Capitolo 13

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Il campanello suonò, ed io mi affrettai ad aprire la porta.
"Amore! Sei più bella che mai.", mi disse Iker non appena mi vide.
Avevo indossato un vestitino corto azzurro, con degli stivaletti alti neri, e avevo arricciato i capelli, lasciando che i boccoli mi cadessero morbidi sulle spalle.
"Tu lo sei sempre", risposi dolce, abbracciandolo più forte che mai, e cercando di scacciare il pensiero che mi tormentava.
"Tesoro, così non respiro!", mi disse, stretto nel mio abbraccio soffocante.
"Scusami è che... Volevo farti capire quanto ti amo."
"Amore, ma me lo dimostri anche senza cercare di uccidermi", scherzò.
"E ti amo anch'io.", aggiunse baciandomi.
"Andiamo, madamoiselle?", mi disse porgendole il braccio, assumendo l'aria più galante che potesse.
"Andiamo", sorrisi seguendolo fino alla sua auto.
Arrivati al ristorante, la cena proseguì abbastanza tranquilla.
Iker non lasciò mai la mia mano, accarezzandomela di tanto in tanto, finché non raccolsi tutto il mio coraggio e cominciai a parlare di ciò che era stato il mio pensiero fisso per tutto il giorno.
"Amore, devo parlarti...", esordio.
"Ah già, perdonami, l'avevo dimenticato. Cosa devi dirmi...?"
"Ecco io... Il fatto è che...", cerca di spiegare, cominciando ad agitarmi sulla sedia.
Iker mi strinse la mano più forte e mi tranquillizzò.
"Amore, lo sai che a me puoi dire tutto..."
"Si, ecco... Il mio capo...", dissi chiudendo gli occhi.
"Il tuo capo cosa?", chiese Iker cominciando a spaventarsi, vedendo il modo in cui mi stavo approcciando a quella confessione.
"Mi ha offerto un nuovo lavoro.", continuai.
"Ma è una cosa bella, tesoro... Non capisco cosa..."
"A Valencia, amore. Il lavoro è a Valencia.", conclusi continuando a tenere gli occhi chiusi per paura della sua reazione.
"A ...Valencia? E ... Per quanto tempo dovresti... Insomma...", balbettò Iker, spiazzato dalla notizia.
"Un mese."
"Un mese... Da come l'hai detto, temevo peggio...", disse pensieroso.
"Non sei arrabbiato? Insomma, se non vuoi che parta, posso rinunciare, davvero, io..."
"Ma cosa dici, amore?", mi interruppe.
"È un'occasione unica per te, io... Non ti chiederei mai di rinunciarci... È un mese. Io posso aspettare. No, io ti aspetterò.", disse convinto senza mai staccare gli occhi dai miei, già carichi di lacrime per l'imminente separazione.
"Io non voglio separarmi da te...", dissi piano.
"Nemmeno io voglio. Ma devo saperti lasciare andare se voglio che al ritorno tu sia mia davvero. Per sempre, stavolta.", sorrise.
Sospirai.
"Sembra che il mondo ce l'abbia con noi. Ti ho appena ritrovato e ora ti perdo di nuovo. Forse dovrei rimanere..."
"Amore, no."
"Sbaglio o vuoi liberarti di me?", chiesi, fingendo una smorfia.
Iker rise, gettando la testa all'indietro.
"Neanche per sbaglio, amore. Ma so che, anche se ora dovesse sembrarti la scelta più giusta, ti pentiresti di aver perso una simile occasione. E allora arriveresti ad odiarmi e io non posso permetterlo. Perciò devo lasciarti andare. Ma al tuo ritorno sarò qui, e recupereremo il tempo perso. Te lo prometto.", disse serio, mentre mi guardava tormentarmi le mani per l'agitazione.
Alzai lo sguardo e lo guardai riconoscente.
"Grazie Iker."
"Andiamo, voglio mostrarti una cosa.", mi disse alzandosi e pagando il conto velocemente.
Salimmo nell'auto, che immediatamente partì, imboccando l'autostrada.
Pochi minuti dopo, si fermò davanti al cancello dell'enorme casa di Iker.
"Siamo arrivati."
"Amore, so che la vecchiaia avanza e la memoria si accorcia, ma sono già stata a casa tua.", lo punzecchiai.
"Ignorerò la cattiveria gratuita della tua affermazione.", disse serio prendendomi per mano e aprendo la porta di casa.
"Ora chiudi gli occhi", mi disse.
"Iker, non mi piacciono queste cose..."
"E fidati, per una volta..."
Sospirai e chiusi gli occhi mentre le sue mani mi guidavano fino ad un punto preciso del salotto.
"Okay, aprili tra tre, due, uno..."
Aprii piano gli occhi e mi portai immediatamente una mano davanti alla bocca, non riuscendo a credere ai miei occhi.
L'ingrandimento della foto delle nostre mani strette insieme, la stessa foto che avevo impostato come sfondo del mio telefono, ora campeggiava proprio sopra quella con Sergio ai Mondiali.
Sopra la foto, una scritta a caratteri eleganti.
"Siamo io e te. Sempre."
Mi sciolsi in lacrime e mi voltai stringendo Iker nell'abbraccio più dolce che potesse dargli.

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"Perché stai piangendo, piccola?", le chiesi sciogliendo piano l'abbraccio e asciugandole dolcemente le lacrime.
"Sono lacrime di gioia... Tu mi stai regalando un sogno. E io non voglio svegliarmi...", spiegò piano.
Le sorrisi.
Poi mi allontanai, tornando poco dopo con un astuccio di velluto blu in mano.
Lo aprii e ne estrassi una collanina dorata, con un ciondolo a forma di cuore che recava incise le nostre iniziali, accanto al simbolo dell'infinito.
"Solleva i capelli, così posso allacciarla."
Lei fece come le avevo detto e sembrò rabbrividire al tocco freddo del ciondolo dorato sulla pelle.
"Volevo dartela questo week-end, ma visto che sarai a quattrocento chilometri da qui ho pensato che non avesse alcun senso aspettare. Almeno così mi penserai ogni volta che ti guarderai allo specchio...", le sussurrai dolcemente all'orecchio, cingendole i fianchi da dietro.
Marisol si voltò e mi baciò con passione.
"Non avrei smesso di pensarti per un solo istante, anche se non mi avessi fatto questo splendido regalo.", disse.
Ricominciai a baciarla, sempre più intensamente.
"Rimani qui, stanotte?", le chiesi provocatorio, posandole dei piccoli baci nell'incavo del collo, e facendola rabbrividire.
"Non me lo faccio ripetere.", disse intrecciando le dita nei miei capelli.

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La notte passò fin troppo velocemente e la sveglia ruppe il sonno profondo in cui eravamo caduti entrambi, privi di forze dopo esserci dichiarati amore nel modo più passionale che esista.
"Spegni quell'aggeggio infernale, Casillas!", mi lamentai, liberandomi dall'abbraccio di Iker in cui avevo dormito, e coprendomi le orecchie con il cuscino.
"Buongiorno anche a te, amore", disse sarcastico, allungando un braccio e facendo cessare il rumore.
"Io a lavoro oggi non ci vado.", dissi.
"Alzati, scansafatiche. Sei giovane, dovresti avere energie da vendere.", mi schernì.
"Ascolta, tu sarai anche un atleta, ma io sono una comune mortale e dopo una nottata del genere, sono stanca, se permetti.", risposi.
"Perché? Cosa hai fatto stanotte?", chiese Iker, fingendo di cadere dalle nuvole.
Allora si alzai, lo spinsi il sul letto e mi sdraiò addosso a lui.
"Forse c'è bisogno che ti rinfreschi la memoria", dissi con tono provocatorio cominciando a baciarlo e a far scorrere le mani sui suoi addominali perfetti.
Arrivata alla pancia, però, cominciai a fargli il solletico, provocando un urlo disumano da parte sua.
"Smettila, Mar... Ma che bastarda!", disse a fatica, ridendo incontrollatamente.
"Allora ti è tornata la memoria?", chiesi continuando a tormentarlo con il solletico.
"Si... Si, ti prego basta, mi arrendo!", supplicò stremato.
"Bravo il mio amore", lo accontentai, lasciandogli un bacio a stampo e correndo in bagno a prepararmi.

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"Prendi le chiavi, amore, siamo in ritardo. Tanto per cambiare", mi urlò dopo mezz'ora Marisol.
Mi infilai rapido il giubbotto e strinsi la sua mano, accompagnandola all'auto.
Arrivati a destinazione, la salutai con un bacio.
"Stasera è la tua ultima a Madrid. Ti organizzo qualcosa con i ragazzi, al Barroque. Pronta per le nove.", le dissi mentre lei scendeva dall'auto e mi mandava un bacio in segno di assenso.
Ripartii veloce verso Valdebebas, pronto ad un nuova giornata di allenamento e ad organizzare una festa d'arrivederci alla mia Marisol.

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