Capitolo 1

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Il primo giorno di scuola è terrificante, indipendentemente da chi tu sia. Ci sono talmente tante nuove classi e nuove persone da rimanerne quasi sopraffatti. I ragazzi dell’ultimo anno amavano prendersela con chi appariva debole, con insulti che passavano dai gesti alle parole.

Attraversando il corridoio, potevi quasi sentire l’odore del panico delle loro “vittime”. Alcuni ragazzi cercavano di apparire coraggiosi nascondendo paura e imbarazzo dicendo semplicemente loro di fermarsi .

Per me le regole erano però diverse poiché non potevo difendermi a parole. Mi limitai semplicemente ad attraversare il corridoio con atteggiamento indifferente, sperando di non imbattermi nella direzione sbagliata.

Mi sentivo osservata. Sentivo i ragazzi che frequentavano i miei stessi corsi sussurrare ai loro amici che ciò che si diceva su di me era vero. Ero muta. Ero incapace di parlare. Ascoltavo le loro parole man mano che passavo loro accanto. Per qualche strana ragione la gente non capiva che non ero sorda.

Gli insegnanti tuttavia mi trattavano come il resto degli studenti, anche se apparivano in difficoltà ogni volta che tentavano di comunicare con me. Cercavano infatti di evitare quelle domande che non avessero come risposta semplicemente un si o un no. Alcuni di loro se la cavavano meglio di altri, si vedeva infatti che erano in grado di gestire quei ragazzi che avevano bisogno di un po’ più di attenzione. Altri invece non se ne curavano. Del resto, in ogni scuola che vai ci sarà sempre quell’insegnante che si dimenticherà completamente della tua esistenza.

Nella mia vecchia scuola, malgrado le email mandate dall’amministrazione per avvisarli del mio problema, una buona parte dei miei ex professori decise semplicemente di ignorarle.

E quest’anno non accadde diversamente.

Arrivò finalmente l’ultima ora di lezione. Ero a malapena riuscita a sopportare le precedenti sei ore. Nessuna persona, fatta eccezione per l’insegnante, mi aveva rivolto la parola. L’intera scuola era infatti più occupata a mettere in giro insensati pettegolezzi sulla ‘nuova arrivata’.

Non riuscii subito a trovare l’aula dell’ultima lezione, quindi dovetti farmi aiutare da un insegnante. Quando raggiunsi la maniglia della porta, la mia mano cominciò a tremare. Il freddo metallo causò un brivido che percorse la mia schiena.

Scelsi comunque un outfit semplice: un paio di jeans di colore blu scuro e il mio maglione preferito. I miei capelli castani erano raccolti in un’alta coda di cavallo, in modo da tenerli lontano dal mio viso.

Quando aprii la porta sentii un soffio di aria calda venirmi incontro. Tutti gli studenti erano diventati silenziosi e i loro occhi si concentrarono su di me. Feci qualche passo in avanti quando, finalmente, anche il professore si accorse della mia presenza. Era sui quarant’anni, aveva una corporatura robusta ed aveva dei corti capelli bianchi. Portava gli occhiali e la sua bocca formava una stretta linea che rappresentava solo che rabbia.

“Posso aiutarla?” chiese, lanciandomi uno sguardo irritato.

Non sembrava contento del fatto che avessi appena disturbato la sua lezione e dal suo sguardo avrei scommesso che non era uno tra gli insegnanti più socievoli della scuola. Era uno di quei professori che aspettava soltanto la pensione e che odiava il suo lavoro.

Ogni scuola aveva un insegnante così, nella mia vecchia scuola era quella di matematica. Era vicino al pensionamento ma continuava ad essere acida nei nostri confronti. Ci costringeva a lavorare nel silenzio più assoluto e non era affatto disponibile nei confronti degli studenti che presentavano delle difficoltà.

La mia mano tremava mentre porgevo il programma delle lezioni all’insegnante, dimostrandogli che anche io da quel giorno avrei frequentato il suo corso. Chiaramente intuii che lui non doveva essere uno di quei professori che si era curato di leggere la mia email. La sua grossa mano prese velocemente il foglio e brontolò qualcosa tra sé e sé prima di iniziare a leggere.

Speechless [H.S.] (Ita) IN REVISIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora