Capitolo 23

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La mia auto sfrecciava in autostrada diretta a Madrid.
Di tanto in tanto, gettavo un'occhiata alla mia Marisol, appoggiata allo schienale di pelle, che guardava avanti a sé con sguardo assorto.
"Non ti credevo capace di tanto...", dissi improvvisamente, rompendo il silenzio.
"Che intendi?"
"Lo sai che intendo. Quello che hai detto a mia madre..."
"Non dovevo, mi dispiace..."
"No! Sei stata... Meravigliosa.", la tranquillizzai, sorridendo.
Marisol mi guardò, quasi cercando di capire se quelle parole fossero sincere.
"Non so da dove hai preso tutto quel coraggio. Sembravi così spaventata..."
"Lo ero. Ma la paura di perdere te era più forte.", mi disse, guardandomi cambiare marcia e sorridere.
"Pensavi che mi sarei lasciato convincere dai dubbi di mamma?"
"Si, beh, è pur sempre tua madre..."
Frenai dolcemente, ormai a qualche metro dall'arrivo.
"Ho scelto te e non sono mai stato così felice. Niente potrà mai farmi cambiare idea. Nemmeno mia madre.", le dissi prendendole il viso tra le mani e baciandola.
Marisol sorrise e mi accarezzò il viso.
"Ti amo", ci dicemmo all'unisono per poi scoppiare a ridere.

*******
L'auto ripartì poco dopo e si fermò davanti al grande cancello di casa Casillas.
"Tra due giorni giochiamo al Bernabeu. Ti va di venire a vedermi giocare?", mi chiese Iker, mentre mi apriva la porta.
"Non sono mai stata al Bernabeu! Sergio non mi ci porta mai, dice che gli porto sfortuna.", risposi incrociando le braccia al petto, fingendomi imbronciata.
"Lo dice per innervosirti, non lo pensa davvero...", rise Iker, cercando di convincermi.
"E va bene, ci sarò.", gli sorrisi.

Il cellulare squillò sul comodino di legno, ed io risposi immediatamente.
"Vale!"
"Pronto, Mar? Sei tornata a Madrid?"
"Si, nel pomeriggio."
"Come è andato l'incontro con i suoceri?", chiese con tono entusiasta.
"Un disastro. Un completo disastro."
"Cosa? Perché?"
"Sua madre mi odia.", dissi secca.
"Saranno le tue solite paranoie, sicuramente..."
"No, mi odia. Ci ho parlato e non mi sopporta, credimi.", la interruppi.
"Cosa ti ha detto?"
"Una storia lunga. In poche parole mi ha accusata di aver fatto soffrire Iker, in queste settimane.", spiegai.
"Ma lei sa che..."
"Si.", mi affrettai a dire, intuendo la domanda.
"Sa che ho perso un bambino. Ma non le importa. Lei sa solo che suo figlio è stato male. Le giustificazioni non le interessano.", continuai.
Nel pronunciare quelle parole, non potei evitare di sentire una dolorosa fitta allo stomaco.
"Mi dispiace... Ma vedrai che le cose si aggiusteranno.", tentò di rassicurarmi Valentina.
"Iker cosa pensa di questa situazione?", chiese poi.
"Ha preso le mie difese con lei. Ma ho paura. È sua madre, non voglio che se la metta contro per me.."
"Da quello che mi hai detto, l'ha già fatto."
Sospirai.
"Voglio solo che lui sia felice."
"Si vede che lo ami molto.", osservò.
"Più della mia vita.", confermai.
"Piuttosto tu, come vanno i preparativi per il matrimonio?", chiesi poi.
"Oh, alla grande! Domani devi accompagnarmi a comprare il vestito, e poi dobbiamo scegliere il tuo. Perché sarai la damigella d'onore ovviamente. Poi dobbiamo passare a prendere le bomboniere e i segnaposti... E c'è ancora da scegliere il colore delle tovaglie e la disposizione dei parenti in chiesa..."
"Ehi, frena un secondo!", la interruppi.
"Di questo passo finirai per arrivare al tuo matrimonio senza avere nemmeno la forza di pronunciare il 'si'...", aggiunsi ridendo.
"Fa' poco la spiritosa, 'ché quando toccherà a te e a Iker sarò io a divertimi mentre tu impazzisci.", mi schernì.
Per un attimo mi immersi nei suoi pensieri, immaginandomi vestita di bianco all'altare, con Iker al mio fianco.
Guardai il mio ragazzo, che si era appisolato accanto a me.
"Credo che ce ne vorrà di tempo..."
"Tutto può essere...", 'i corresse Valentina.
Sorrisi e mi appoggiai alla testiera del letto.
"Salutami Ser, ci vediamo domani.", la salutai.
"Buonanotte Mar."
Spensi immediatamente il BlackBerry e mi distesi sotto le coperte, guardando Iker coperto dal piumone fin sotto gli occhi.
"Buonanotte, vita mia.", sussurrai con un tono di voce appena udibile.

Il Bernabeu era gremito. Pieno, stracolmo, invaso in ogni suo settore da tifosi venuti da tutta la nazione, per assistere a quella che era la partita più sentita del campionato.
"El clásico". Il Real ospitava l'odiato Barcellona. I nemici di sempre, pronti a lottare per strappare ai blancos il primo posto nella Liga.
Solo un punto separava le due squadre che, più agguerrite che mai, stavano ora facendo il loro ingresso in campo.
Almeno, questo è quello che mi aveva faticosamente spiegato Iker.
Io mi godevo lo spettacolo che i tifosi dei galácticos davano sugli spalti, stretta nel mio caldo giubbotto nero e avvolta nella sciarpa di lana che mi aveva regalato Iker.
"Marisol!", mi sentii chiamare all'improvviso.
Era Noelia, la fidanzata di Marcelo.
"Finalmente abbiamo l'onore di averti tra noi!", mi disse, sinceramente felice di vedermi.
"Iker mi ha chiesto di esserci, e non potevo deluderlo.", le sorrisi.
"Quindi sei tu, la nuova me!", disse una voce alle nostre spalle.
Quando mi voltai, mi trovai davanti una donna bellissima.
Alta, mora, con capelli lunghi e occhi scuri.
"Io sono Sara.", mi disse porgendomi una mano, con freddezza.
"Marisol.", risposi, altrettanto fredda, ma con un tono di voce che lasciava trasparire un certo nervosismo.
"Come mai qui?", mi chiese con aria di sfida.
Non mi lasciai spaventare e decisi di stare al gioco.
"Mi ha invitata il mio ragazzo.", dissi secca.
Sara sembrò stupita dalla calma che stavo dimostrando e cambiò immediatamente espressione.
"Il tuo..."
"Si, il MIO Iker.", sottolineai interrompendola.
"Bene. Divertiti.", replicò Sara.
"Ma non credere che te la darò vinta così facilmente.", aggiunse, voltandosi visibilmente infastidita.
Noelia mi strizzò l'occhio, io le sorrisi e tornai a guardare il campo.
Le formazioni erano schierate e mi accorse che Iker mi stava cercando con lo sguardo.
Alzai una mano in segno di saluto e lui mi allargò un gran sorriso, stringendo i pugni per darsi la carica.
La partita cominciò poco dopo e sembrava non volersi sbloccare.
A pochi minuti dalla fine il punteggio era ancora sullo 0-0.
Il Barcellona si stava rendendo però molto pericoloso, impegnando Iker più di una volta e costringendolo a grandi parate.
Dopo un tiro di Rakitić, però, la difesa del Madrid rinvia lungo, spiazzando i blaugrana, ancora completamente riversati in attacco. Benzema riceve palla e si allarga sulla fascia destra, scarta un avversario e poi crossa in area di rigore, dove Ronaldo non si fa pregare e scaraventa il pallone in rete.
Il Bernabeu esplode in un boato assordante.
1-0 Real e palla al centro.
Mancano solo pochi minuti e la vittoria sarà dei blancos.
Messi e Neymar battono velocemente la palla al centro.
Nemmeno il tempo per il Real di risistemarsi che l'assedio ricomincia. Iniesta controlla in area e libera Suarez, che con un gran controllo costringe Varane ad un fallo da ultimo uomo.
Rigore per il Barça.
Guardai Iker raccogliere da terra l'asciugamano bianca e tamponarsi la fronte sudata, concentrato al massimo.
Messi si avvicina al dischetto, e lui, fissando il pallone, respira ad intervalli regolari.
Per un attimo tutto scompare, esiste solo il rigorista e il pallone.
L'arbitro fischia.
La voce del telecronista dalla cabina di regia, situata poco dietro il posto che occupavo, riecheggiava scura e forte.

"Messi sul pallone, ecco che si concentra. Ora prende la rincorsa, il suo tiro... Parato! Iker Casillas salva il Real Madrid!"

Scattai in piedi, emozionata e orgogliosa, mentre tutto il Bernabeu invocava il nome del suo capitano.
Iker guardò verso di me e battendosi una mano sul cuore mi indicò, sorridendo.
"È per te!", mimò con le labbra.
Il triplice fischio dell'arbitro arrivò dopo pochi secondi e sancì la vittoria del Real.
Corsi negli spogliatoi ad abbracciare Iker.
Era un eroe, il mio uomo. Un eroe per tutta la città. E non potevo essere più fiera di lui.
"Sei stato incredibile!", gli dissi mentre lui mi sollevava da terra, per poi baciarmi dolcemente.
"È merito tuo. Volevo renderti orgogliosa.", mi rispose.
"Lo fai ogni giorno."
I paparazzi si divertivano a scattarci quante più foto potessero, ma a nessuno dei due importava.
Continuavamo a baciarci, come fossimo da soli, sempre più certi dell'amore che ci univa.
Sempre più persi nella consapevolezza di completarci perfettamente.

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