficilmente si riesce a portare a termine. Pronunciamo costantemente insignificanti parole che nessuno si cura di ascoltare. Ma ci sono anche le persone che decidono di non parlare semplicemente per una scelta di vita: decidono infatti di lasciar cadere le loro opinioni nell’ombra e nessuno avrà mai la possibilità di ascoltarle.

Il mio nome è Genevieve e sono muta.

Sono passati 14 anni da quando parlai per l’ultima volta. 14 anni da quando pronunciai la mia ultima parola. Non riesco più a parlare. Anche se lo volessi con tutta me stessa, non riuscirei ad esprimere le mie opinioni.

Il mio nome è Genevieve e sono muta.

Sono nata normalmente e, come tutti gli altri bambini, feci rumore quando uscii dalla pancia di mia madre piangendo, urlando o semplicemente facendo qualche verso strano. Ero di media statura ed imparai a camminare in poco tempo, imparai anche a dire “mamma” e “papà” come qualsiasi altro bambino.

Poi arrivai a compiere due anni.

Ho raccontato questa storia un sacco di volte. Era un meraviglioso giorno d’estate ed era anche quello successivo al mio secondo compleanno. Stavo giocando in giardino mentre mia madre era sotto il portico che leggeva un libro e ogni tanto mi teneva d’occhio. Bastò soltanto un attimo di distrazione da parte sua a causare l’incidente. L’ultima costa che vidi poco prima di cadere in stato d’incoscienza furono 8 piedi. Quando mia madre mi trovò, la prima cosa che fece fu portarmi in ospedale e poco dopo scoprimmo che era stata danneggiata la parte del mio cervello che controllava la parola.

Non parlai più da quel giorno.

Quando mi ripresi cercai di dire anche solo una parola, ma non riuscii ad emettere nemmeno un suono.

Ciò distrusse la mia famiglia.

Da quel momento dovetti imparare nuovamente a comunicare. Imparai così il linguaggio dei segni, ma sin da subito iniziai ad odiarlo poiché quando lo utilizzavo in pubblico le persone iniziavano a guardarmi.

Mia madre dopo l’incidente diventò iperprotettiva e parecchio paranoica.

Mio padre perse ogni genere di rapporto con lei e la lasciò dopo qualche anno per la sua amante.

Mia sorella maggiore divenne più aspra nei miei confronti poiché ricevevo tutte le attenzioni di nostra madre così a 18 anni compiuti se ne andò di casa.

Questo mio incidente non solo cambiò la mia vita, ma anche quella della mia famiglia.

Da 14 anni non siamo più gli stessi. Pensavo che questo modo di vivere sarebbe rimasto immutato nel tempo.

Passarono gli anni ma, purtroppo, tutto rimase com’era.

Lo stesso modo di comunicare.

La stessa vecchia città.

La stessa vecchia vita.

Poi mia madre decise che era ora di cambiare e così fui costretta a lasciare la scuola e trasferirmi in un’altra città, lasciandomi alle spalle il passato. Ma quello fu soltanto uno dei cambiamenti che dovetti affrontare.

La mia vita cambiò anche quando conobbi un ragazzo che era incompreso come me.

La mia vita cambiò per sempre quando conobbi Harry Styles.

Speechless [H.S.] (Ita) IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora