Capitolo 26

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Il vento penetrò all’interno della mia anima amareggiata prima ancora che mi potessi rendere conto di dove stessi andando. Inconsciamente, mi ero fatta strada all’interno di un posto misterioso e lugubre, un posto dove non volevo tornare. Né ora né mai.

Rallentai il passo e avvolsi le mie braccia attorno al mio corpo. Quella era stata la prima volta da quando avevo lasciato la scuola in cui percepii il freddo punzecchiare il mio corpo. Dando uno sguardo attorno a me, lasciai che i ricordi mi tornassero alla mente.

Il modo in cui le altalene vuote si muovevano grazie alla spinta generata dal vento, il parco giochi senza vita, la caduta delle foglie a terra ed il rumore dei rami degli alberi che danzavano l’uno contro l’altro.

Questo era il parco, il parco in cui avevo sentito parlare per la prima volta di Amelia, il parco in cui avevo finalmente capito chi fosse Harry veramente e perché sembrava essere perennemente circondato da una specie di aura oscura. Con riluttanza mi sedetti sulla stessa panchina rossa dove Harry si era seduto circa un mese fa. Se avessi avuto scelta avrei sicuramente continuato a correre.

Avrei corso fino al confine della città o forse oltre. Avrei corso fino a quando il dolore agonizzante che stava padroneggiando all’interno del mio cuore sarebbe scomparso del tutto. Arei corso fino a quando questo posto si sarebbe del tutto oscurato tra i miei ricordi.

Stringendo un po’ di più la presa sul mio stesso corpo, lasciai che i ricordi riguardanti Harry prendessero il sopravvento. La debolezza e la vulnerabilità presente nel suo tono di voce mentre parlava della sorella erano decisamente i sentimenti meglio espressi ai quali abbia potuto assistere in tutta la mia vita. Percepii una sorta di legame nel momento in cui mi riferì tutto il risentimento che aveva nei suoi stessi confronti per aver perso sua sorella.

“Um scusami tesoro” una dolce voce femminile echeggiò nella mia direzione, allontanandomi dai miei pensieri.

Voltandomi vidi una giovane madre con un passeggino fermo alle sue spalle. Era vestita in abbigliamento invernale dalla testa ai piedi e sua figlia, la quale non sembrava avere più di un anno, era completamente avvolta dalle coperte e dai lenzuoli all’interno del passeggino.

“Stai bene?” chiese con un filo di pietà nella sua voce.

Potevo soltanto immaginare la mia immagine in quel momento. Le lacrime stavano ancora rigando le mie guance, il mio naso era rosso e indossavo soltanto un maglione. Tutto questo mentre mi trovavo seduta nel bel mezzo di un parco invece di trovarmi a scuola come avrei invece dovuto.

Asciugando le lacrime dal mio viso annuii lievemente, cercando così di allontanarla. Sembrava una donna amorevole ma non ci sarebbe stato alcun modo di intraprendere una conversazione con lei.

“Non mi va di lasciarti qui fuori al freddo” disse tirando leggermente il passeggino verso di noi nel momento in cui si sedette accanto a me.

Distolsi lo sguardo da lei, cercando così di non farla parlare. Purtroppo, tutto questo non ebbe alcun genere di risultato.

“Puoi almeno dirmi il tuo nome?” chiese posando una mano sulla mia spalla, “Io sono Caroline”.

Lentamente tornai a voltarmi verso Caroline. Aveva un paio di stupendi occhi azzurri, i quali non aspettavano altro che una mia risposta. Le sue labbra avevano una lieve sfumatura bluastra, probabilmente a causa del freddo. Potei anche intuire che si trattava di una persona emotivamente nervosa, poiché tendeva a nascondere il labbro inferiore tra i denti.

Sollevai le mie mani ancora tremolanti e, lentamente, le mimai una frase, pur sapendo che non avrebbe comunque capito, “Sono muta, tuttavia il mio nome è Genevieve”.

Speechless [H.S.] (Ita) IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora